Vincenzo De Stefani

Vincenzo De Stefani. Il Crollo, 1924. Tecnica: Olio su tela. Firmato e datato in basso a sinistra "Vincenzo De Stefani 1924"
Il Crollo, 1924. Tecnica: Olio su tela. Firmato e datato in basso a sinistra "Vincenzo De Stefani 1924"

Biografia

Vincenzo De Stefani (Verona, 1859 – Venezia, 1937), diplomatosi in ragioneria, non riesce ad ignorare la sua propensione per il disegno e la pittura, quindi decide di frequentare l’Accademia Cignaroli di Verona.

Qui ha come insegnante Napoleone Nani (1841-1899) e come compagni di corso Alessandro Milesi (1856-1945) e Angelo Dall’Oca Bianca (1858-1942).

Sin da subito, la pittura di Vincenzo De Stefani si allinea con naturalezza alla pittura di genere di stampo favrettiano, pur non rimanendo troppo ancorato alla sua frivolezza tematica.

Stilisticamente molto vicino al suo amico Angelo Dall’Oca Bianca, porta avanti una pittura fresca e dal cromatismo sciolto e vibrante, con una sensibile attenzione al vero.

Tra dipinti e cicli decorativi

La tavolozza briosa non caratterizza soltanto la pittura da cavalletto, ma anche i grandi cicli decorativi di carattere storico realizzati in area veneta. Ne è un esempio fondamentale la decorazione della Torre di San Martino della Battaglia, realizzata nel 1890 in collaborazione con Vittorio Emanuele Bressanin (1860-1941) e Giuseppe Vizzotto Alberti (1862-1931).

Con quest’ultimo, Vincenzo De Stefani si occupa anche della decorazione del Palazzo Provinciale di Venezia, per cui utilizza la tecnica dell’encausto, dando vita ad una delle sue opere più famose e riuscite.

Questi cicli decorativi denunciano la vicinanza dell’artista veronese al linguaggio celebrativo e purista di Cesare Maccari (1840-1919), frequentato nel corso di un soggiorno romano della fine degli anni Ottanta.

Dal punto di vista della pittura da cavalletto, subisce notevolmente anche l’influenza di Filippo Carcano (1840-1914), soprattutto nella resa lirica e naturalista dei paesaggi.

Passando con scioltezza e abilità dalla scena di genere, alla veduta, al ritratto, alla decorazione, Vincenzo De Stefani vive il suo periodo di maggior successo tra gli anni Novanta e l’inizio del Novecento.

Vincenzo De Stefani: l’intensa attività espositiva

Partecipa a numerose esposizioni italiane, tra cui la Biennale di Venezia dal 1895 al 1930, ma anche a mostre estere, tra cui l’Esposizione di Monaco del 1892, dove ottiene anche la medaglia d’oro.

Ma purtroppo, la sua fortuna critica comincia a subire un calo quando, nel 1898, perde il concorso per la direzione dell’Accademia Cignaroli. Trasferitosi in seguito a Venezia, si dedica soprattutto ad una pittura di paesaggio incentrata sui valori cromatici trasmessagli da Pietro Fragiacomo (1856-1922).

Si rivolge dunque in particolare al mercato veneto e, per circa dieci anni, la sua produzione, pur essendo sempre presente alla Biennale, viene considerata provinciale e ancora legata profondamente alla tradizione ottocentesca.

Tra gli anni Dieci e Venti, però, la sua attività sembra riprendersi rapidamente, tramite l’uso di un impianto cromatico brillante ed una pennellata libera e vivace. Vincenzo De Stefani, a partire dal 1918-19 comincia ad adeguarsi con coscienza ed equilibrio alle novità del ritorno all’ordine, dando vita a tele dalle atmosfere più scarne e pure, molto intense dal punto di vista narrativo e compositivo.

