Vincenzo Gemito

Vincenzo Gemito. Pescatorello. Tecnica: Scultura in Bronzo, h. 21 cm (base esclusa).
Pescatorello. Tecnica: Scultura in Bronzo, h. 21 cm (base esclusa).

Quotazioni Vincenzo Gemito

Vincenzo Gemito, il maggiore scultore napoletano, ha un mercato internazionale: i disegni oscillano tra i 900 e gli 8.000 euro, ma raggiungono cifre più alte quelli di grandi dimensioni e i ritratti particolarmente rifiniti a tecnica mista. Le sculture in bronzo partono dai 2.000 euro e possono superare i 30.000 euro se di grande formato, ottima fusione e di soggetto importante.

Da fare attenzione alle numerose fusioni non autografe diffusissime sul mercato che riprendono i suoi soggetti più noti con una bassissima qualità tecnica. Queste stime sono solo orientative e dipendono da vari fattori: lo stile, il periodo, le dimensioni, il soggetto. Inviateci una foto dell’artista per una stima accurata.

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Biografia

Vincenzo Gemito (Napoli, 1852 – 1929) inserito, da neonato, nella ruota dello Stabilimento dell’Annunziata, viene adottato da un’umile donna. Il secondo marito di questa è il muratore “Mastro Ciccio” che tante volte Vincenzo prenderà come oggetto delle sue sculture.

Coetaneo e amico di Antonio Mancini (1852-1930), vive con lui i primi approcci all’arte. Ma mentre Mancini si rivolge subito alla pittura, Vincenzo Gemito entra nella bottega dello scultore Emanuele Caggiano (1837-1905) e poi in quella di Stanislao Lista (1824-1908).

Soprattutto quest’ultimo maestro lo avvia allo studio dal vero e alla ricerca da effettuare nell’osservazione delle antiche statue conservate a Pompei ed Ercolano. Ragazzo dall’animo irrequieto ma sin da subito profondamente geniale, Vincenzo Gemito si rivela uno scultore abilissimo sin dai primi esordi.

Uno scultore ribelle e sensibilissimo alla realtà

L’esordio risale alla Promotrice napoletana del 1868, dove lo scultore dimostra subito di aderire alla vibrante e cangiante sensazione reale, osservata nella quotidianità partenopea. Inizia a lavorare anche la terracotta, materiale adattissimo ad assecondare le vibrazioni luminose e cromatiche del vero, osservato e immagazzinato nello spirito rivoluzionario di Gemito.

Prima prende uno studio insieme ad altri artisti nell’ex convento di Sant’Andrea delle Dame, poi a Capodimonte, dove dà inizio alla sua vera e propria ascesa nel campo della scultura. Ottiene lodi e acquisti da parte di Domenico Morelli (1826-1901) e di Mariano Fortuny (1838-1874), tra gli altri. Proprio per Fortuny, nell’anno della sua morte, il 1874 realizza il busto per la tomba al Verano.

Fino agli anni Ottanta, Vincenzo Gemito si dedica con totale dedizione all’attività scultorea: i suoi soggetti sono testine, pescatori, “scugnizzi” e “malatielli”, personaggi incontrati nei vicoli napoletani. Il verismo è il suo pane quotidiano, insieme alla questione della povertà, non trattata con pietismo, ma con sentita partecipazione e forza vitale.

Il soggiorno a Parigi

Nel 1877 Vincenzo Gemito si trasferisce a Parigi per raggiungere il suo amico Mancini. A quest’epoca risale una serie di busti e ritratti che regalano un grande successo allo scultore, ma non un’eccessiva ricchezza. La vita sconsiderata, condotta dall’artista, non gli permette di gestire con lucidità il suo patrimonio.

Il successo ottenuto ai Salon passa anche per il filtro della scultura francese, che però non influenzerà troppo il suo linguaggio. La galleria di opere di questa stagione parigina è segnata da alcuni importantissimi ritratti, realizzati, però con un sentimento più lieve, rispetto ai personaggi della sua Napoli.

La malattia nervosa

Rientrato in Italia nel 1880, lavora assiduamente a diverse figure dal vero di scugnizzi e lavoratori, ma comincia ad avere i primi problemi mentali che lo condurranno ad una gravissima malattia nervosa. Questa, caratterizzerà tutta l’ultima fase di lavoro di Vincenzo Gemito, forse per questo ancora più tormentata, profonda e geniale.

Si rivela importantissima, dagli anni Ottanta, l’attività grafica. Costituita da pastelli, carboncini, disegni a matita e o a gessi colorati, rappresenta una grossa fetta della produzione di Vincenzo Gemito.

