Francesco Furini

Francesco Furini. Antioco e la Matrigna Stratonice (dettaglio). Tecnica: Olio su tela
Antioco e la Matrigna Stratonice (dettaglio). Tecnica: Olio su tela

Biografia

Francesco Furini (Firenze, 1603 – 1646), figlio di un pittore che era stato allievo del Passignano (1559-1638), gli impartisce le prime nozioni di disegno e pittura. In seguito, anche lui passa nella bottega di Passignano, per poi continuare il suo apprendistato da Giovanni Bilivert (1585-1644), pittore di origini fiamminghe che sveva una scuola nella Galleria granducale.

Il soggiorno romano e il legame con Giovanni da San Giovanni

Nel 1619, Francesco Furini compie un viaggio a Roma, con l’intento di studiarne da vicino le antichità e le opere di Raffaello e Michelangelo. Nel periodo trascorso a Roma, frequenta anche la bottega del pittore caravaggista Bartolomeo Manfredi (1582-1622), per poi legarsi anche a Giovanni da San Giovanni (1592-1636), frescante di San Giovanni in Valdarno, giunto a Roma nel 1621.

I due pittori condividono il periodo romano e le difficoltà dell’inserirsi nel prestigioso ambiente pittorico della città papalina. A ogni modo, Furini, di lì a poco, aiuterà l’amico nell’esecuzione degli affreschi di Palazzo Pallavicini Rospiglisi a Monte Cavallo. Il Carro della notte, commissionato dal cardinale Bentivoglio, stabilisce un diretto dialogo con l’Aurora realizzata nel 1614 da Guido Reni (1575-1642).

Il rientro a Firenze

Nel 1622, il pittore fa ritorno a Firenze e inizia a lavorare a quella che oggi è ancora ritenuta la sua prima opera certa, la Crocifissione di Gesù con Santi per una chiesa di Todiano in Umbria. Le tele giovanili di Francesco Furini uniscono le linee disegnative della cultura rinascimentale fiorentina alla tendenza chiaroscurale di derivazione caravaggesca.

Lo stesso può affermare per l’Aurora e Cefalo, dipinto eseguito per la facciata di palazzo Spini a santa Trinita, in cui il tenebrismo di stampo caravaggesco lo assimila anche ad alcune prove di Artemisia Gentileschi (1593-1656). Non è un caso, infatti, che la Santa Caterina d’Alessandria degli Uffizi sia stata inizialmente ed erroneamente attribuita alla pittrice romana.

Sempre agli anni Venti risalgono altre opere di soggetti sacro, allegorico o mitologico, tra cui la Morte di Adone e La pittura e la Poesia che rivelano suggestioni derivanti dal linguaggio morbido e elegante di Guido Reni e anche del colorismo veneto.

Verso la fine del decennio, comincia dunque a mostrarsi la vera indole di Francesco Furini, indirizzato ormai verso una pittura in cui le figure tornite e ombreggiate, dai corpi morbidi e sensuali, diventano protagoniste di scene quasi teatrali, come si nota dai monocromi con la Vita di Michelangelo eseguiti in Casa Buonarroti a Firenze.

Un morbido sfumato per leggiadre figure

Negli anni Trenta Francesco Furini raggiunge un rapido successo presso le maggiori corti fiorentine. Ciò che attrae i committenti è l’utilizzo sapiente di uno sfumato che contorna le figure e le rende accattivanti, così come si nota da Deianira rapita da Nesso, dipinto oggi conservato nella Galleria Corsini di Firenze, ma eseguito all’inizio del decennio per il marchese Ricciardi.

Dello stesso periodo è l’Ila e le ninfe della Galleria Palatina, che conferma l’indirizzo dolce e levigato della pittura di Francesco Furini, che con un aggraziato tratto chiaroscurale inserisce le figure nei fondali naturalistici e dona loro un sapore magico e favolistico.

Il classicismo della composizione si unisce ad un prezioso particolarismo che si trova nelle vesti trasparenti delle ninfe o nelle perle tra i loro capelli. Ma è da segnalare anche l’intento drammatico della scena, conferito dal cielo oscuro e dal dramma visibile sul volto di Ila, compagno di Eracle rapito dalle ninfe.

Un cromatismo sontuoso

Corpi eburnei e pose espressive, insieme a un cromatismo sontuoso, caratterizzano il dipinto Giuditta e Oloferne oggi conservato a Palazzo Barberini. Stilisticamente è affine alle scene eseguite dal 1636 per la sala degli Argenti, al pianterreno di Palazzo Pitti.

Al centro delle decorazioni, terminate negli anni Quaranta e gestite insieme a Cecco Bravo (1601-1661) e a Ottavio Vannini (1585-1643), vi è la celebrazione di Lorenzo il Magnifico.

Agli anni che precedono la morte del pittore, giunta nel 1646, risalgono la particolare Sibilla, l’Andromeda della Galleria Corsini di Roma e l’unico suo ritratto pervenutoci, quello della Granduchessa Maria Vittoria Della Rovere, di grande forza introspettiva.

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