Amerigo Bartoli

Amerigo Bartoli. Ritratto di Sacerdote (dettaglio). Tecnica: Olio su tela, 100 x 142 cm
Ritratto di Sacerdote (dettaglio). Tecnica: Olio su tela, 100 x 142 cm

Biografie

Amerigo Bartoli (Terni, 1890 – Roma, 1971, nato in Umbria, si trasferisce prestissimo a Roma, dove frequenta l’Istituto di belle Arti, per poi perfezionarsi, a partire dal 1912, nello studio di Giulio Aristide Sartorio (1860-1932).

Proprio in questi anni, compie un viaggio di studio tra Firenze, Torino e Parigi, dove, già inoltrato nel filone simbolista da Sartorio, si avvicina ancora di più alle istanze della Secessione. Esordisce infatti alla Secessione romana del 1915, per poi interrompere la sua attività pittorica nel corso del conflitto.

Intorno al 1920, Amerigo Bartoli condivide lo studio con Giorgio De Chirico (1888-1978), come si nota da alcune nature morte permeate da un afflato di sospensione metafisica. Sono gli anni in cui si lega agli artisti di Villa Strohl-Fern e all’ambiente di Valori Plastici, con cui espone alla Fiorentina Primaverile del 1922, momento in cui sembra rielaborare la purezza del Quattrocento italiano.

Ma contemporaneamente, la sua pittura risulta ancora a metà fra accenti espressionisti raccolti a Parigi e riferimenti al naturalismo ottocentesco, caratterizzato da una pennellata ampia e libera. Infatti, pur se vicino alle idee di Ritorno all’ordine di Valori Plastici e Novecento, non darà mai adesione ufficiale a tali correnti, rimanendo sempre un pittore spiccatamente indipendente.

Il Caffè Aragno

Abile disegnatore e caricaturista, Amerigo Bartoli accompagna l’attività pittorica a quella grafica, collaborando a numerose riviste, tra cui “Il Travaso di idee”, “Quadrivio” e “La fiera Letteraria”. Il segno, il chiaroscuro e il colore vanno di pari passo nella costruzione di un universo della rappresentazione ricco di riferimenti simbolici e immaginativi, elementi di una pittura disincantata e gentile.

Nel corso degli anni Venti, l’artista frequenta la Terza Saletta del Caffè Aragno, condividendo un momento di grande stimolo artistico per la Capitale. Pur dedicandosi a scene d’interni, ritratti e immagini evocative, Amerigo Bartoli ha tra i suoi generi prediletti anche il paesaggio, che tratta con tonalismo lirico ed emozionante.

In questo contesto, fondamentali sono gli assidui soggiorni in Umbria, sua regione natale, dove riesce a trovare l’ispirazione perfetta per la realizzazione delle sue tele en plein air, ricche di sensazioni poetiche che sembrano collegarlo direttamente al naturalismo ottocentesco della Scuola di Barbizon.

La maturità

Accanto alla pittura, negli anni Trenta, Amerigo Bartoli inizia a dedicarsi alla scultura, di fatto affiancando queste due attività a quella di caricaturista ed illustratore. Contemporaneamente, ottiene la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove insegnerà con dedizione fino al 1960.

Sono gli anni in cui consegue un grande successo alle Quadriennali romane: alle edizioni del 1931 e del 1935 ha una sala personale, mentre a quella del 1943 vince il terzo premio.

Gli anni Cinquanta e Sessanta sono invece segnati da profonde difficoltà economiche dovute ad una grave malattia di sua moglie. Questo porta il pittore a stipulare un contratto con la Galleria Russo, a cui consegna due dipinti al mese, che rielaborano temi già affrontati, sempre attraversati da un naturalismo di carattere personale ed evocativo. La componente satirica e caricaturale accompagnerà l’attività di Amerigo Bartoli fino agli ultimi anni. Muore a Roma nel 1971, a ottantuno anni.

Amerigo Bartoli: tra naturalismo tonale e approccio ironico e satirico

La ricerca tonale è una delle cifre caratteristiche di Amerigo Bartoli sin dagli esordi in seno alla Secessione romana. Il delicato espressionismo dei primi anni, che si svela nell’Ucciso presentato alla Secessione del 1915, si scioglie poi in una continua sperimentazione cromatica e naturalistica, sempre condotta attraverso un contributo individuale e lontano da qualsiasi corrente coeva.

Seppur vicino alle istanze di ritorno all’ordine, rimane, infatti, un pittore indipendente, profondamente lirico, ma anche ironico, come dimostra la sua carriera di illustratore. Alla I Biennale romana del 1921 espone Controluce, Paesaggio e Cocchiere, mentre alla Fiorentina Primaverile del 1922, tre Paesaggi dalla pennellata libera e dal cromatismo sciolto e sintetico.

All’inizio degli anni Trenta si attestano alcuni ritratti dall’impronta disegnativa semplice e sincera e da un impianto compositivo che richiama la solennità e la calma perfetta di Valori Plastici, come Giovanna, Emilio Cecchi e Maestro Bruno Barilli, in cui la ricerca tonale si coniuga sapientemente a quella del segno.

Il vero successo giunge grazie alle Quadriennali romane, dopo aver preso parte alla Biennale di Venezia del 1930, in cui espone Amici al Caffè, ritratto di un’epoca di scambi e stimoli al Caffè Aragno. Alla I Quadriennale del 1931 espone diciotto opere in una sala personale, tra cui Tramonto, Roma, Pineta di Varazze, La casa del guardiano, Strada e pini, Ritratto di Carlo Socrate, Piazza del Popolo.

Alla Quadriennale successiva, ritorna con sette opere, tra cui Paesaggio romano, Circo equestre, Frutta finta e due Ritratti uno in cera e uno in bronzo. All’edizione del 1939, ha un’altra sala personale con quattordici opere. Tra esse si segnalano Paese (Isola Farnese), Mura Aureliane, Ritratto di R.L., Ritratto di ragazza, Nudo, testa di giovinetta, Pallone, Cocomero e Ritratto di sacerdote.

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