Il tratto appare veloce e sensibilissimo al guizzo reale, modernissimo e allo stesso tempo autentico, vivo. All’inizio del 1881 si ritira a Capri per alcuni mesi, ed è proprio qui che la sua attività grafica si fa intensissima, con modelle tratte dal popolo, amici artisti, parenti.

Tra i ritratti a matita ci sono quelli di Anna Gemito, la donna sposata da poco e prima modella prediletta di Morelli. Gli ultimi venti anni di Vincenzo Gemito sono alternati da momenti di immenso successo, con premi e riconoscimenti, a momenti di gravi crisi allucinatorie e depressive. La creatività non cessa mai di uscire dalle sue mani, anzi diventa più prolifica nei momenti di alienazione totale. Muore a Napoli nel 1929, un anno prima del suo amico Mancini, accolto da un simile destino di follia.

Vincenzo Gemito: una grande tensione creativa al servizio del vero

Nel 1868 esordisce alla Promotrice di Napoli con un soggetto tratto dal vero, Il giocatore. L’opera, acquistata immediatamente dal re, presenta i tratti fondamentali della prima poetica di Gemito: un tratto nervoso e vibrante, una rara interpretazione della realtà. Una serie di Studi dal vero compaiono nei primi anni Settanta alle Promotrici napoletane, come Toton, l’amico mio, acquistato da Fortuny o Moretto, Malatiello e Scugnizzo.

L’ispirazione gli proviene dai vicoli della Napoli che Vincenzo Gemito ha sempre frequentato da figlio della povertà, adottato da una famiglia perché orfano. Ciò che lo caratterizza è lo studio delle espressioni naturali dei personaggi che rappresenta, le loro movenze, l’incidenza della luce sul tratto guizzante e nervoso.

Ma non solo il vero è la sua ispirazione. A Napoli e Roma può studiare la scultura classica, i corpi tesi e veloci, fonte di continuo confronto con la realtà. Nel 1877 espone a Napoli Ritratti di Morelli, Ritratto di Verdi e Ritratto di Fortuny. Mentre l’anno successivo al Salon di Parigi presenta il famoso Pescatore napoletano che gli garantisce un successo immediato.

Si tratta di quel Pescatorello che, inginocchiato su uno scoglio, cerca di slamare il pesce appena pescato, trattenendolo al petto, con la canna ancora protesa verso l’acqua. Una realtà immediata, vissuta, colta nel particolare curioso ma mai visto con frivolezza, caratterizza le sculture di questo periodo.

Il pittore Meissonier viene esposto alla mostra di Torino del 1880, ma allo stesso anno risale il bellissimo Acquaiolo, in bilico da una parte, contenente in sé un movimento eterno, come eterno è quel sorriso selvaggio che lo caratterizza. A metà fra un satiro ed uno scugnizzo, rappresenta il culmine della genialità di Vincenzo Gemito.

Tra follia e genialità

Negli anni Ottanta, la malattia mentale comincia a rivelarsi pian piano. Nel 1885 ottiene la medaglia all’Esposizione Universale di Parigi con la copia di un Narciso di Pompei. I premi si susseguono in un vortice ininterrotto, proprio come è la sua malattia mentale.

Nel 1903 tiene una personale alla Biennale di Venezia, in cui espone Figura di donna seminuda, Giovane zingara, Filosofo – Testa di vecchio, Figura di donna con paludamento alla greca, Testa di donna con capelli discinti, Vecchia ritta in piedi con bambino.

Soprattutto le donne sono oggetto delle sculture e dei disegni di Vincenzo Gemito nel Novecento. Alla Biennale del 1909 figurano Moglie e figlia dell’autore, insieme a Sagittario e Acquaiolo. All’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 compaiono invece il disegno Donna con bambino, Medusa, Donna seduta (disegno) e numerose altre opere grafiche.

L’ultima fase: un preziosismo da orafo

Negli ultimi anni, Vincenzo Gemito si appropria di uno stile diversissimo da quello iniziale. È come se la malattia lo avesse portato ad un’identificazione con grandi orafi del passato come Benvenuto Cellini. Come quest’ultimo,  aspetta di ricevere un alloggio a Castel Sant’Angelo negli anni Venti.

Si fa interprete di piccole sculture cesellate in oro e argento, dotate di un preziosismo eccessivo, diversissimo dalla sua identità più profonda. Numerosissimi medaglioni vengono dedicati alla figura di Alessandro Magno, ma compaiono anche Sibilla, Sirena, Sorgente, Fanciulla greca, opere finemente sbalzate nell’argento che però riportano ancora in scena l’essenza ellenistica.
Al 1927 risale la sua personale alla Galleria Pesaro di Milano che consacra la sua carriera, prima della vicina morte.

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