Giacinto Bardetti

Giacinto Bardetti. Scimmia. Scultura in bronzo
Scimmia. Scultura in bronzo

Biografia

Giacinto Bardetti (Quinzano d’Oglio, 1879 – Roma, 1972), molto giovane, si trasferisce da Quinzano d’Oglio alla vicina Brescia all’età di tredici anni per assecondare la sua precoce vocazione artistica frequentando la Scuola Comunale d’Arte Moretto.

Qui, studia al seguito del pittore Arturo Castelli (1870-1920), che nonostante operi nella piccola provincia bresciana, introduce il giovane Giacinto Bardetti nella dimensione dell’evocativo simbolismo europeo, unito allo studio dei maestri lombardi del Cinquecento.

In seguito, Luigi Cicogna, direttore dei Musei Civici, notato il talento del ragazzo, lo incoraggia assegnandogli uno studio nel palazzo dell’Ateneo bresciano, dove può finalmente dedicarsi a pieno alla scultura.

Il trasferimento a Roma

Dopo aver iniziato a lavorare alacremente alle prime opere, Giacinto Bardetti subisce una grave perdita, la morte di sua madre. Questo lo spinge a “fuggire” da Brescia e dalle difficili condizioni economiche in cui comincia a versare.

All’inizio del Novecento, dunque, si trasferisce a Roma, dove frequenta la Scuola Libera del Nudo. Nel 1908 è attestato nello studio di Angelo Zanelli (1879-1942), proprio negli anni della progettazione del fregio dell’Altare della Patria.

Anche lo stesso Bardetti partecipa al concorso per l’esecuzione delle statue delle Provincie redente per il Vittoriano, ma non ottiene l’incarico. Per questo, a partire dal 1910, quando Zanelli vince il concorso per il fregio e per la Dea Roma, diviene suo collaboratore a pieno ritmo nella grande impresa romana, in particolare occupandosi della messa in opera delle varie parti dei due cortei laterali del Lavoro e dell’Amor di patria.

Giacinto Bardetti: l’incontro con D’Annunzio

L’esperienza nella fabbrica dell’Altare risulta preziosa per l’ormai trentaduenne Giacinto Bardetti: si confronta con la scultura monumentale, con la poetica liberty e con la rielaborazione di alcuni stilemi classici, ma soprattutto, ha la possibilità di incontrare diversi rappresentanti della cultura romana del tempo, tra cui Gabriele d’Annunzio, che diverrà una figura chiave per la sua carriera di scultore.

Affascinato dalla sua produzione, d’Annunzio inizia a finanziare il suo lavoro come un vero mecenate, commissionandogli diverse opere per il suo Vittoriale.

È proprio a cominciare dagli anni Dieci del Novecento che lo scultore chiarisce la sua dimensione stilistica: esordisce alla Secessione romana del 1915, sfoggiando un carattere scultoreo sicuramente vicino alle istanze liberty.

Le superfici levigate, veloci e sintetiche dei suoi bronzi riflettono la volontà di una sapiente unione tra la linea decorativa e quella naturalistica, raccolta in brevi gesti rapidi che definiscono la materia.

Immerso completamente nel clima romano di inizio secolo, Giacinto Bardetti è molto amico di Trilussa, ma anche di tutti gli scultori che si formano nello studio di Zanelli, tra cui Publio Morbiducci (1889-1963).

Per tutti gli anni Venti, la produzione dello scultore si inserisce nel contesto della piccola decorazione di stampo liberty e della scultura animalier, per cui è conosciuto maggiormente. Poco si conosce della sua vita e della sua produzione, soprattutto concentrata sugli incarichi che gli vengono assegnati da D’Annunzio per il Vittoriale. Muore a Roma nel 1972, a novantatré anni.

Giacinto Bardetti: la scultura liberty ed animalier

Tra le prime opere eseguite da Giacinto Bardetti in ambito bresciano emerge la scultura di grandi dimensioni Materia, andata perduta. La collaborazione romana con Angelo Zanelli per l’Altare della Patria introduce lo scultore ad una monumentalità celebrativa che stabilisce un diretto rapporto con la scultura romana e classica.

L’artista bresciano, però, come si nota dalla scultura d’esordio presentata alla Secessione romana del 1915, si rivolge ad uno stile più intimo ed evocativo, fatto di pochi e delicati tratti addolciti dall’uso di un bronzo lucente.

La scultura Amor materno ci introduce al tipico linguaggio di Giacinto Bardetti, definito da una materia trattata in maniera sintetica e da una forte semplificazione formale, che lo fa inserire naturalmente nel contesto della scultura romana tra le due guerre.

Un sinuoso tratto liberty, aiutato da una scelta di volumi esili e allungati, si coniuga alla perfezione con la selezione di pochissimi piani riassunti in una linea continua, un po’ come nelle sculture coeve di Duilio Cambellotti (1876-1960).

 Mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti

Nel 1922, Giacinto Bardetti partecipa alla Mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti, presentando una delle sue sculture più famose, L’inno al sole, conosciuto anche come San Francesco. L’opera viene commissionata da D’Annunzio per il suo Vittoriale e viene posizionata nel 1925 nei Giardini, accanto ai massi di guerra.

La figura esile del Santo magrissimo, espressa da poche linee condensate nel profilo, si presenta con le braccia aperte proprio sotto la stanza in cui morirà il Vate.
Sempre nel Vittoriale, precisamente nella eccentrica, esotica e stravagante stanza della Cheli, viene posizionato anche lo Scimmione, una delle sculture animalier che ha reso famoso Giacinto Bardetti, grazie alle sue consuete linee sintetiche e ai volumi elegantemente semplificati.

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