Albin Egger Lienz

Albin Egger Lienz. Pastori. Tecnica: Olio su Tela
Pastori. Tecnica: Olio su Tela

Biografia

Albin Egger Lienz (Dölsach, 1868 – Bolzano, 1926) si forma inizialmente al seguito del padre, pittore di immagini sacre nell’area di Lienz, in Austria. In seguito, si trasferisce a Monaco di Baviera per frequentare l’Accademia di Belle Arti e vi rimane fino alla fine dell’Ottocento, lavorando anche con l’Associazione Artistica della città.

Nel 1899 decide di trasferirsi a Vienna, dove si trova ad essere pienamente coinvolto nella rivoluzione artistica operata dalla Secessione viennese, opponendosi, di fatto, alla pittura ufficiale. È molto probabilmente per questo motivo che i suoi tentativi di diventare professore all’Accademia di Belle Arti di Vienna falliscono per ben due volte.

Il Tirolo

Nel corso degli anni Dieci del Novecento, Albin Egger Lienz inizia frequenta con costanza il Tirolo e l’Austria e, nel 1907, espone per la prima volta alla Biennale di Venezia. Nel 1911 decide di lasciare Vienna per Hall, una cittadina vicino Innsbruck, ma appena trasferitosi, viene nominato professore presso l’Accademia di Weimar, dove insegna per solo un biennio.

Nella sua prima fase pittorica, il pittore tirolese si occupa soprattutto di dipinti di storia, caratterizzati da minuzia di particolari e da una non troppo spiccata personalità e originalità. Ma in seguito, proprio in seno alla Secessione viennese, sviluppa un chiaro espressionismo attraverso una concezione dura e schietta delle masse e dei contorni.

Questa viva energia artistica si sviluppa in Albin Egger Lienz soprattutto dopo la Prima guerra mondiale. Un sintetismo austero e allo stesso tempo drammatico caratterizza i suoi personaggi, soprattutto contadini, pastori, madri del Tirolo, sfiorando un delicato allegorismo che lo inserisce a pieno nella tradizione secessionista.

Da molti è infatti accostato a Ferdinand Hodler (1853-1918) nonostante le figure di Lienz siano meno legate al pensiero e più vive e inserite nella monumentale realtà della quotidianità, pur, come premesso, con le dovute concessioni al simbolismo.

Il dopoguerra

Nel 1913, prima della guerra, si trasferisce con la famiglia a Santa Giustina, un paesino nei pressi di Bolzano. Durante il conflitto, parte per il fronte come pittore di guerra in borghese, narrando, con il suo particolare approccio grafico, la dura vita della trincea.

L’efficacia espressiva di Albine Egger Lienz non si riscontra solo nei soggetti della drammatica quotidianità, ma anche nei ritratti e nei paesaggi, che realizza in Trentino Alto Adige. Presa la cittadinanza italiana, negli anni Venti espone alle Biennali veneziane e tiene un’importante personale alla Galleria Pesaro nel 1924, con presentazione di Vittorio Pica.

Il successo è immediato, tanto che il pittore si ritrova a rifiutare l’agognata cattedra a Vienna, in favore di una ricca attività espositiva in Italia, purtroppo interrotta prematuramente e bruscamente dalla sua morte, sopraggiunta nel 1926, dopo aver contratto una polmonite, a soli cinquantotto anni.

Albin Egger Lienz: un drammatico monumentalismo in seno alla Secessione viennese

La pittura di Albin Egger Lienz si contraddistingue per un particolarissimo approccio alla figura umana. Legato alla tradizione figurativa olandese e dei Paesi Bassi, dove si reca prima della guerra, coniuga il particolarismo fiammingo ad una concezione allegorica e schietta del colore e del contorno.

Con Dopo la conclusione della pace partecipa alla Biennale di Venezia del 1907. Si tratta di un dipinto legato alla storia tirolese che non gli procura un grandissimo successo, forse perché ancora acerbo e legato alla sua prima maniera.

Ma ottiene la sua gloriosa rivincita all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, in cui presenta La danza macabra. 1809, una moderna danza macabra trasformata in una marcia di guerra che unisce soldati a scheletri, insieme a Falciatori in montagna e Pellegrini.

Il cromatismo è ampio e disteso, contenuto all’interno di un segno mosso e profondo, quasi inciso nella tela. Nel dopoguerra, partecipa alla Biennale del 1920 con Il pranzo, Il lavoro e Il seminatore e il diavolo, dipinti reali e allegorici allo stesso tempo, in cui la figura del contadino assume quasi un’importanza sacra, eroica, monumentale.

Alla Biennale del 1922 espone in una sala personale venticinque opere, tra cui La raccolta del grano, Pastori, Primavera imminente, Donne di guerra, La croce, Benedicite, Aratore. Il duro e simbolico resurrezione comare alla Biennale del 1924 e nello stesso anno tiene la sua più importante personale, quella presso la Galleria Pesaro.

Vi espone cinquantuno opere, tra cui Il calvario, Parabola, Finale, L’uomo, Pastori, L’età, I senza nome della guerra mondiale, La famiglia, Le madri e Natale, dipinti intensi e tragici, tutti caratterizzati da un solido espressionismo che racconta l’epopea drammatica dell’uomo sulla terra. Partecipa alla sua ultima Biennale nel 1926, anno della sua morte con un mantegnano Cristo morto, insieme a Falciatori e Sorgente.

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