Filippo De Pisis

Biografia

Filippo De Pisis (Ferrara, 1896 – Milano, 1956), nato con il nome di Luigi Filippo Tibertelli, ancora giovanissimo, inizia a studiare disegno a Ferrara con il professor Edoardo Domenichini e contemporaneamente si interessa alla letteratura.

In effetti, nel 1914, dopo gli studi classici, si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Qui entra subito in contatto con le personalità più importanti della letteratura italiana ermetica e simbolista del tempo, tra cui Dino Campana e Umberto Saba.

Col tempo, diventa sempre maggiore l’interesse di Filippo De Pisis per l’arte antica: inizia infatti a scrivere alcuni saggi sui maestri ferraresi del Quattrocento e del Rinascimento, pur collaborando anche a riviste d’avanguardia come “Lacerba”.

L’importanza di Ferrara

Di lì a poco, Ferrara diventerà il luogo d’incontro di alcuni degli artisti più influenti del Novecento. I fratelli Giorgio De Chirico (1881-1978) e Alberto Savinio (1891-1952) vengono inviati nella città emiliana durante la Prima guerra mondiale, nel reggimento di fanteria. Qui, stringono amicizia con Carlo Carrà (1881-1966), anch’egli inviato a Ferrara.

Questa felice congiunzione permette l’incontro cruciale di questi artisti con Filippo De Pisis, che li ospita nell’appartamento della sua famiglia in Palazzo Calcagnini, in via Montebello. Il periodo a cavallo tra il conflitto e gli anni Venti risulta fondamentale per tutti e quattro i pittori, che si nutrono di scambi e suggestioni reciproche.

In particolare, De Pisis vive il suo momento metafisico soprattutto in qualità di critico e sostenitore delle idee di De Chirico. Allo stesso tempo, sembra essere entusiasmato anche dal Futurismo, in special modo nella sua declinazione teatrale e scenografica, come conferma la corrispondenza epistolare che intrattiene con Enrico Prampolini (1894-1956) e Fortunato Depero (1892-1960).

Non è poi da dimenticare il fitto rapporto epistolare che lo lega anche ai rappresentati della cultura cubista, surrealista e dada a Parigi, tra cui Guillaume Apollinaire (1880-1918) e Tristan Tzara (1896-1963). Fortemente affascinato dagli sviluppi del Cabaret Voltaire a Zurigo, invia anche alcuni testi e collages ai suoi amici, che però non verranno mai esposti o pubblicati.

Dall’attività critica a quella pittorica

L’approccio di Filippo De Pisis da critico e da studioso caratterizza tutto il fiorente periodo che va dalla fine della guerra all’inizio degli anni Venti. Nel 1918, scrive su “Valori Plastici” l’articolo Pensieri per una nuova arte – L’arte figurativa e l’arte plastica.

Nel 1920 avviene il suo trasferimento a Roma, dove si inserisce immediatamente nell’ambiente culturale del Caffè Greco e del Caffè Aragno. Si interessa poi alla pittura del Seicento, frequentando giornalmente i ricchi musei romani, ma allo stesso tempo, coltiva la sua passione per l’arte classica, che lo stimola attraverso l’osservazione del frammento o del valore che ha dal punto di vista del “collezionare”. De Pisis, infatti, è anche un collezionista di piccoli oggetti, minuterie e memorie.

Ma in particolare la passione per l’arte del Seicento e per l’Impressionismo francese viene condivisa con il pittore Armando Spadini (1883-1925), di cui diventa amico e con cui inizia a dipingere en plein air a Roma e nella campagna circostante.

Nel 1920 espone per la prima volta alla Galleria d’Arte Bragaglia alcuni dipinti e acquarelli, senza riscuotere particolare successo. Nel 1925, invece, espone con più risultati alla Biennale romana, portando con sé alcune suggestioni raccolte durante i soggiorni ad Assisi, dove rimane profondamente colpito da Giotto.

A questo punto, la poetica di Filippo De Pisis abbandona definitivamente le prime suggestioni dada e metafisiche per inoltrarsi in un Impressionismo leggero e sciolto che risulta anche come un omaggio a Spadini, morto proprio nel 1925, anno in cui l’artista parte alla volta di Parigi.

