Glauco Cambon

Glauco Cambon. L’attore Benini nel Don Marzio di Goldoni. Tecnica: Olio su tela
L’attore Benini nel Don Marzio di Goldoni. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Glauco Cambon (Trieste, 1875 – Biella, 1930) nasce da una famiglia molto agiata di Trieste, ma proveniente da Montpellier. Suo padre, deputato nel Parlamento di Vienna, è anche scrittore di romanzi storici, mentre sua madre è una poetessa.

La formazione tra Trieste e Monaco

La loro casa di Trieste ospita uno dei salotti più in voga della città, sempre molto frequentato da intellettuali ed artisti. In questo clima così ricco dal punto di vista culturale, cresce Glauco Cambon che, dopo gli studi classici, dimostrata già da tempo una forte propensione verso la pittura, lascia l’Italia per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera, seguendo un percorso molto simile a quello di altri artisti triestini.

In Accademia, le lezioni di Franz von Stuck (1863-1928) che lo introduce alla pittura simbolista. Il giovane artista, quindi, soprattutto nella prima fase accoglie le suggestioni perturbanti e affascinanti della cultura della Secessione.

Rientra a Trieste nella metà degli anni Novanta e, dedicandosi soprattutto alla produzione ritrattistica, sembra fare ricorso a stilemi moderatamente realisti, certamente ancora caratterizzati da una vena di tensione spirituale e di simbolico enigma che circonda come un’aura le figure rappresentate, quasi sempre animate da un cromatismo piuttosto torbido, da una pennellata libera e da suggestivi effetti chiaroscurali.

La partecipazione alla Biennale veneziana del 1897 segna il primo successo di Glauco Cambon, che continua ad esporre con regolarità non solo alla rassegna lagunare, cui partecipa fino al 1924, ma anche al Circolo artistico di Trieste e alla Secessione romana.

Il soggiorno a Roma

Vinto il Concorso Rittmeyer, il pittore ottiene uno stipendio che gli permettere di trasferirsi per un periodo a Roma. Siamo all’inizio del Novecento e la Capitale si trova in uno stato di grazia: è animata dalle tendenze simboliste, neorinascimentali e neoelleniche e soprattutto dalla personalità di Giulio Aristide Sartorio (1860-1932), che risulta fondamentale per questa fase pittorica di Glauco Cambon.

Rientrato a Trieste nel 1905, l’artista ripropone quelle atmosfere simboliste e inquietanti che aveva appreso dal maestro von Stuck e che ha riscoperto nel clima culturale romano, ancora molto legato alle espressioni di In Arte Libertas.

Nelle opere del primo Novecento, il pittore triestino sembra coniugare alla perfezione suggestioni secessioniste, divisioniste e liberty che non si riscontrano solamente nei ritratti, ma anche nei paesaggi – spesso notturni – e nelle opere di grafica.

Nel 1909, partecipa alla mostra di Ca’ Pesaro, entrando in contatto con il movimento di artisti secessionisti veneziani, mentre poco dopo è di nuovo a Roma ad esporre prima alla Mostra Internazionale del 1911 e poi alla I Secessione del 1913.

Il trasferimento a Milano

Nel 1915, Glauco Cambon si trasferisce a Milano, dove diventa uno dei ritrattisti più richiesti e alla moda del tempo. Viene spesso ospitato da famiglie dell’aristocrazia o della borghesia lombarda e ligure, di cui è incaricato di rappresentare l’eleganza e la raffinatezza attraverso ritratti femminili e maschili, sempre attraversati da una vena di mistero e del fascino “maledetto” della belle époque.

Molto assidui sono anche ritratti di attori, attrici o personaggi del mondo dello spettacolo teatrale, visti mediante una forte indagine introspettiva. Il suo impressionismo vaporoso e sciolto si irrigidisce verso la fine degli anni Venti, in corrispondenza del ritorno all’ordine, che lo porta a fare scelte cromaticamente più definite. Partecipa alla sua ultima Biennale nel 1924 e muore a Biella nel 1930, a soli cinquantacinque anni.

Glauco Cambon: il Simbolismo secessionista

Tra le prime prove accademiche di Glauco Cambon si ricorda Il cieco e la musica, in cui sperimenta un personale impressionismo attraversato da riferimenti simbolisti, dovuti al clima secessionista di Monaco di Baviera e alla vicinanza a von Stuck.

