Aurelio Bossi

Aurelio Bossi. Le Portatrici d’Acqua. Scultura in legno
Le Portatrici d’Acqua. Scultura in legno

Biografia

Aurelio Bossi (Monticelli Pavese, 1884 – Bergamo, 1948), molto giovane, inizia a lavorare come intagliatore e corniciaio, mestieri che lo avviano alle prime prove scultoree in legno, quando è ancora adolescente.

Assecondando questa sua propensione artistica si trasferisce da Pavia a Milano per studiare all’Accademia di Brera. Qui, continua a lavorare il legno, ma si specializza anche nella scultura in marmo e nella fusione in bronzo, applicando a questi la sua versatilità, esperienza e manualità di artigiano.

Le prime opere di Aurelio Bossi sono sorrette, dunque, da una solida sapienza compositiva che le rende ricche di equilibrio, purezza e semplicità. Ecco cosa recita l’introduzione alla sua personale alla Galleria Pesaro del 1920: «i suoi legni colpiscono soprattutto per la passione e perizia, che traspare da ogni tocco, intaglio o levigatura, con cui l’artista ama e domina la materia nella quale lavora. L’olivo, l’ebano, il mogano gli sono famigliari, ed egli è maestro nel trarre partito dalle varie fibre legnose e dai nodi e dalle asperità stesse del legno».

Il successo di uno scultore schivo e solitario

Quasi sempre al di fuori di qualsiasi corrente o movimento artistico, è uno scultore che lavora in una condizione appartata e lontana dai riflettori, che comunque gli consente di raggiungere l’approvazione da parte della critica, a partire dalla sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia del 1914.

Dopo la guerra riprende ad esporre di nuovo alla Biennale del 1920, per poi partecipare alla Fiorentina Primaverile del 1922. Lo stile, sempre particolarmente libero e scarno da qualsiasi orpello decorativo, sfiora tratti di intimità che Aurelio Bossi inserisce sia nei nudi femminili che in quelli maschili, ma anche nelle sculture di matrice più simbolista e in quelle che narrano una quotidianità vera e spesso drammatica.

Con il passare degli anni, le sue superfici si fanno più sintetiche e le masse più piene e pure, ricche di una equilibrata spiritualità che pervade i suoi intensi bronzi. La ricerca tematica si accompagna a quella stilistica, creando un dialogo che conduce lo scultore ad essere apprezzato soprattutto per l’intento lirico, poetico, commovente delle sue sculture.

Attivo fino agli anni Trenta del Novecento, Aurelio Bossi non prende parte solamente alle Biennali veneziane, ma anche alle mostre del Sindacato Fascista e alle Quadriennali di Roma. Muore a Milano nel 1948, a sessantaquattro anni.

Aurelio Bossi: una scultura pura e aggraziata a cavallo tra le due guerre

Come anticipato, Aurelio Bossi inizia il suo percorso nel campo della scultura, cominciando dal legno, materiale che li permette di assecondare ogni asperità o espressività della superficie per i suoi soggetti ricchi di intensa spiritualità.

Inizialmente, le sue opere sembrano pervase da un simbolismo sofferto e doloroso, in cui i soggetti tratti dalla quotidianità sono descritti nel pieno delle loro commoventi passioni. Tra le prime opere conosciute vi è il Pioniere del 1914, un uomo dalle membra stanche, seduto ai piedi di un albero senza foglie.

Nello stesso anno, Aurelio Bossi partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia con una delle sue sculture più famose, La Croce, che per la sua intensa drammaticità di matrice sacra, gli consegna il primo successo di critica.

L’uso del legno

Ritorna dopo la guerra ad esporre alla Biennale con le due opere La preghiera e L’attrice tragica, in cui dolcezza e intimità nella trattazione del legno si vanno ad unire ad una nuova concezione delle masse, più pure e levigate, semplici e sintetiche, in una istintiva sensibilità plastica che si riscontra anche nelle sculture presentate alla Fiorentina Primaverile del 1922 Bambino che ride e ancora L’attrice tragica.

Nel frattempo, nel 1920, tiene la sua prima personale alla Galleria Pesaro, dove espone quasi trenta opere, per la maggior parte in legno di pero, di ebano o di noce, tra cui Cristo, Satirella, Sfinge, Filosofo, Orfana, Ofelia, Eroica, San Francesco, Atleta, La vedova, che, tra l’altro, sono considerate le sue opere più significative, che rappresentano «una confidenza snella, leggiadra che passa tra l’artista e il suo mezzo d’espressione».

Tiene una seconda personale, sempre alla Galleria Pesaro, nel 1922 e vi presenta alcune delle stesse opere della mostra precedente, ma anche Portatrici d’acqua, Dafne e Cloe, Messidoro, Germoglio, Maddalena, Amleto, Invocazione, Putto, Schiava e Nordico.

Gli anni Venti e Trenta rappresentano il culmine del successo per Aurelio Bossi, nel momento in cui sembra assecondare l’austerità e la purezza materica della scultura del ritorno all’ordine. È presente a tutte le edizioni della Biennale di Venezia del 1924 al 1932, dove compaiono Medusa, Davide, Nudo di donna, Testa virile, Il sogno della mamma e Primavera. Il fanciullo profeta compare alla Quadriennale del 1931, Italo, scultura in legno, a quella del 1935.

Molte delle sue opere sono conservate presso la Pinacoteca di Brera. Al Duomo di Milano si trova la figura del Cardinal Borromeo, mentre due suoi busti decorano la facciata della cappella dell’Ospedale di Niguarda.

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