Antonio Calderara

Antonio Calderara. Milano, il Naviglio, 1928.
Milano, il Naviglio, 1928. Tecnica: Olio su tela. Fondazione Calderara

Biografia

Antonio Calderara (Abbiategrasso, 1903 – Vacciago, 1978) nasce in una piccola cittadina della Lombardia, dove cresce circondato dalla natura e compie lunghi soggiorni a Vacciago, soprattutto in estate. La piccola località, situata sulla riva orientale del Lago d’Orta, lo ispira sin da bambino nell’elaborazione di disegni e piccoli dipinti ad olio.

Incoraggiato soprattutto dal padre, decide di coltivare questa sua attitudine al disegno, perciò, negli anni Venti, frequenta la facoltà di ingegneria del Politecnico di Milano. Ma nel corso degli studi, con dispiacere della madre, matura la decisione di abbandonare la carriera ingegneristica per dedicarsi interamente alla pittura.

Tra Milano e Vacciago

Nel 1929, Antonio Calderara partecipa per la prima volta ad un’esposizione ufficiale, quella della Famiglia Artistica milanese. Inizialmente, la vita del pittore, solo a Milano, mentre la sua famiglia risiede a Vacciago, risulta gravata da pesanti problemi economici, che vengono sopperiti dalla felicità della possibilità di dedicarsi con ogni sforzo all’arte.

I suoi dipinti di questo periodo sono placidi e chiari, governati da una geometria solida e sicura, certamente influenzati dalle istanze di Novecento, ma anche dalla semplicità atmosferica dei maestri come Piero Della Francesca, mediato dalla solennità plastica e spaziale di Antonio Donghi (1897-1963).

Innamoratosi di una donna a Milano, la sposa nel 1934 e si trasferisce di nuovo sul lago d’Orta, luogo del suo cuore. Allo stesso anno risale la sua personale presso la Galleria Bolaffi a Milano. Durante gli anni della guerra, entra in contatto con il critico d’arte e d’architettura Raffaello Giolli, appena rientrato dal confino, che può essere considerato il solo maestro di Antonio Calderara, sostanzialmente autodidatta.

La ricerca pittorica

Dagli anni Quaranta, l’artista lombardo si concentra su una ricerca pittorica basata sul valore del colore e della luce. Le sue composizioni paesaggistiche caratterizzate da architetture cromatiche rigorose si trasformano piano piano in pure campiture di colore, in studi sulla luce.

Contemporaneamente si dedica a ripetuti ritratti della moglie, dopo la tragica morte della figlia che lo getta in una crisi da cui esce solo negli anni Cinquanta, con il suo rientro a Milano. Nel 1954, Antonio Calderara scopre Piet Mondrian (1872-1944) e Josef Albers (1888-1976) e comincia a dare significato a quelle sue composizioni cromatiche pure, di pochi anni prima.

Con lentezza, dal figurativo passa all’astratto, interessato non più allo studio dello spazio e della terza dimensione, ma solo dalla luce che si fa colore e viceversa. Al 1959 risale il suo primo quadro interamente non figurativo e, da questo momento in poi, inizia l’avventura astrattista del pittore.

Dipinge solo quadrati e rettangoli di colore, ricchi di una luminosità sospesa che il pittore vede come sintesi estrema della vitalità umana, che per essere espressa non ha più bisogno di figure né di linee curve, ma solo di porzioni cromatiche e di angoli retti, eleganti e ordinati.

Queste porzioni di colore e luce rappresentano per Antonio Calderara la rappresentazione dell’infinito, della rarefazione, del vuoto, che sembrano coincidere tutti quanti nell’essenza della luce, che diviene il nodo focale della ricerca del pittore lombardo.

La sua produzione di respiro internazionale lo porta ad esporre ad importanti rassegne italiane e internazionali. Partecipa ad Anno 62 alla Galerie’t Venster di Rotterdam, alla Quadriennale di Roma del 1965 e alla mostra Bianco + Bianco alla Galleria L’Obelisco nel 1966.

Negli anni Sessanta, ha una serie di infarti che lo portano a ritirarsi sempre di più dalla vita pubblica, per terminare i suoi ultimi momenti dipingendo, alla vista del suo amato lago d’Orta. Muore a Vacciago nel 1978, a settantacinque anni.

Antonio Calderara: dai paesaggi geometrici al puro astrattismo cromatico

Prima di approdare all’astrattismo negli anni Cinquanta, Antonio Calderara è protagonista di un paesaggismo delicatissimo, in cui il colore e la forma già sembrano essere i protagonisti. Gran parte dei paesaggi del pittore sono ispirati dal lago d’Orta. Il fil rouge di tutta la sua produzione, da quella figurativa a quella astratta è sicuramente lo studio della luce.

Essa risulta inizialmente la sostanza che gli permette di permeare le sue vedute di un’omogeneità sospesa e quasi metafisica, in cui ogni elemento è funzionale all’altro, in una ricerca di sintesi compositiva che si riscontra anche nei quadri di figura, ordinati e solenni.

Alcuni dipinti compaiono alle Sindacali torinesi degli anni Trenta, le uniche esposizioni ufficiali cui partecipa Antonio Calderara che non siano mostre personali. Nel 1936 vi presenta Orta – La Motta, nel 1937 Il lago d’Orta e nel 1938 L’Agogna.

Piano piano, i suoi paesaggi si fanno sempre più bidimensionali, impalpabili. Il protagonista è il colore ricco di luce come ben si nota dalle sue piccole composizioni che spesso presentano forti assonanze non solo con Piero della Francesca, ma anche con Seurat, come dimostra il dipinto Estate, del 1954.

Ma è proprio in questo anno che Antonio Calderara sperimenta i primi accenni di astrattismo, che si chiariscono nell’affiancamento puro di piccole porzioni di colore, che definiscono lo spazio piatto della tela, nella sua orizzontalità e verticalità.

Il lago d’Orta diviene superficie azzurra e rettangolare, con pochi altri elementi trasformati anch’essi in linee rette elegantissime, chiarissime. Ecco che nascono opere come Case, in cui gli unici accenni alla realtà sono consegnati dai quadrati gialli delle finestre, su sfondi tenui e delicati.

L’astrattismo arriva con la serie Spazio luce che parte dal 1959 e si inoltra negli anni Sessanta e che lo affianca definitivamente a Mondrian, ma anche agli artisti americani dell’Espressionismo astratto. Gradualmente il colore si fa inconsistente, per divenire pura apparizione diafana di luce, mentre ritorna più prorompente, negli ultimi anni, quando sembra condividere le esperienze di Bernett Newman (1905-1970).

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