Mauro Gandolfi

Mauro Gandolfi. Testa di Uomo Barbato. Tecnica: Olio su tela
Testa di Uomo Barbato. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Mauro Gandolfi (Bologna, 1764 – 1834) figlio di Gaetano e nipote di Ubaldo, entrambi pittori, viene introdotto all’arte sin dalla tenera età.  Rispetto ai sui predecessori, il giovane risulta subito contraddistinto da un carattere insofferente ed inquieto.

Dopo aver realizzato i primi disegni e le prime incisioni, tra cui quelle per il frontespizio di un libro, appena compiuti i sedici anni, Mauro Gandolfi fugge dall’Italia per compiere un soggiorno a Marsiglia.

Qui, artista precoce e temperamento geniale, riesce a mantenersi realizzando disegni, incisioni e ritratti in miniatura. Dopodiché, si sposta da Marsiglia per stabilirsi per qualche anno a Strasburgo, senza però trovare la pace desiderata.

Rientrato dunque a Bologna, decide di continuare il percorso di studi presso l’Accademia Clementina e contemporaneamente inizia a collaborare con il padre nella realizzazione di pale d’altare e decorazioni ad affresco.

L’età napoleonica

Durante il periodo della rivoluzione francese e con la conseguente dominazione napoleonica in Italia, Mauro Gandolfi inizia il suo periodo di più intensa produttività. Molto evidente, nelle sue opere, è l’adesione al linguaggio paterno che risulta profondamente intriso non solo del disegno accademico della tradizione bolognese, ma anche del tonalismo veneto.

Proprio negli anni Novanta del Settecento è documentata la sua partecipazione al primo Congresso Cispadano istituito da Napoleone nel 1796. Visto il suo impegno in senso patriottico e nella diffusione delle idee di uguaglianza e libertà, compare come l’ideatore del Tricolore italiano. Nel 1798, inoltre organizza la “Festa della Riconoscenza”.

È proprio durante la dominazione francese che l’inquieto artista bolognese esprime al meglio la sua tensione artistica e spirituale, soprattutto attraverso commissioni e incarichi pubblici, tra cui quello della decorazione della volta di una sala del Palazzo Comunale, con la Glorificazione della Repubblica Cispadana.

In questi anni, Mauro Gandolfi ottiene anche la nomina di professore di figura presso l’Accademia Clementina, incarico che abbandona nel 1801, quando, vista la disponibilità del governo napoleonico nei suoi confronti, si avventura in un secondo viaggio in Francia, in cui rimane fino al 1805.

Questa volta, sfrutta il soggiorno per approfondire la tecnica incisoria, ma inizia a lavorare anche come restauratore e come copista di opere antiche. In effetti, tutta la sua ultima produzione si può tranquillamente ascrivere all’attività di incisore e copista.

Il soggiorno americano

Anche se è da sottolineare che il pittore è assente da Bologna dal 1816 al 1821, per un lungo viaggio in America, come sappiamo dalla sua testimonianza scritta Viaggio agli Stati Uniti d’America nell’anno 1816. In essa parla di New York, dove, conosciuti alcuni mercanti e collezionisti di arte italiana, mette su una cospicua fortuna grazie ai suoi oli e alle sue stampe.

Ma soggiorna anche a Philadelphia, città che lo colpisce anche per la sua Accademia di Belle Arti, che visita grazie alla conoscenza del direttore, cui ha donato una sua Madonna. Ritorna a Bologna da questo “amenissimo viaggio”, come egli stesso lo definisce, nel 1821.

Negli ultimi anni si dedica soprattutto all’attività di incisore e traduttore di opere per la divulgazione grafica e libraria. Muore a Bologna nel 1834, a settant’anni.

Mauro Gandolfi: l’incisione e la pittura nel segno del classicismo bolognese

Tra le prime opere di Mauro Gandolfi, eseguite in età giovanile, vi sono le decorazioni ad olio di una carrozza, con il Ratto di Elena, Venere e Nettuno, il Sacrificio di Ifigenia e le Vestali dinanzi a un tempio.

In questa prima prova decorativa l’artista dimostra apertamente l’adesione al linguaggio paterno e quindi ad una commistione tra l’opera dei Carracci, Guido Reni e Guercino e il delicato tonalismo veneto.

Ma la pittura di Mauro Gandolfi assume anche subito un segno che lo contraddistingue, soprattutto nella scelta di seguire anche modelli precedenti, come Niccolò dell’Abate o Parmigianino.

Quindi il ductus dell’autore bolognese si nota soprattutto dai disegni e dalle stampe, tecniche che lo rappresentano per tutto l’arco della sua carriera, anche più della pittura ad olio e a fresco, in cui comunque si esprime egregiamente.

Dopo il soggiorno francese e durante quello americano, il pittore si dedica quasi esclusivamente all’incisione. Famosa è la Santa Cecilia che porta anche nel suo alloggio newyorkese e di cui parla nel suo resoconto di viaggio, insieme al Sogno, venduti entrambi a cifre considerevoli.

Note sono poi le incisioni tratte dalle opere di Guercino, di Bronzino, Raffaello ma anche di suo padre Gaetano, mentre tra quelle inventate dall’artista stesso spiccano L’allegoria della Repubblica Cisalpina accompagnata dagli Emblemi repubblicani e Cupido dormiente del 1820. Tra gli oli più conosciuti vi sono il suo Autoritratto e la Scena di commiato conservata alla Pinacoteca di Bologna.

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