Sommario
Biografia
Emilio Pettoruti (La Plata, 1892 – Parigi, 1971) nato in argentina da una famiglia di origini italiane, mostra molto precocemente la sua predisposizione all’arte. Incoraggiato da suo nonno, il pittore José Casaburi, appena quindicenne, inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Buenos Aires, che in quegli anni era al centro di un coinvolgente fermento artistico e culturale.
Ben presto, però, Emilio Pettoruti si accorge di non trovare soddisfazione nell’apprendimento di stampo accademico e così continua a studiare da autodidatta, per poi divenire allievo di Emilio Coutaret (1863-1949) architetto, pittore e professore di disegno alla Scuola del Museo di Storia Naturale di Buenos Aires.
Sin dalle prime espressioni artistiche del giovane pittore si nota una grande attenzione alla linea, che usa prevalentemente per realizzare caricature. Notato da un politico argentino, ottiene una borsa di studio per compiere un viaggio all’estero.
Il trasferimento a Firenze
Non appena ricevuta la borsa di studio, Emilio Pettoruti compie il suo primo soggiorno a Firenze, dove rimane dal 1913 al 1916. Qui, porta a termine la sua formazione studiando attentamente i maestri primitivi del Trecento e del Quattrocento e poi il Rinascimento toscano.
Contemporaneamente, inizia a frequentare il gruppo di artisti futuristi che gravita attorno alla rivista “Lacerba”. Sono di questi anni, infatti, le sue composizioni di stampo cubo-futurista, in cui opera attraverso l’intersezione di più piani, l’inserimento di caratteri a stampa e l’uso della tecnica del collage, molto presente nelle sue prime opere.
Alla fine del novembre del 1913, partecipa alla prima Esposizione di pittura futurista di Lacerba alla Libreria Gonnelli di Firenze, insieme a Ardengo Soffici (1879-1964), Carlo Carrà (1881-1966), Luigi Russolo (1885-1947), Umberto Boccioni (1882-1916) e Gino Severini (1883-1966).
L’anno successivo, è presente alla I Mostra Internazionale del Bianco e Nero e poi di nuovo nel 1916 espone alla Gonnelli, questa volta già più orientato verso un astrattismo dinamico con cui si avvicina sensibilmente alle intersezioni iridescenti ed eleganti del Cubismo Orfico di matrice francese.
Gli anni romani e milanesi
Tra il 1916 e il 1917, Emilio Pettoruti si trasferisce a Roma, dove lavora incessantemente dedicandosi non solo alla pittura, ma anche alle arti applicate. Realizza vetrate dipinte e mosaici che rispondono sempre a quegli incessanti ritmi compositivi a metà tra il Cubismo, il Futurismo e l’Astrattismo.
Dal 1917 al 1921, si trasferisce a Milano, dove entra in contatto con il Gruppo Novecento e si lega in particolare a Mario Sironi (1885-1961). Dopo un breve soggiorno a Berlino, dove tiene una personale alla Galleria De Sturm, passa qualche tempo a Parigi, dove incontra Severini e conosce Juan Gris (1887-1927).
Il ritorno in Argentina e gli ultimi anni a Parigi
Nel 1924, vista la situazione italiana, ormai oppressa dal regime di Mussolini, Emilio Pettoruti, intellettuale contrario al Fascismo, ritorna in Argentina. Nel 1927 gli viene affidata la direzione artistica del Museo Provinciale di Belle Arti di La Plata, sua città d’origine.
La sua produzione di questi anni è concentrata soprattutto sulla rappresentazione cubista di artisti di strada, arlecchini, ballerini di tango argentino, ma si dedica anche alla natura morta, resa attraverso una tavolozza viva e un’interpretazione focale della luce.
Le campiture piatte di colore si accostano l’un l’altra con un gioco di equilibri energici e vivaci, unendo la matrice cubista a quella futurista, con diversi riferimenti a Severini, ma anche alla pittura giocosa e scenografica di Fortunato Depero (1892-1960).
Nel 1946, Emilio Pettoruti, con l’avvento di Juan Peron, lascia la direzione del Museo e, nel 1952, per divergenze politiche, rientra in Europa, stabilendosi a Parigi. Ormai completamente votato all’astrattismo geometrico, espone con successo a Roma, Firenze, Milano, Parigi, dove muore nel 1971, a settantanove anni.
Emilio Pettoruti: dalle istanze cubo-futuriste all’Astrattismo
Gli esordi pittorici di Emilio Pettoruti avvengono in seno all’ambiente futurista fiorentino di Lacerba. Tra le prime opere di questa fase vi sono alcuni saggi appartenenti al filone cubo-futurista, che afferiscono tanto al linguaggio di Picasso, quanto a quello di artisti come Boccioni o Severini.
Ne sono esempio Forze centrifughe del 1914 e i collage Gruppe de rasin dello stesso anno, Il sifone del 1915 e La voce del 1916. L’intersezione di piani, spazi e figure avviene attraverso la selezione di una tavolozza molto accesa, che si basa soprattutto sui colori primari, scelta che caratterizza sempre di più lo stile astratto della fine degli anni Dieci, come si nota in Donna al caffè, Il tavolo dello studente e L’amica del 1917.
Paesaggi, scene di interni, ritratti e soprattutto le nature morte rappresentano questa prima fase pittorica di Emilio Pettoruti, svoltasi tutta tra Firenze, Roma e Milano. Proprio mentre si trova nella città lombarda, partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1920, dove presenta Viottolo.
Ma a questo periodo risalgono anche Dintorni di Milano e Pensierosa, dipinti in cui ormai si nota un certo distacco dalle intenzioni futuriste in favore di una visibile predilezione di rappresentazioni ascensionali e verticali di matrice orfica.
La simultaneità della visione appare infatti concentrata su accordi lirici del colore e della resa luministica, per poi giungere a composizioni pienamente astratte come Vallombrosa.
Un ritorno al figurativo, però, si riscontra nel periodo argentino, in cui si dedica a rappresentazioni picassiane di saltimbanchi e ballerini: ne è esempio il dipinto Ultima serenata, del 1937. Nell’ultimo periodo trascorso in Francia quasi univoca è la propensione dell’artista verso immagini dalla forte vocazione astrattista, come La grotta azzurra di Capri, Serenite, Nella selva e Midi en hiver.
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