Giovanni Prini

Giovanni Prini. L’idoletto di Casa. Scultura in gesso
L’idoletto di Casa. Scultura in gesso

Quotazioni Giovanni Prini

Scultore molto apprezzato a Roma in particolare per i soggetti raffiguranti i bimbi. Le quotazioni partono dai 500 fino a 10.000 euro, che è il record d’asta dell’artista.
Le quotazioni medie dei bronzi sono tra i 1500 e i 2.000 euro mentre le divertenti ceramiche, specie se molto colorate, sono stimabili attorno agli 800 euro.

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Biografia

Giovanni Prini (Genova, 1877 – 1958), sin da giovanissimo, inizia a lavorare presso un marmista locale, avviandosi precocemente all’arte plastica. Nel 1892, a soli quindici anni, inizia a frequentare l’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, dove studia scultura. Esordisce alla Promotrice genovese del 1896, inaugurando una regolare e duratura attività espositiva.

Il salotto Prini a Roma

Unitosi ad Orazia Belsito, che gli resterà accanto per tutta la vita, Giovanni Prini, nel 1900 decide di trasferirsi a Roma, dove trova ospitalità presso i Belsito, in un palazzo sulla via Nomentana.

Qui stabilisce il suo studio e quello che diventerà uno dei salotti più importanti della Roma dei primi anni del Novecento, animato da Orazia, ormai divenuta sua moglie, e da numerosi intellettuali ed artisti, tra cui Ettore Ximenes (1855-1926), Duilio Cambellotti (1876-1960), Plinio Nomellini (1866-1943), ma anche Sibilla Aleramo e Giovanni Cena, che lo introducono alle teorie socialiste.

La produzione di questo periodo, quasi tutta bronzea, riflette pienamente il clima di attenzione verso la questione lavorativa e sociale, attraverso la scelta di soggetti come gli anziani, i poveri, gli operai, gli ultimi.

Nel 1909, Giovanni Prini espone per la prima volta alla Biennale di Venezia. Il successo giunge rapidamente e porta lo scultore ad esporre alla Secessione di Monaco e poi a quella di Roma del 1913, del 1914 e del 1916.

A quest’epoca, le opere in bronzo di piccolo formato e fortemente veriste, spesso disposte in una dimensione orizzontale che guarda a Rodin e all’ultimo Ottocento italiano, si trasformano piano piano in gruppi o figure dalla forte tensione spirituale.

La linea sinuosa ed allungata, così come la componente simbolista, situano pienamente la produzione degli anni Dieci nella dimensione secessionista che sfocia nel decorativismo di stampo liberty, come testimoniano anche le numerose opere di arte applicata, lampade, suppellettili, giocattoli, soprammobili.

Il primo dopoguerra

Alla fine della Prima guerra mondiale, Giovanni Prini riprende ad esporre con regolarità alle principali rassegne nazionali, ma continua anche a coltivare la sua esperienza nel mondo delle arti applicate: viene nominato direttore dello Stabilimento per la Fabbricazione Artistica del giuocattolo italiano a Roma.

Diversi sono i giocattoli in legno e cartapesta attribuibili al progetto e alla mano dello scultore, come birilli e bamboline, che racchiudono veramente l’essenza di un’epoca di rinascita. Nei primi anni Venti risulta ancora immerso nel gusto secessionista, che poi sfocia in un déco elegantissimo, per poi passare, verso gli anni Trenta, ad una scultura decisamente più solida e meno filiforme, nettamente orientata verso le istanze di ritorno all’ordine.

Presente alle Sindacali fasciste, alle Biennali veneziane e alle Quadriennali romane, Giovanni Prini accompagna l’attività espositiva a quella decorativa, realizzando numerosi fregi e sculture per diversi palazzi pubblici italiani.

Ormai è orientato verso un equilibrio compositivo sobrio e solenne, che nasconde la riscoperta della tradizione italiana del primo Rinascimento. La perdita dei tre figli lo fa allontanare gradualmente dalle esposizioni ufficiali e lo fa virare verso tematiche sacre e spirituali che caratterizzano gli anni Quaranta e Cinquanta. Muore a Roma nel 1958, all’età di ottantuno anni.

Giovanni Prini: la prima produzione dal verismo sociale alla Secessione

L’esordio del giovane Giovanni Prini avviene alla Promotrice di Genova del 1896, dove presenta Le tentazioni di Sant’Antonio, per poi esporre due anni dopo a Torino Le spose del Signore. A quest’epoca, lo stile dello scultore è sicuramente influenzato da accenti simbolisti, come si nota anche dalle opere esposte a Genova nel 1899, Rievocazione, Ritmo e Sinfonia triste.

Ma una volta giunto a Roma, questo tipo di approccio si unisce ad una visione più fortemente orientata verso la scultura verista, non soltanto nei temi, ma anche nella forma, sicuramente ispirata all’ultimo ottocento italiano e francese ed in particolare dal linguaggio impressionista.

Il mondo dell’infanzia

La scelta dei soggetti è dettata dall’interessamento nei confronti della questione sociale, del lavoro e della povertà, ma anche verso il mondo dell’infanzia. Lo dimostrano opere come Il segreto dei bimbi e L’erba morta, la falce e i bimbi, presentate alla Mostra di Genova del 1906.

Risalgono a questi due filoni anche Bambine sedute, Le vecchiette di una casa di riposo, I vangatori e Colloquio di fabbri, sculture in cui il bronzo o il gesso vengono lavorati in maniera nervosa, con un non finito che accoglie la luce sulle superfici mosse e vibranti.

La cultura secessionista

Ma già alla Biennale del 1909, con Gli amanti, sembra avvicinarsi a quella cultura secessionista che lo accompagnerà almeno fino all’inizio degli anni Venti. Nel 1913, Giovanni Prini prende parte alla Secessione romana con Mio figlio, Gli amanti, Fontana – la lira, Lampada e Vaso – La vita.

La tensione spirituale di queste sculture e opere di arte applicata ritorna anche alla Secessione del 1914, in cui espone Sonno di bimbo, Ritratto del pittore Innocenti e Le gemelle Azzariti, e a quella del 1916, dove compaiono Simonetto, Filomena e Maschera.

Dal déco al ritorno all’ordine

Dopo la guerra, Giovanni Prini ricomincia ad esporre negli anni Venti. Realizza numerose opere di stampo déco, come quelle presentate alla Biennale di Arti Decorative di Monza del 1923, tra cui le ceramiche policrome Primavera, Fontanina gaia e Madonnina e come Idoletto di casa e Arabesco di danzatrice, esposti alla Biennale del 1926. Ma verso la fine del decennio, si orienta verso forme e volumi sicuramente più solidi.

Sono esempio di questo cambiamento le sculture che vengono presentate alla I Quadriennale di Roma del 1931, Bocciolino, Georgica e La Trincea. Ma anche Riposo di Bajadera, comparsa alla Sindacale di Torino dello stesso anno e Giovannuzzo e Annuccia della Sindacale del Lazio del 1932.

Di nuovo alla Quadriennale romana del 1935 espone alcune delle opere più significative di questa fase: Sorriso di bimba, Sonno, Torso, Giovinezza e L’ammiraglio Cuturi. Ancora più saldezza e pienezza volumetrica si riscontra nel Giovane prete in bronzo, in Mattina e Sera in gesso esposti alla Quadriennale del 1939. A quella del 1943 ritorna al tema dell’infanzia, con Torsetto, Anna e Bambina.

 

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