Gino Parin

Gino Parin. Ombra e Luce. Tecnica: Olio su tela
Ombra e Luce. Tecnica: Olio su tela

Quotazioni Gino Parin

I dipinti ad olio su tela sono stimati tra i 2.000 e i 4.000 euro di media, gli acquerelli e i disegni tra i 400 e gli 800 euro. Record la grande tela raffigurante l’Autoritratto aggiudicata a 24.000 euro nel 2008. Le opere più apprezzate sono i ritratti muliebri dalla cadenze secessioniste specialmente se pieni di colore. 
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Biografia

Gino Parin (Trieste, 1876 – Bergen Belsen, 1944), pseudonimo di Federico Guglielmo Pollack, proviene da un’antica famiglia ebrea di Trieste. Si forma al seguito del pittore Eugenio Scomparin (1845-1913), che gli trasmette la prima propensione verso la pittura di genere e l’impiego di un cromatismo vibrante e brillante, ereditato dallo studio di Mariano Fortuny (1838-1874).

La formazione a Monaco

In seguito, Gino Parin si trasferisce a Venezia, dove si perfeziona nell’atelier di Gerolamo Navarra (1852-1920), per poi proseguire gli studi, come molti altri artisti triestini, presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera, dove giunge nel 1895.

Allievo del pittore di paesaggio Karl Raupp (1837-1918), ne apprende l’approccio impressionista, ma comunque, non riesce a rimanere indifferente al clima del Simbolismo e della Secessione di Monaco ed è fortemente attratto dal linguaggio enigmatico e perturbante di Franz von Stuck (1863-1928).

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, entra a far parte della Cooperativa di artisti di Monaco (Münchner Künstlergenossenschaft), con cui espone in diverse mostre. Sono anni ricchi di fervore e di viaggio: Gino Parin si sposta da Monaco a Trieste, da Vienna a Londra, approfondendo lo studio del Simbolismo non solo tedesco, ma anche austriaco, e sviluppando uno spiccato interesse per la poetica dei Preraffaelliti.

È attratto dalla linea disegnativa di Aubrey Beardsley (1872-1898) e dalle tematiche letterarie ed allegoriche. Inizia ad esporre a partire dai primi anni del Novecento, spiccando soprattutto nel genere del ritratto, che gestisce attraverso un cromatismo ricco di ombre e di improvvisi e misteriosi guizzi di luce che si posano su candide epidermidi femminili, in ritratti conturbanti ed inquieti che ricordano quelli di Fernand Khnoppf (1858-1921).

Il trasferimento in Germania

Sono questi gli anni in cui abbandona il suo nome per adottare lo pseudonimo Giulio Parin, con cui compare alle mostre del Circolo Artistico di Trieste, all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 e a numerose edizioni della Biennale di Venezia.

Passati alcuni anni nella sua città, Trieste, poco prima della Prima guerra mondiale si stabilisce a Monaco, in cui espone già da tempo al Glastpalast, ottenendo la medaglia d’oro nel 1913.

Dopo il conflitto, pur continuando ad esporre in Italia, rimane in Germania, dove si dedica alla pittura d’interni, alla grafica e, soprattutto, porta avanti la sua ricerca sul ritratto, suo genere prediletto. Dai primi e giovanili incastri cromatici bidimensionali e preziosi, di matrice secessionista, passa negli anni Venti a volumetrie più sicure e a contrasti chiaroscurali di grande suggestione.

A causa dell’emanazione delle Leggi razziali, può esporre solo fino alla metà degli anni Trenta. Durante la guerra, viene deportato nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, dove muore nel 1944, a sessantotto anni.

Gino Parin: il ritratto dalla Secessione agli anni Trenta

Il genere che costituisce il nucleo della ricerca artistica di Gino Parin è senza dubbio quello del ritratto. L’impressionismo della pennellata si unisce, sin dagli esordi, a quel senso di eleganza e segreta ambiguità che caratterizza anche le opere di James Abbott McNeill Whistler (1834-1903), inserendole in un sottile spazio tra Impressionismo e Simbolismo.

Dopo aver partecipato a diverse Mostre del Circolo Artistico di Trieste all’inizio del Novecento, viene invitato ad esporre alla Mostra Internazionale di Belle Arti di Roma del 1911, dove presenta un Ritratto. Due anni dopo, viene premiato a Monaco il suo Ritratto di signora.

In questi anni, il linguaggio di Gino Parin appare ancora permeato da quella magica dimensione simbolista, in cui il colore viene steso in piccole campiture piatte di matrice secessionista e Nabis, anche se, già si nota quella sfuggevolezza del colore, quel senso di distratta evanescenza che solo in seguito diverrà il fulcro della sua poetica.

 A dimostrazione di questa fase di ispirazione secessionista e decorativa è necessario citare la sibillina Armonia in bianco e rosso, del 1914, conservata al Museo Revoltella di Trieste.

Un ritmo puro e sintetico già compare nel dopoguerra, alla Biennale di Venezia del 1922, in cui espone La signora del ventaglio ed un Autoritratto. Il suo impressionismo acquisisce un valore personalissimo, grazie alla gestione del chiaroscuro e del movimento lampeggiante delle stoffe e delle carni chiare, come si nota nel ritratto Ombra e luce della Biennale del 1924, presentato insieme ad un altro Ritratto.

Procedendo verso gli anni Trenta, lo stile di Gino Parin si definisce ancor di più grazie alle scelte di cromatismo sintetico, in cui Impressionismo e Simbolismo, ancora una volta, si sposano, nella creazione suggestiva ed enigmatica di ritratti femminili, come Sera, Ombre, Elena e Dialoghetto, esposti alla Biennale del 1928.

Nero e bianco e La Sibilla vengono esposti a quella del 1930 e Ritratto del Ministro Antonio Mosconi alla successiva del 1932, l’ultima cui partecipa, prima di essere obbligato ad abbandonare l’attività espositiva a causa delle Leggi razziali, emanate prima in Germania e poi in Italia.

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