Angelo Barabino

Angelo Barabino. Paesaggio. Tecnica: Pastello su carta
Paesaggio. Tecnica: Pastello su carta

Biografia

Angelo Barabino (Tortona, 1883 – Milano, 1950), nato da una famiglia di origini genovesi, dimostra sin da bambino una notevole attitudine per il disegno. Per questo, nel 1900, dal piccolo paese in provincia di Alessandria, viene mandato a studiare a Milano presso l’Accademia di Brera, dove ha come insegnanti Giuseppe Mentessi (1857-1931) e Camillo Rapetti (1859-1929).

Gli anni milanesi

Negli stessi anni, inizia a frequentare lo studio di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), dove si approccia alla tecnica divisionista. Collabora alla realizzazione di alcune opere del maestro, tra cui Il Sole, conservato presso la Galleria Nazionale di Roma.

Frequenta lo studio di Pellizza fino alla sua morte nel 1907, ma porta avanti la sua attenzione nei confronti della questione sociale, come si nota dai dipinti presentati a Brera nel 1910. A questa dimensione tematica si affianca un divisionismo cromaticamente acceso, costituito da lunghi e vibranti filamenti di colore.

Accanto ai soggetti di denuncia sociale, Angelo Barabino sceglie un paesaggismo intimo e lirico, caratterizzato da note personali e suggestive. Il suo approccio pittorico fa breccia nel cuore dei fratelli Grubicy, che lo invitano ad esporre all’interno della mostra itinerante in Francia, dedicata agli artisti divisionisti, Dernières Ouevres des Artistes Divisionnistes Italiens.

Da questo momento in poi, si lega profondamente a Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920) che lo incoraggia a continuare con il suo personale approccio al divisionismo sociale, sostenendolo anche di fronte agli attacchi della critica.

La Grande guerra e gli anni Venti

Nel 1914, Angelo Barabino tiene un’importante personale ad Alessandria, in cui presenta un Divisionismo sentito e elegiaco, in cui l’atmosfera pulviscolare contribuisce a conferire alla sua pittura un carattere evanescente ed emozionante.

Tra il 1915 e il 1918 partecipa alla Prima guerra mondiale, da cui rientra praticamente infermo. Il suo stato fisico gli impedisce di continuare a dipingere per qualche tempo. Decide quindi di ritirarsi a Tortona, suo paese di nascita, dove riprende piano piano a dipingere negli anni Venti, dedicandosi soprattutto a paesaggi di grande intensità spirituale, sul modello di Giovanni Segantini (1858-1899).

Riprende ad esporre con regolarità dalla metà degli anni Venti, quando gradualmente, il suo Divisionismo lascia il passo alla visione solenne del ritorno all’ordine, influenzato dalla poetica di Novecento.

Le superfici, non più pulviscolari e caratterizzate da colore diviso, sono ora costituite da un’uniforme stesura cromatica di ampio respiro, ricca di effetti luministici che richiamano la pittura Purista ma anche il Manierismo cinquecentesco. A queste espressioni si lega anche l’impegno di Angelo Barabino nella realizzazione di pannelli decorativi per chiese e palazzi di area ligure o piemontese.

Un carattere schivo e solitario

Negli ultimi anni si accentua ancora di più il suo carattere solitario, soprattutto in corrispondenza della nascita del regime fascista, cui si oppone fermamente.

Non partecipa ad eventi ed esposizioni pubbliche per un lungo periodo e, lontano dai riflettori, si dedica alla realizzazione di paesaggi della sua Tortona, ma anche delle Prealpi della Val Sangone. In difficoltà economica a causa della sua rarissima partecipazione ad esposizioni nazionali, il pittore accetta l’invito dell’industriale torinese Roversi di recarsi in Venezuela.

Qui, rimane dal 1929 al 1931, esponendo a Caracas presso il Club Venezuela, ma anche al Circolo della Fratellanza Italica. Lavora prettamente come ritrattista e, raggiunta una certa stabilità economica, prima di rientrare in Italia, compie un viaggio presso le capitali europee per visitarne i principali musei.

Rientrato a Tortona, Angelo Barabino rimane dignitosamente fuori da qualsiasi invito ufficiale, per opporsi a suo modo al regime. Continua a comporre paesaggi di matrice divisionista, fino alla morte, che lo coglie a Milano nel 1950, all’età di sessantasette anni.

Angelo Barabino: il Divisionismo tra paesaggi lirici e questione sociale

L’esordio di Angelo Barabino risale alla Promotrice fiorentina del 1906, dove presenta l’opera perduta I miei morti. Nel 1910 a Brera espone Rapina, un’opera divisionista di grande impatto sociale: rappresenta la violenza contro una donna durante il lavoro nei campi.

Il dipinto crea scalpore tra i giudici, ma allo stesso tempo genera un’ondata di apprezzamento da parte di Vittore Grubicy, che da questo momento in poi, accoglie sotto la sua ala il giovane Angelo Barabino.

Nel 1914, prima della guerra, tiene la sua importante personale ad Alessandria, in cui presenta dipinti quali L’annegato, Il figlio, Pomeriggio di primavera e Fiori selvatici. Si tratta di dipinti caratterizzati dalla presenza di un divisionismo filamentoso e cromaticamente emozionante, in cui si ritrova la luminosità intensa di Pellizza, ma anche il lirismo di Segantini.

I paesaggi del pittore tortonese sono sempre attraversati da un ritmo poetico e da una luce di carattere spirituale, soprattutto quelli dedicati alla campagna piemontese, che descrive nei suoi ritmi stagionali lenti e cadenzati. Questo emerge anche dai paesaggi presentati a Brera nel 1914, tra cui il trittico Luci montane.

La fase novecentista

Negli anni Venti, Angelo Barabino attraversa un periodo di rinnovamento stilistico. Il riposo forzato, dovuto alla malattia contratta in guerra, lo porta a riflettere sul proprio linguaggio. La sua è una presa di coscienza che lo porta ad abbandonare per un momento la tecnica divisionista, adottando una pennellata di ampio respiro, carica di luce.

L’esempio più grande di questa evoluzione è l’emozionante opera Pietà, del 1932. Si tratta di una rappresentazione sacra in chiave moderna, ambientata nella campagna tortonese. La dimensione sociale si unisce al messaggio universale de Cristo morto, in una rappresentazione lirica ed emozionante.

Sono poche le manifestazioni artistiche cui partecipa al suo ritorno da Caracas, tra cui la Sindacale torinese del 1933, in cui presenta i paesaggi Viale e Carriole, a metà tra la percezione pulviscolare divisionista e la nuova dimensione novecentista.

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