Il successo ritorna in particolare alle Biennali degli anni Venti e alle personali che lo accompagnano fino agli anni Trenta, tra cui quelle della Galleria Pesaro di Milano. In questo cambiamento stilistico di grande fortuna si conclude la vicenda artistica di Vincenzo De Stefani che muore a Venezia nel 1937, a settantotto anni.

Gli esordi e il legame con la tradizione ottocentesca

L’esordio di Vincenzo De Stefani avviene presso l’Esposizione di Belle Arti di Roma del 1883 con il paesaggio Il corno d’Aquilio. Vespero viene presentato alla Promotrice torinese del 1884, Alle botte e Cravatta nera a quella di Genova del 1885. Si tratta di vedute e dipinti di genere che inseriscono la prima produzione del pittore veronese nella tradizione tipicamente ottocentesca.

Il paesaggio lirico e sentito si lega al linguaggio di paesaggisti veneti e lombardi della stagione verista, mentre la pittura di genere è profondamente connessa alle espressioni favrettiane anche se private dell’eccessivo carattere aneddotico.

Anche nel ritratto, Vincenzo De Stefani sembra legarsi ai modi di Dall’Oca Bianca, soprattutto nell’uso di una stesura delicata e brillante, ma anche disinvolta, come si nota da Triste convalescenza, Melanconica, Pomeriggio, Ritratto e Nel tempo delle cicale, presentati all’Esposizione Nazionale di Venezia del 1887.

Con Ritratto e Notturno prende parte alla I Biennale di Venezia del 1895, con Ritratti di Bianchina a quella del 1897 e con Nymphale e tre Ritratti alla successiva del 1899. A questo punto, il lavoro di Vincenzo De Stefani, accompagnato anche dall’impegno nel campo della decorazione, subisce un lieve calo, soprattutto per il suo costante rimando alla tradizione ottocentesca.

Per tutto il primo decennio del Novecento, partecipa alle Biennali veneziane con paesaggi, scene e ritratti ricchi di atmosfere liriche ed evocative, che però, lo chiudono in una nicchia prettamente veneta, da cui uscirà soltanto dopo il primo conflitto mondiale.

Nel 1912, comunque, tiene una personale alla Biennale di Venezia, in cui espone trentacinque opere, tra cui Meriggio, Donna feltrina, Ritratto di Eleonora Duse, Sera in montagna, Luna settembrina, Fanciulla al sole, Un’ombra, Il paralitico e Prima neve, che cominciano ad offrire importanti concessioni al Simbolismo.

Il rinnovamento stilistico degli anni Venti: verso il ritorno all’ordine

Il vero e proprio cambiamento del linguaggio viene operato da Vincenzo De Stefani dopo la Prima guerra mondiale. Coinvolto nel clima di ritorno all’ordine e debitore delle atmosfere casoratiane e beraldiniane, il pittore veronese tiene una grande personale alla Galleria Pesaro nel 1918.

Ma è alla Biennale del 1920 che si leggono le prime novità, ad esempio nell’intenso dipinto L’epilogo, seguito poi dal capolavoro drammatico e vigoroso Il crollo, presentato alla Biennale del 1924, opera che ha rinnovato decisamente la fortuna critica di Vincenzo De Stefani negli anni Venti.

La sua pittura si fa meno vezzosa e decorativa e si riempie di atmosfere nude, nitide e pulite, definite da un cromatismo diretto e senza fronzoli. Così come si nota dal dipinto Le buone parole esposto alla Biennale di Venezia del 1926 insieme a Il racconto e Questa è la mia felicità.

Tiene ancora una personale alla Galleria Pesaro nel 1928, in cui espone ben quarantanove opere, tra cui Il nido, Scherzo, Vallata alpina, Midinette, Prima nevicata, Casa a Torcello ed una serie di nature morte. Nel 1931 espone alla Quadriennale di Roma Ritratto della pittrice S.E., mentre al 1932 risale la sua ultima partecipazione alla Biennale con Il gallo bianco.

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