Tito Angelini

Tito Angelini. Sepolcro di Maria Anna Grifeo. Scultura in marmo
Sepolcro di Maria Anna Grifeo. Scultura in marmo

Biografia

Tito Angelini (Napoli, 1806 – 1878), figlio del pittore neoclassico e borbonico Costanzo Angelini (1760-1853), si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove studia scultura. Dopodiché, nel 1823, si trasferisce a Roma, dove si avvicina con maggiore consapevolezza alla scultura accademica e al linguaggio classico.

I viaggi di studio

I suoi modelli sono Antonio Canova (1757-1822) e Bertel Thorvaldsen (1770-1844), come si nota dalle prime opere a soggetto mitologico e allegorico che realizza proprio a Roma, a stretto contatto con il fervente ambiente culturale dell’Accademia di San Luca e dell’Accademia di Francia.

Dopo il soggiorno romano, Tito Angelini compie un lungo viaggio in Italia, soggiornando a Firenze e Venezia. Conosce Lorenzo Bartolini (1777-1850) e Pietro Tenerani (1789-1869) e si avvicina con interesse agli stilemi del purismo, che contribuiscono a smorzare la rigida e algida classicità delle sue prime opere per sviluppare i primi accenni ad un linguaggio più morbido e ricco di sentimento.

Fondamentale è il soggiorno del 1847 a Parigi, dove conosce lo scultore neoclassico James Pradier (1790-1852). Dopo questo intenso viaggio di formazione tra l’Italia e la Francia, Tito Angelini rientra a Napoli, dove viene nominato professore di scultura all’Accademia di Belle Arti ed inseguito direttore della Scuola di disegno.

La committenza borbonica

Dagli anni Trenta in poi, quando è ancora giovane, la principale attività artistica dello scultore partenopeo si svolge nell’ambito della committenza dei Borbone. Incaricato di eseguire ritratti e monumenti da Francesco I, poi da Ferdinando II ed in seguito da Francesco II, sfoggia un equilibrato accademismo, che si nota anche dalle opere esposte alla Mostre Borboniche a partire dal 1826.

Ma dopo la caduta del Regno delle due Sicilie e l’Unità d’Italia, in Tito Angelini si legge una svolta legata a frequenti accenni al naturalismo. In alcuni ritratti e monumenti degli anni Sessanta e Settanta, lo scultore anima le sue figure di un guizzo espressivo e verista, che dimostra come riesca a stare decisamente al passo con i tempi e a lasciare una profonda impronta nei suoi allievi.

Attivo fino alla fine nella realizzazione del Monumento a Imbriani, poi innalzato in piazza Mazzini a Napoli, vi muore nel 1878, a settantadue anni.

Tito Angelini: la scultura accademica al servizio dei Borbone

Le prime opere realizzate da Tito Angelini a Roma, di ispirazione mitologica, sono Filottete abbandonato, Deucalione e Teseo e il Minotauro. Alla Mostra Borbonica del 1826, esordisce appena ventenne con tre opere di decisa ispirazione classicista: il bassorilievo in gesso Enea ferito da Diomede, la grande statua con Filottete ferito e il gruppo in gesso con Cefalo e Procri.

La formazione classica e la frequentazione dei più importanti scultori del tempo in Italia fanno sì che nel linguaggio aggiornato e fresco di Tito Angelini si uniscano istanze prettamente classiciste e stilemi già orientati verso un delicato e levigato purismo, che riescono a rendere meno rigido l’accademismo del giovane scultore, come si nota dalle opere commissionate da Ferdinando II e spesso dedicate ai suoi amori, come Lucia Migliaccio.

Alla Biennale Borbonica del 1830 espone il bassorilievo Morte della duchessa di Floridia e Ritratto del signor Block, mentre risalgono al 1833 il Busto del Re, la personificazione della Fama, Ritratto della contessa Grifeo, Mezzobusto del Monsignor Capecelatro e altri ritratti.

La Clemenza e l’Immacolata, per lo scalone e per la cappella di Palazzo Reale a Napoli, vengono eseguiti nel 1837, anno in cui, alla Mostra Borbonica espone alcune delle sue opere più significative: La Carità, La Religione, L’anima trasportata da un angelo, Ritratto virile e Ritratto muliebre.

Per tutti gli anni Quaranta, si susseguono diversi incarichi ottenuti dalla casa Reale, tra cui il Ritratto della Regina madre, una Saffo, realizzata per la Reggia di Napoli, ma anche alcuni soggetti allegorici e mitologici, tra cui Amore sdegnato spezza l’arco e Telemaco che abbandona la ninfa Eucari.

Gli anni Sessanta e Settanta: qualche concessione al naturalismo

A partire dall’unità d’Italia e con il graduale distacco dalla committenza reale, Tito Angelini si ritrova a sperimentare una certa propensione al verismo, ricevendo ormai stimoli e spinte dagli scultori della nuova generazione a Napoli.

Ciò si nota soprattutto nei ritratti e nei busti, ma anche in alcuni monumenti, come il Ritratto del signor Vonwiller del 1861, il Ritratto di Lablache del 1862, il Ritratto di Dante in piazza Dante, il Busto di Enrico Alvino e Ritratto del cav. Giuseppe Cimmino, esposto insieme a quello del Signor Gaetano Zir alla Promotrice napoletana del 1877, un anno prima di morire.

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