Giuseppe Bartolomeo Chiari

Giuseppe Bartolomeo Chiari. Particolare della Presentazione in cielo di Marcantonio Colonna alla Vergine, 1700. Tecnica: Affresco
Particolare della Presentazione in cielo di Marcantonio Colonna alla Vergine, 1700. Tecnica: Affresco

Biografia

Giuseppe Bartolomeo Chiari (Roma, 1654 – 1727), ancora molto piccolo, intorno ai dieci anni, compie la sua iniziale formazione presso il pittore e mercante di quadri Carlantonio Galliani (1635-1701), nella sua bottega in via del Babuino.

Le fonti datano al 1666 il momento in cui Galliani introduce il giovanissimo pittore nell’atelier di Carlo Maratta (1625-1713). Ben presto, diventa il primo erede e il più stretto collaboratore del grande pittore che ha dominato, incontrastato, il secondo Seicento e il primo Settecento romano.

L’erede di Maratta

Sotto il pontificato di Clemente XI Albani, specialmente dopo la morte di Maratta, avvenuta nel 1713, Giuseppe Bartolomeo Chiari diventa il pittore prediletto dal papa e dalla famiglia Albani. Il suo linguaggio, nella decisa prosecuzione dei modi maratterschi, già presenta, però, i primi accenni di quella poetica proto rococò che lo rendono più moderno del maestro.

Dopo aver collaborato con Maratta nella decorazione di Santa Maria del Suffragio, occupandosi in particolare dei quadri laterali della Cappella Marcaccioni nel 1682, inizia la fiorente carriera del pittore. Fino agli inizi del Settecento, sono diverse le occasioni in cui lavora a fianco del maestro, basta ricordare la realizzazione dei mosaici della cappella dell’Assunzione in San Pietro e la lavorazione dei cartoni per la Cappella della Presentazione, sempre nella Basilica.

Per questo motivo, la prima produzione di Giuseppe Bartolomeo Chiari è risultata di difficile datazione e soprattutto è stata spesso confusa con quella del maestro, come si è verificato per le pale eseguite per la Cappella Montioni in Santa Maria in Montesanto.

La carriera romana sotto papa Clemente XI

Il dominio del pittore, dopo la morte di Maratta, si verifica subito con l’ottenimento di un’importantissima commessa da parte del papa, la campagna di rinnovamento della Basilica di San Clemente del 1714.

Il tono aulico, il classicismo moderato, la ripetizione di stilemi maratteschi sopravvive per gran parte della produzione di Chiari, che, verso la fine del Seicento entra in contatto con il clima culturale legato a Giovanni Pietro Bellori. Collaborando con quest’ultimo, esegue decorazioni per i Barberini, ma lavora anche per gli Ottoboni, a Palazzo Colonna, a Palazzo Corsini e in San Silvestro in Capite.

L’apprezzamento nei confronti del pittore giunge non soltanto per la massima rappresentazione del classicismo barocco, ma anche per l’adozione, soprattutto nella maturità, di uno stile composito. La solidità monumentale ereditata da Maratta si unisce ad un cromatismo più leggero ed armonioso. In una lettura cromatica che anticipa gli esiti del rococò.

Nonostante Giuseppe Bartolomeo Chiari abbia lavorato solamente in ambito romano, ha ricevuto numerose committenze anche a livello europeo, da aristocratici francesi, inglesi e tedeschi, come il conte di Schaumburg Lippe-Bückeburg, che lo ha incaricato di eseguire tre tele, due delle quali ancora conservate sulle pareti dello scalone del castello di Bückeburg, in Bassa Sassonia.

Caro all’Accademia di San Luca, il pittore ne diventa membro nel 1697 e ne sarà nominato principe diverse volte nel corso degli anni Venti. Muore a Roma nel 1727, all’età di settantatré anni.

Giuseppe Bartolomeo Chiari: il primo Settecento romano e il marattismo

Se Maratta è stato il maggior riferimento artistico della Roma papalina di fine Seicento e del primo decennio del Settecento, i suoi allievi hanno costituito un valido seguito dopo la sua morte. Il pittore carissimo a Clemente XI aveva infatti lanciato una sorta di koinè iconografica e stilistica che è stata ereditata in particolar modo dal suo allievo prediletto, Giuseppe Bartolomeo Chiari.

A partire dalla commessa in Santa Maria del Suffragio, in cui il pittore esegue, nella Cappella Marcaccioni, una Natività della Vergine e un’Adorazione dei Magi, si nota un’impaginazione ricca di chiarezza espressiva, segno evidente del rispetto incondizionato degli stilemi del classicismo barocco del maestro.

Di poco dopo successive e commissionate dallo stesso banchiere Francesco Montioni della cappella, sono Tullia che guida il suo carro sopra la salma di suo padre Servio Tullio e Coriolano implorato da Veturia e Volumnia di non prendere le armi contro Roma due soggetti di storia romana poi acquisiti da un collezionista inglese.

Negli anni Novanta, si occupa delle pale d’altare della Cappella Teddalini-Bentivoglio nella chiesa di San Silvestro in Capite, in cui ancora rispetta quella moderazione sintattica e cromatica appartenente a Maratta.

Un linguaggio più personale

Ulteriori sviluppi nella gestione di un linguaggio più personale si leggono negli affreschi di soggetto mitologico eseguiti per il Palazzo Barberini su programma allegorico di Bellori. Nel 1708, arriva per Giuseppe Bartolomeo Chiari uno degli incarichi più prestigiosi della sua carriera: papa Clemente XI gli commissiona dodici cartoni per la decorazione della cupola della Presentazione di San Pietro, con la Visione di San Giovanni, per poi dedicarsi anche alla decorazione della volta di una cappella in Sant’Andrea al Quirinale con La gloria degli Angeli.

Alla piena maturità, quindi al 1714, risale la Gloria di San Clemente realizzata per l’omonima basilica su commissione del papa, al centro del soffitto ligneo. La monumentalità e l’orchestrazione narrativa dell’opera si uniscono ad un’interpretazione soave e ariosa, che anticipa le istanze del rococò e che si ritrova anche in altre tele come l’Adorazione dei Magi per Ottoboni, oggi a Dresda, e quelle eseguite per la committenza europea.

Sono databili al 1715 le grandi tele realizzate per il principe di Sassonia La strage degli Innocenti, La Samaritana al pozzo e Il martirio di Santo Stefano, che presentano una drammaticità intensa, una varietà di pose e atteggiamenti, una naturalezza della composizione e una scelta soave della tavolozza che si spinge verso le tonalità pastello, che indicano una personale visione al di là dell’eredità marattesca.

La stessa morbidezza tonale e varietà compositiva si trovano nelle decorazioni settecentesche provenienti dalle grandi commissioni romane, come quella di Palazzo Colonna con L’apoteosi di Marcantonio Colonna, risalente al 1700.

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