Alberto Ziveri

Alberto Ziveri. Giuditta e Oloferne (dettaglio), 1943. Tecnica: Olio su tela
Giuditta e Oloferne (dettaglio), 1943. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Alberto Ziveri (Roma, 1908 – 1990) si forma nel corso degli anni Venti prima al Liceo Artistico di Roma e poi alla Scuola serale di Arti Ornamentali di San Giacomo, dove è allievo di Antonino Calcagnadoro (1876-1935).

In seguito, compie un apprendistato nello studio di Giulio Bargellini (1875-1936), dove viene introdotto alla decorazione di stampo liberty. In questo ambiente, stringe amicizia con Guglielmo Janni (1892-1958), con cui instaura un sodalizio privato ed artistico che durerà per molti anni.

Janni è per lui una figura chiave: nel 1928 gli regala il saggio su Piero della Francesca di Roberto Longhi, lettura che lo allontana definitivamente della decorazione e lo introduce alla riscoperta della pittura del Quattrocento, al suo equilibrio formale e tonale.

Nello stesso anno, Alberto Ziveri esordisce alla Mostra degli Amatori e Cultori con alcuni disegni, mentre nel 1929 partecipa alla sua prima Sindacale del Lazio. Le sue figure, in questo momento, risultano ancora particolarmente solide, costruite attraverso un cromatismo denso e ricco di variazioni luministiche, che sembra discendere direttamente dalla tradizione verista di Antonio Mancini (1852-1930).

I Maestri antichi

All’inizio degli anni Trenta, compie diversi soggiorni in Emilia Romagna, soprattutto nell’area di Parma. Qui ha modo di studiare i maestri antichi, Parmigianino, Mantegna, Correggio che forniscono una base salda per gli sviluppi futuri della sua pittura.

Dopo il rientro a Roma, frequentando la Scuola Libera del Nudo, si avvicina allo scultore Pericle Fazzini (1913-1987), con cui condivide lo studio.

Insieme, si inseriscono nell’ambiente che gravita attorno alla Galleria di Dario Sabatello in via del Babuino. Qui ha modo di frequentare Massimo Bontempelli, Corrado Cagli (1910-1976), Mirko Basaldella (1910-1969) e molti altri scrittori ed artisti. Nel 1933, inoltre, tiene la sua prima personale proprio in questa Galleria, che lo fa notare dalla critica e gli procura un invito all’itinerante “Exhibition of Contemporary Italian Paintings” negli Stati Uniti.

La maturazione e il successo

Intorno alla metà degli anni Trenta, Alberto Ziveri raggiunge il culmine estetico della sua pittura tonale, come si nota dalle opere esposte alla Quadriennale del 1935. Una ponderazione silenziosa e antichizzante pervade le sue figure costruite attraverso delicati accordi tonali di pittura vibrante.

Dopo la personale alla Galleria La Cometa del 1936, compie un viaggio di aggiornamento tra l’Olanda, la Francia e il Belgio, momento in cui si avvicina alla pittura dell’Ottocento. Il verismo di Courbet e le sensazioni romantiche di Delacroix contribuiscono ad apportare un andamento più drammatico nelle composizioni di Ziveri, che appaiono mosse da un cromatismo a tratti infuocato.

Soprattutto nei ritratti e nelle scene di nudo maschile traspare solitudine, mestizia, tormento, elementi che lo affiancano all’opera del suo fraterno amico Janni, che nel 1937, decide di abbandonare la pittura. Introspezione e ricchezza della pennellata inquadrano le opere degli anni Quaranta, quelle delle Quadriennali e delle personali.

Nel 1956 viene pubblicata la monografia di Alberto Ziveri edita da De Luca, anno in cui rende parte alla Biennale di Venezia, ricevendo la definitiva consacrazione da parte di Roberto Longhi. Tra le ultime, importanti personali si segnala quella del 1964 alla Galleria La Nuova Pesa, che anticipa la grande antologica alla Galleria Nazionale di Roma, curata da Fagiolo dell’Arco, Durbè e Rivosecchi. Muore a Roma nel 1990, a ottantadue anni.

Alberto Ziveri: la pittura tonale

Le prime opere esposte da Alberto Ziveri alla Sindacale del Lazio del 1929, Case e Studio rappresentano ancora un sensibile legame alla rappresentazione verista. Impasti cromatici densi e di matrice tardo ottocentesca si accompagnano, però, già ai primi accenni di equilibrio spaziale e pulizia compositiva che saranno tipici del suo linguaggio per tutti gli anni Trenta.

Questa maturazione giunge dopo la lettura di Piero della Francesca di Longhi e dopo l’avvicinamento alla Scuola Romana. Ben presto, nei suoi autoritratti e nelle figure maschili e femminili compare l’esigenza di una atmosfera pura e misterica, che lo accomuna alle coeve esperienze di Emanuele Cavalli (1904-1981).

Nel 1931, partecipa alla Quadriennale di Roma con Studio all’aperto, nel 1935 vi torna con Famiglia, Paesaggio e Composizione. In queste opere, tonalismo e realismo si uniscono in un connubio che sarà la cifra caratteristica del pittore, insieme a quel costante riferimento al mito e ad una gestione arcaizzante, austera e drammatica della composizione.

Ritratti e paesaggi

Alla Quadriennale del 1939 espone un Ritratto e due Paesaggi, mentre a quella del 1943 vince il terzo premio per la con Giuditta e Oloferne. Con queste parole, Renzo Vespignani ricorda il suo primo incontro con quest’opera fondamentale di Ziveri: «il peso è leggerezza, l’afrore è profumo, lo scurrile è luce danzante, il dialetto è lingua universale, la vita è costante processo di morte».

Il dopoguerra rappresenta il momento del passaggio ad una pittura più sciolta, pastosa, libera. Come già si nota in Giuditta e Oloferne, il pacato tonalismo lascia il passo ad accensioni vibranti ed ancestrali, come si nota dalle opere della personale alla Galleria di Roma del 1946.

Danae, Autoritratto, Trombettiere (Bersagliere), Postribolo sono dipinti espressivi e carichi di dramma, in cui i protagonisti sono soldati, lotte, donne provocanti e sensazioni di tormento e solitudine. Elementi che si riscontrano anche nella coeva produzione incisoria.

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