Sommario
Biografia
Gio Ponti (1891-1979) dopo gli studi classici, inizia a frequentare, nel 1913, la Facoltà di Architettura presso il Politecnico di Milano. Dopo aver preso parte alla prima guerra mondiale, si laurea e ben presto si avvicina al gruppo dei “Neoclassici milanesi”.
Dagli anni Venti, dopo essersi spostato con Giulia Vimercati, inizia a lavorare per le ceramiche Richard-Ginori, occupandosi della progettazione di maioliche, porcellane e oggetti d’arredo di ispirazione prettamente classica. Con questi suoi primi lavori partecipa alla Mostra Internazionale di Arti Decorative di Monza del 1923.
Nel frattempo, Gio Ponti, dalla fine degli studi instaura un solito rapporto di amicizia con Emilio Lancia (1890-1973), architetto milanese come lui. Insieme, aprono uno studio che terranno aperto a Milano fino all’inizio degli anni Trenta, quando Gio Ponti deciderà di aprirne un altro. Il lavoro di designer che l’architetto svolge con le ceramiche Richard-Ginori lo impegna fino al 1930, costituendone un radicale cambiamento di stile.
Al 1925 risale il promo progetto abitativo dell’architetto, una palazzina milanese in via Randaccio, in cui vive per diversi anni. È la fase in cui elabora un particolare linguaggio che unisce architettura, decorazione e progettazione di ceramiche e pittura, sua grande passione da sempre.
“Domus”
Il successo ottenuto presso la mostra monzese porta Gio Ponti ad essere acclamato come uno dei più innovativi designer del tempo. Con i suoi vasi, piatti, oggetti d’arredo, sculture decorative, riesce sapientemente a coniugare l’ideale architettonico classico con le forme artigianali, dando valore scultoreo agli oggetti progettati.
Nel 1928, fonda una delle riviste di architettura più importanti e durature del nostro paese, “Domus”. Il titolo parla chiaro: la rivista è incentrata sull’arte dell’arredare e dell’abitare, basate su un’eleganza, una funzionalità e un’artisticità che provengono dalle domus romane.
Una visione mai proposta prima. In questo modo, l’architetto riesce a consegnare all’arredamento un valore nuovo ed unico e una dignità artistica precedentemente assente.
Nella rivista hanno spazio non solo le opere architettoniche, ma anche quelle di design e le opere d’arte. Vengono pubblicati artisti carissimi a Gio Ponti, due su tutti, Piero Fornasetti (1913-1988) e Fausto Melotti (1901-1986).
In questi anni Venti, l’architetto si confronta inevitabilmente con le espressioni del ritorno all’ordine milanese. Entra in contatto con Novecento e vive, insieme al gruppo, la rievocazione dei modelli classici e della tradizione italiana rinascimentale.
Studia approfonditamente l’equilibrio di Andrea Palladio, che già aveva conosciuto durante la prima guerra mondiale, quando era di stanza in Veneto.
Il legame con la Triennale di Milano e “Stile”
Per tutti gli anni Trenta e Quaranta Gio Ponti partecipa alle Triennali milanesi. Propone un modello di casa esemplare, la Domus, che unisce spazio interno e giardino in moduli da replicare potenzialmente all’infinito. Contemporaneamente, dal 1936 a 1961 sarà insegnante di Architettura al Politecnico di Milano. Nel 1941, abbandona la direzione di “Domus” per dirigere “Stile”, rivista edita da Garzanti, fino al 1947.
Dopo la seconda guerra mondiale partecipa attivamente alla discussione sui principi della ricostruzione dei quartieri di Milano distrutti dai bombardamenti. Negli anni Cinquanta è molto richiesto dai grandi imprenditori per la costruzione di aziende e palazzi di rappresentanza. Basta citare il grattacielo della Pirelli, realizzato nel 1956 e oggetto di moltissime critiche.
Ciononostante, gli impegni di Gio Ponti si moltiplicano a livello internazionale. Dal punto di vista dello spazio crea soluzioni incredibilmente funzionali ed esteticamente valide allo stesso tempo, come ad esempio i mobili auto illuminanti. Si sposta in Cina, in Sud America, in Olanda e in Pakistan per lavorare ad edifici che diverranno iconici.
Tra gli anni Sessanta e Settanta realizza anche numerose chiese, come la Concattedrale di Taranto, che unisce forme gotiche a spazi ultramoderni e, se vogliamo, ultraterreni, grazie alle aperture diamantate sul cielo. Dopo la realizzazione del Denver Art Museum in Colorado nel 1971, muore a Milano, nel 1979, a ottantotto anni.
Gio Ponti: l’arte dell’abitare moderno
Come accennato, la prima casa progettata e abitata da Gio Ponti è quella della palazzina in via Randaccio a Milano, nel 1925. Solo due anni prima aveva iniziato a lavorare per le ceramiche Richard-Ginori, rivoluzionandone in pieno la progettazione. Ciò che ispira maggiormente l’architetto è il valore classico degli spazi, che in qualche modo si rifà al canone classico e umanistico.
La funzionalità e la bellezza si uniscono nella speciale commistione tra arte, architettura e design, come mostra abilmente in “Domus”. Lo spazio diviene funzionale in ogni suo interstizio, in modo tale da trasformare la casa in uno scrigno di soluzioni geniali, tutte riconducibili ad elementi classici, come la nicchia o la mensola.
Nel 1926, realizza la villa Bouilhet a Garches, nel 1927 una linea di mobili per la Rinascente. In concomitanza con le Triennali di Milano, realizza il suo modello di Domus in via del Caravaggio, in via Letizia e in via De Togni. Le “Case Tipiche” sono moduli abitativi in cui la strada colloquia con il giardino e il giardino con la casa.
Il suo modello è quello di una dimora piccola ma spaziosissima, in cui gli ambienti accolgono mobili che nascondono e che riempiono, come pareti attrezzate, pareti a scomparsa e mobili che ruotano. Negli anni Trenta realizza l’edificio di Matematica della Sapienza di Roma, gli uffici di Palazzo Montecatini e Villa Donegani a Bordighera, tra le altre costruzioni.
La “forma finita”, elaborata negli anni Cinquanta e basata sul cardine del diamante come canone porta alla ricerca dello spazio funzionale e fluido, in cui le superfici vengono preferite ai volumi. Dal punto di vista delle grandi opere, insieme al Grattacielo Pirelli, realizza villa Planchart a Caracas e Villa Nemazee a Teheran.
Alla fine degli anni Cinquanta risale la sua casa in via Dezza, che riassume tutto il suo principio dell’abitare moderno. Agli anni Sessanta appartiene la progettazione di edifici in tutto il mondo, come i palazzi ministeriali ad Islamabad in Pakistan o i grandi magazzini ad Hong Kong.
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