Sommario
Biografia
Jusepe De Ribera (Xàtiva, 1591 – Napoli, 1652) detto lo Spagnoletto, uno dei più grandi protagonisti della pittura partenopea della prima metà del XVII secolo, nasce in una cittadina vicino Valencia. Già nei primi anni del Seicento si pensa possa aver raggiunto l’Italia, approdando a Genova o a Napoli.
Da Parma a Roma
È sicuro, in ogni caso, che Jusepe De Ribera abbia prima frequentato il nord Italia: nel 1611 è attestato a Cremona e poi a Parma, probabilmente nella corte dei Farnese, dove ha modo di avvicinarsi alla pittura di Correggio (1489-1534) e di Parmigianino (1503-1540) e di conoscere l’attività dei Carracci.
Ma la vera formazione del pittore spagnolo avviene una volta giunto a Roma nel 1613. Qui, il suo carattere esuberante e sincero conquista ben presto gli artisti che frequentano l’Accademia di San Luca, dove chiede di essere ammesso.
Si avvicina ai maggiori rappresentanti del caravaggismo romano, tra cui gli olandesi Hendrick ter Brugghen (1588-1629), Gerard van Honthorst (1592-1656) e Theodor Baburen (1595-1624).
La carriera a Napoli
Dopo la prima formazione romana, Jusepe De Ribera si sposta a Napoli, dove giunge molto probabilmente nel 1616, per sfuggire ad alcuni creditori romani. Nella città partenopea, il pittore trova subito la sua dimensione: sposa Caterina Azzolino, figlia del pittore siciliano attivo a Napoli Bernardino il Siciliano (1572-1645), presso cui si stabilisce al suo arrivo a Napoli, nei Quartieri Spagnoli.
Alla prima fase napoletana risale una cospicua serie di tele di grande valore stilistico e tecnico, che già evidenziano la predilezione per un ricco impasto cromatico e per una dimensione chiaroscurale di derivazione caravaggesca.
Vero portavoce del naturalismo partenopeo, il pittore ottiene un immediato successo, vista anche la protezione che ottiene, attorno agli anni Venti, dal duca di Ossuna, viceré di Napoli, che lo nomina pittore di corte.
Numerose committenze giungono anche dalle più importanti famiglie della città, tra cui i Doria, e il duca d’Alcalà, ambasciatore spagnolo. Il naturalismo di Caravaggio (1571-1610) viene filtrato attraverso l’uso di un andamento espressivo molto forte, a tratti crudo e lontano da qualsiasi forma di edulcorato consenso.
In effetti, le rappresentazioni di Jusepe De Ribera, che siano esse a soggetto mitologico, sacro o profano, passano sempre attraverso un ridimensionamento della visione ideale.
Il successo
L’esempio dell’antico, insieme ad una tecnica perfetta ed impeccabile accompagnano il pittore in questa missione di diffusione di uno spiccato realismo delle emozioni, delle pose, delle nefandezze e delle oscenità del potere.
Il carattere provocatorio e per nulla celebrativo o encomiastico delle tele dello Spagnoletto proviene sicuramente dall’osservazione della sofferenza e del grottesco scovato nei vicoli napoletani. Un successo grandioso avvolge il pittore sin dalla fine degli anni Venti, quando si trasferisce in una sontuosa dimora a Chiaia. In breve tempo, diventa un esempio da seguire per diversi pittori naturalisti di area napoletana, tra cui Juan Do (1601-1656).
Gli anni Trenta e Quaranta
Ma negli anni Trenta, Jusepe De Ribera applica una decisiva svolta alla sua pittura: un cromatismo più luminoso e chiaro, impreziosito da una reminiscenza barocca e sontuosa che deriva dall’assorbimento della pittura di Rubens (1577-1640) e di Antoon van Dyck (1599-1641), mediante la frequentazione di pittori più giovani come il Grechetto (1609-1664) e Pietro Novelli (1603-1647), presenti a Napoli negli anni Trenta.