Il mondo perturbante di Arnold Böcklin (1827-1901) influenza sicuramente le sue prime prove appartenenti a questo filone, come la Medusa del 1878. Alla Biennale di Venezia del 1897 presenta Ritratto di signora e Ritratto d’uomo che già serbano il seme di tutta la sua poetica futura: la scelta di una pittura leggiadra e aristocratica che si unisce costantemente a riferimenti allegorici o a sensazioni di mistero, di sospensione e di solitudine che si nascondono spesso nella figura della femme fatale, avvolta nei suoi abiti raffinati e scuri.

Questo primo periodo seguito all’esperienza monacense si svolge nell’uso del pastello per ritratti femminili e maschili caratterizzati da un forte impiego degli effetti chiaroscurali che contribuiscono a conferire alle figure un senso di enigma e di simbolo.

Nell’esperienza romana dei primi del Novecento, Glauco Cambon vive come un bohémien, ma allo stesso tempo ne approfitta per raccogliere alcuni tratti cromatici di Antonio Mancini (1852-1930) con cui schiarisce la sua tavolozza scura e, soprattutto, per incamerare i simbolismi di Sartorio.

Rientrato a Trieste, espone la formidabile Salambò alla Mostra Nazionale di Milano del 1906, catturando suggestioni dal maestro von Stuck, ma anche ispirandosi al mondo letterario e provocante di Flaubert.

La ritrattistica conturbante e alla moda

La spiritualità poetica dei ritratti e delle scene del pittore triestino si leggono in tutte le opere esposte alle Biennali del primo Novecento: il Ritratto dell’artista Benussi compare a quella del 1907, il suggestivo notturno Trieste a quella del 1909, L’attore Benini nel Don Marzio di Goldoni risale al 1910 ed è stato presentato insieme alla Venere Anadiomene e a Cuprea.

Il ritratto dell’attore ne richiama un altro molto simile, quello di Emilio Zago nei Rusteghi, esposto alla Biennale del 1914. Nel dizionario Sibilia si leggono queste parole a proposito delle due opere: «In questi due ritratti di artisti drammatici – Ferruccio Benini ed Emilio Zago – si sono manifestate subito tutte le buone tendenze di Glauco Cambon ad essere un vigoroso e signorile ritrattista: il ritrattista, del resto, come dev’essere, che non colga tanto il momento e l’aspetto fisico, quanto più tosto il momento psicologico dell’individuo.

In Ferruccio Benini e in Emilio Zago egli ha perfettamente saputo – cosa doppiamente difficile – rendere due cose: l’individuo e la parte che l’individuo rappresentava in teatro: di modo che il pittore ha dovuto cogliere due psicologie differenti, sovrapporle l’una all’altra, senza che la sovrapposizione dell’una cancellasse od alterasse l’atra».

Un linguaggio personale

Nel frattempo, alla Mostra Internazionale di Roma del 1911 espone Procellaria nera e Notte d’aprile (Trieste) e alla Biennale del 1912 Sorriso azzurro e oro e L’anima e la nuvola. Il suo linguaggio comporta un uso sempre più sciolto e personale del colore, fatto di accordi cromatici a tratti eleganti e melanconici, a tratti più chiari e luminosi, trattati con una gestione perfetta degli accostamenti, che richiamano la bidimensionalità della pittura Nabis.

Nel 1913 è alla prima Secessione romana con un Ritratto e nel 1916 alla terza, con Peperoni e Ritratto di A. Gandusio. Ormai, un certo decorativismo della linea e delle pose si adegua all’illustrazione liberty, di cui è protagonista attraverso la realizzazione di alcuni cartelloni pubblicitari.

Questa comunicazione con il mondo delle arti applicate si rivela nei ritratti e nelle opere esposte alle Biennali degli anni Venti: Lucifero, Rosso di sera, La danzatrice Betinscha, l’affascinante attore di Incroyable e Il condottiero. Diversi sono poi i ritratti dedicati ai membri della sua famiglia, come quelli della sorella Nella Doria Cambon, famosa per i suoi studi sullo spiritismo.

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