Un “Italien de Paris”

Rimane a Parigi fino al 1939, sviluppando qui la sua vera personalità artistica. Nonostante entri in contatto con gli artisti delle avanguardie, è soprattutto attratto dalle opere impressioniste.

È così che schiarisce fortemente la sua tavolozza, dipingendo in maniera rapida e sintetica, con una scelta parsimoniosa del colore che spesso lascia trasparire le trame della tela e che sembra richiamare le espressioni artistiche dell’ultimo Tiziano.

È proprio a Parigi, dunque, che si definisce a pieno la poetica del pittore ferrarese, nella sua leggerezza esecutiva e caducità espressiva. Sono gli anni in cui partecipa alle Mostre di Novecento, alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali romane e a numerose mostre parigine. Nel 1926 allestisce la sua prima personale alla Galerie au Sacre du Printemps, presentato dall’amico De Chirico.

Continua poi a lavorare come critico per diverse riviste come “Emporium” e “Il selvaggio”. Durante l’intenso periodo parigino, soggiorna a Londra dal 1933 al 1936 e poi rientra in Italia allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Vive prima a Milano e poi a Venezia, dove si dedica prevalentemente a nature morte e paesaggi.

Nel 1947, Filippo De Pisis si reca di nuovo a Parigi, ma dopo un breve periodo è costretto a ritornare in Italia a causa di una malattia nervosa, che piano piano lo costringe ad abbandonare la pittura. Ciò, è forse dovuto anche agli accadimenti della Biennale di Venezia del 1948, che gli dedica una sala personale, ma non gli consegna il Gran Premio della Giuria per la sua dichiarata omosessualità.

Le ultime immagini, simbolo di una strenua fedeltà all’arte, sono realizzate ad inchiostro su carta. Muore a Milano nel 1956, a sessant’anni.

Filippo De Pisis: dalla metafisica ad un linguaggio lirico e personale

La personalità eccentrica e sensibilissima di Filippo De Pisis costituisce il fulcro della sua poetica. La sua iniziale vocazione di scrittore e critico lo accompagnerà anche nella carriera pittorica, facendo di lui un autore al di fuori di movimenti specifici e fedele ad una visione personale e poetica della pittura.

Dopo i primi approcci di matrice dadaista e metafisica, il pittore si spinge verso un Impressionismo tutto derivato dalla frequentazione di Spadini a Roma all’inizio degli anni Venti. Ma l’orientamento di De Pisis risulta sin da subito più sintetico, vago, sfumato. I suoi paesaggi sono veloci e disinvolti, così come le figure e le nature morte.

Il tocco leggero, a tratti più brillante, a tratti più spento è una diretta trasposizione della sua personalità, un’interpretazione lirica e cromatica delle sue emozioni. Molto vicino al tratto delicato di Pierre Bonnard (1867-1947), si chiama fuori dall’imperante e solenne ritorno all’ordine, per creare una trasposizione tutta personale e impalpabile dell’Impressionismo.

Nel 1926 partecipa per la prima volta alla Biennale veneziana con una Natura morta e vi ritorna due anni dopo con una Natura morta marina. L’archeologo e Frutta compaiono invece a quella del 1930. L’anno successivo è alla Quadriennale di Roma con un Paesaggio e quattro Nature morte dai colori intensi e vivi.

Riporta un grande successo con una personale di diciassette opere alla Biennale del 1932. Tra i dipinti più significativi vi sono Venezia – la Posta, Natura – pesci e limoni, Giardino, San Marco, Via a Parigi, Notre Dame e Anitra appesa.

Un’altra personale si tiene alla Quadriennale di Roma del 1935, in cui espone, tra le diciannove opere, Ritratto di giovane, Natura morta con ghiandaia, Fiori di campo in un bicchiere, Figura in un interno chiaro, Bottega di antiquario e Fiori e farfalle.

Pochi segni e semplici sensazioni cromatiche sintetiche e veloci compaiono nei dipinti degli anni Quaranta, come Berkeley Square, Londra, Il piede romano e Sala d’armi.

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