Carlo Sbisà

Carlo Sbisà. Pranzo mistico di San Francesco. Tecnica: Olio su tela
Pranzo mistico di San Francesco. Tecnica: Olio su tela

Quotazioni Carlo Sbisà

Legato al movimento del Ritorno all’ordine tra 1920 e 1930 realizza le sue opere migliori dove le atmosfere si fanno più rarefatte e vicine alla sensibilità del Realismo Magico, un movimento che proietta l’Italia tra i paesi più aggiornati a livello europeo. I dipinti di questo periodo sono stimati tra i 5.000 e i 6.000 euro di media se ad olio su tela.

I disegni sono quotati tra i 300 e i 600 euroCifre superiori possono spuntare dai capolavori migliori che però non si trovano sul mercato da qualche anno. Noi abbiamo avuto e venduto diverse opere di questo pittore triestino.

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Biografia

Carlo Sbisà (Trieste, 1899 – 1964), dopo aver frequentato l’istituto tecnico, inizia a lavorare come cesellatore ed orafo a Trieste. Ancora molto giovane, si trasferisce a Budapest per occupare un posto di disegnatore di macchinari in un cantiere. Il clima culturale della città ungherese lo coinvolge sin da subito e, soprattutto, viene attratto dai numerosi musei che lo fanno avvicinare alla pittura.

Il trasferimento a Firenze

Nel 1919, grazie ad una borsa di studio, si trasferisce a Firenze per frequentarne l’Accademia di Belle Arti, in cui rimane fino al 1923.
Ma in questi anni sono fondamentali più che gli studi accademici, i rapporti intrattenuti con gli amici Felice Carena (1879-1966), Ubaldo Oppi (1889-1942) e Achille Funi (1890-1972) che lo introducono allo studio dei maestri del Rinascimento italiano e dunque alla poetica di ritorno all’ordine.

L’equilibrio, la calma classica, un ponderato silenzio e una sorta di richiamo alla dimensione neoplatonica botticelliana caratterizzano la sua produzione sin dagli esordi, avvenuti proprio nei dieci anni passati a Firenze.
I suoi modi si coniugano perfettamente con le intenzioni e gli stilemi del gruppo milanese di Novecento, come si nota dal dipinto presentato alla sua prima Biennale di Venezia del 1922.

Il rientro a Trieste

Quando Carlo Sbisà rientra a Trieste nel 1928, tiene subito una personale presso la Galleria Michelazzi esponendo le sue opere classiciste, caratterizzate da forza volumetrica e armonia compositiva. Tra il 1929 e il 1933 risiede a Milano, dove entra in contatto con Novecento e con Margherita Sarfatti. Qui, la sua pittura giunge a piena maturazione cromatica e disegnativa.

A cominciare dagli anni Trenta e poi ancor di più nei Quaranta, il pittore si dedica in maniera sempre più assidua all’affresco, concependolo come medium in grado di insegnare e allo stesso tempo dilettare il pubblico, alla maniera di un maestro rinascimentale.

Ci sono pervenuti numerosi bozzetti e cartoni che testimoniano questa attività, ma anche vere decorazioni murali a Roma, Milano e nella sua Trieste. La sua pittura si conferma ancora pervasa da quell’armonico e puro andamento delle figure classiche, ma sicuramente più solida e allo stesso tempo luminosissima, portatrice di una chiarezza spirituale di grande valore.

Dalla pittura alla scultura

Dopo la Seconda guerra mondiale, Carlo Sbisà decide di abbandonare definitivamente la pittura, per dedicarsi alla scultura in terracotta, bronzo e maiolica. Anche nel campo del modellato, l’artista ottiene subito una netta approvazione alla Biennale veneziana del 1948, forse proprio per quella decisione di mantenere centrale l’equilibrio e la compostezza delle forme.

Numerose chiese friulane e navi triestine contengono decorazioni e sculture di Carlo Sbisà, che negli anni Cinquanta, è ancora richiestissimo, anche come mosaicista. Nel frattempo, diventa direttore del Museo Revoltella, svolgendo un ruolo fondamentale nello sviluppo culturale triestino.

Nel 1959, il Comune di Trieste gli dedica una personale che comprende solamente le sue opere scultoree. Settantacinquenne e ancora nel pieno del successo, muore nella sua città nel 1964.

Carlo Sbisà: un armonico ed equilibrato ritorno all’ordine

Il sostrato classicista esiste nell’opera di Carlo Sbisà sin dagli esordi. Gli studi fiorentini lo avvicinano agli autori del Rinascimento e lo conducono ad una pittura euritmica e sospesa. Le sue figure si inseriscono in ambientazioni luminose e senza tempo, caratterizzate da una grande attenzione alla resa cromatica e formale.

L’equilibrio pierfrancescano viene proiettano nella modernità, attraverso un la scelta di volumi più solidi e chiaroscuri più marcati. Ma l’algida compostezza delle opere di Carlo Sbisà raggiunge subito un grandioso successo, sin dalla Biennale di Venezia del 1922, in cui presenta un Ritratto.

Successo di critica

Ne espone altri due alla Biennale successiva, Elisabetta e Maria e Ritratto femminile a quella del 1926, fino a giungere a quella del 1928, in cui compare la bellissima Venere della scaletta, che sembra unire modalità rinascimentali ad elementi ingresiani e che gli procura un unanime successo di critica.

Alla Biennale del 1930 invia La disegnatrice, dipinto dai forti riferimenti classici nella resa prospettica e atmosferica, e Ifigenia. Alla I Quadriennale di Roma del 1931, Carlo Sbisà partecipa con La nuotatrice, mentre alla Biennale veneziana del 1932 con Ritratto dell’amico, La Venere del navicello e Ritratto del palombaro.

Tra gli anni Trenta e Quaranta sono numerosi gli affreschi cui si dedica il pittore, ad esempio alla Chiesetta dell’Ospedale Psichiatrico di Trieste, nella Casa del Combattente e presso la Galleria Protti. Come scultore, lavora alla decorazione di diverse chiese, come quella della Beata Vergine del Soccorso a Trieste e il Santuario di Monrupino.

 

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