Donato Creti

Donato Creti. Figura allegorica (dettaglio). Tecnica: Olio su tela
Figura allegorica (dettaglio). Tecnica: Olio su tela

Biografia

Donato Creti (Cremona, 1671 – Bologna, 1749), figlio di un pittore quadraturista e nipote di Margherita Caffi (1647-1710), famosissima per le sue nature morte di fiori, dimostra sin da bambino una spiccata propensione per il disegno.

Formatosi a Bologna, presso la Scuola del Nudo di Lorenzo Pasinelli (1629-1700), studia anche da autodidatta, appassionandosi in particolare alle incisioni tratte da Guido Reni (1575-1642). A Bologna, viene notato, giovanissimo, dal conte Alessandro Fava ed entra subito sotto la sua ala protettiva.

I primi incarichi presso la famiglia Fava a Bologna

Il conte lo ospita nel prestigioso Palazzo Fava, che conserva il ciclo decorativo con le Storie di Giasone e Le storie di Enea di Agostino (1557-1602) e Annibale Carracci (1560-1609). Nei primissimi anni al servizio dei Fava lavora soprattutto come disegnatore, come testimoniano alcune opere grafiche conservate agli Uffizi e datate 1685.

Le prime prove pittoriche, eseguite da Donato Creti altrettanto precocemente, sono ritratti che risalgono alla fine degli anni Ottanta del Seicento. In seguito, rimane una lacuna biografica di circa dieci anni, in cui sicuramente il pittore ha compiuto i canonici viaggi formativi nelle città italiane. Di certo è stato documentato a Venezia, dove ha modo di avvicinarsi ai pittori del Cinquecento veneto, ed in particolare a Veronese (1528-1588).

La maturazione artistica

La vera e propria affermazione di Donato Creti giunge, però, nei primi anni del Settecento, quando, ormai trentenne, lavora sia come pittore di genere che come decoratore, occupandosi tanto di temi mitologici, quanto di episodi storici.

Attorno al 1700 si datano gli affreschi della Rocca di Novellara e poi le commissioni di Magnani, di Pepoli, ancora del conte Fava. Nel 1709, partecipa alla fondazione dell’Accademia Clementina di Bologna, di cui dal 1712 è direttore dei corsi di pittura e nel 1728 ne viene nominato principe.

Tra gli anni Dieci e venti del Settecento, la fama e l’importanza di Donato Creti crescono costantemente, grazie anche alla commissione del conte Marsili per papa Clemente XI e alla realizzazione di un murale nel portico dell’Archiginnasio di Bologna.

Il mecenatismo delle famiglie bolognesi nei confronti del pittore si diffonde prima in altre città italiane e poi in tutta Europa. I collezionisti e i principi sono affascinati dal lirismo della sua pittura, che risente delle suggestioni di Guido Reni, dei Carracci, di Domenichino (1581-1641), ma anche di Poussin (1594-1665).

Si tratta di uno stile aulico, composto ed equilibrato che lo porta ad essere chiamato a collaborare alla Serie di Tombe allegoriche di personaggi inglesi per il duca di Richmond tra gli anni Venti e Trenta. Da questo momento in poi e fino agli ultimi anni, Donato Creti viene richiesto soprattutto per opere sacre da collocare in chiese di area emiliana e lombarda. Raggiunto il massimo del successo, muore a Bologna nel 1749, a settantotto anni.

Donato Creti: un classicismo lirico ed armonioso nella Bologna della prima metà del Settecento

Tra le prime opere conosciute di Donato Creti vi sono, come accennato, i disegni conservati agli Uffizi, che mostrano freschezza compositiva, utilizzo parsimonioso del chiaroscuro e un tratto sicuro e veloce. Tutta questa produzione grafica appartiene al periodo passato in casa Fava, così come il Ritratto di ragazzo con due candele del 1688.

Tra le prime opere mature compare una Vecchia che racconta ad una giovane la favola di Psiche, opera di genere che precede alcune delle tele più importanti di Donato Creti e che segnano il vero e proprio inizio della sua carriera.

Tra queste vi è Filippo di Macedonia frena l’ira di Alessandro, opera di storia che dà avvio ad una serie di soggetti simili o mitologici che hanno come caratteristica principale un equilibrio compositivo, un classicismo aulico e idilliaco e una scelta tonale delicata, tratti fondanti dello stile del pittore, come si nota anche dagli affreschi.

Uno su tutti, quello del soffitto della Sala di Alessandro in Palazzo Pepoli, dove esegue Alessandro Magno che taglia il nodo gordiano nel 1708, che si inserisce nell’architettura dipinta ed illusionistica di Marcantonio Chiarini (1652-1730).

Nello stesso palazzo, si trovano anche le scene dell’Olimpo di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747), ma il naturalismo umoristico di quest’ultimo si contrappone alla visione classicista e ariosa di Donato Creti e di Chiarini.

Nel 1711, il pittore è impegnato nella stesura delle otto tele con Scene astronomiche commissionate dal Conte Marsili per papa Clemente XI, affinché fosse invogliato ad allestire un osservatorio astronomico nell’Accademia delle Scienze di Bologna.

Questa impresa è seguita dagli affreschi nel portico dell’Archiginnasio di Bologna, tra cui spiccano le candide e armoniose Storie di Achille, che anticipano la nitida e immacolata eleganza del Ballo delle Ninfe eseguito per il cardinale Tommaso Ruffo, legato di Bologna a Roma.

Quest’ultima opera gli vale la nomina a Cavaliere dello Speron d’Oro, ma l’incarico prevedeva anche altre due tele con La regina di Saba davanti a Salomone e con Salomone adora gli idoli. In esse, torna l’atmosfera idilliaca del Cinquecento emiliano, filtrata dallo studio delle scene mitologiche di Francesco Albani (1578-1660).

L’ambientazione arcadica delle tele di Donato Crespi fa di lui uno dei pittori più importanti del primo Settecento bolognese, come dimostrano anche le numerose opere religiose e le tele realizzate per i committenti esteri, tra cui Alessandro che presenta la lettera al suo medico per il duca di Noialles o Alessandro, Apelle e Campaspe per il Palazzo Reale della Granja de Sant’Idelfonso, andata perduta.

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