Immettendo un caldo cromatismo nelle sue tele, si allontana, perciò, dal forte chiaroscuro degli anni precedenti e si abbandona ad un maggiore equilibrio emotivo e compositivo che richiama il Cinquecento veneto e che porta avanti fino a tutti gli anni Quaranta. Le commissioni spagnole caratterizzano questi ultimi decenni di vita particolarmente produttivi.
Colto da una malattia nervosa, ed interrotto dalla rivolta di Masaniello nel 1647, Jusepe De Ribera si rifugia nel Palazzo Reale di Napoli e continua a dipingere fino agli ultimi tempi, mentre contemporaneamente è maestro di Luca Giordano (1634-1705). Muore a Napoli nel 1652, a sessantuno anni.
Jusepe De Ribera: naturalismo radicale e tenebrismo nella Napoli del primo Seicento
Nella prima fase di produzione a Roma, Jusepe De Ribera sfoggia un naturalismo lontano da qualsiasi intento decorativo. La derivazione caravaggesca viene ancor più approfondita nel suo andamento espressivo e a tratti crudo, come si nota dalla serie dedicata ai Cinque sensi.
Giunto a Napoli, un cromatismo forte e suggestivo caratterizza le tele realizzate per il conte di Ossuna, il San Girolamo e l’angelo del Giudizio, il San Pietro penitente, il San Sebastiano orante ed il Martirio di san Bartolomeo che circondavano la tela centrale con un crudo Calvario.
L’intensa modulazione del chiaroscuro è la cifra caratteristica dello Spagnoletto degli anni Venti, votato a rappresentare un naturalismo drammatico e grottesco, come si può leggere da una delle sue tele più famose, il Sileno ebbro del 1626, conservato al Museo di Capodimonte ed eseguito per il collezionista fiammingo Roomer.
Poco dopo, viene coinvolto nella prima committenza pubblica: viene incaricato di realizzare il San Girolamo e l’angelo del Giudizio per la Chiesa della Santissima Trinità delle Monache, dipinto ricco di richiami all’iconografia di San Matteo e l’angelo di Caravaggio, ma anche contrassegnato da un maestoso tenebrismo cromatico.
Diversi Filosofi e Apostoli risalgono a questo periodo e alla committenza del duca di Alcalà, ma anche l’inconsueto soggetto Maddalena Ventura con il marito e il figlio, conservato al Prado di Madrid e conosciuto negli inventari dell’epoca con il nome di “muier barbuda”.
Il tenebrismo e il cupo espressionismo di Jusepe De Ribera si esaurisce intorno alla metà degli anni Trenta, con la serie dei Giganti, in cui già si assiste ad un progressivo schiarimento della tavolozza.
La svolta luminista e classicista
L’orientamento verso una gamma cromatica più calda e luminosa e verso esiti più spiccatamente barocchi si verifica a partire dall’Immacolata concezione per il convento de las Agustinas Descalzas di Salamanca, commissionata dal conte di Monterey, per cui realizza anche il San Gennaro in gloria.
Questo indirizzo pittoricista compare nella maggior parte delle opere successive, tra cui Il martirio di San Filippo del 1639, conservato al Prado e commissionato dal viceré di Napoli. In questo dipinto, la drammaticità della scena si unisce ad un naturalismo ormai modulato su tinte più chiare ma ugualmente espressive, pur senza quella crudeltà delle tele della giovinezza.
Negli anni Quaranta, nonostante la malattia nervosa, Jusepe De Ribera si occupa di alcune opere sacre particolarmente significative: realizza le tre tele per la cappella di Sant’Ignazio di Loyola nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli e per la Cappella del Tesoro di San Gennaro esegue, nel 1646, il luminoso San Gennaro esce illeso dalla fornace.
Tra le ultime tele vi è la Comunione degli apostoli per la Certosa di San Martino, realizzato nel 1651 e caratterizzato da un’estrema ponderazione delle forme e da una profonda indagine emotiva dei personaggi.
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