Giulio Turcato

Biografia

Giulio Turcato (Mantova, 1912 – Roma, 1995) passa la sua infanzia tra Mantova e Rizzo, in Calabria, ma nel 1920, insieme alla famiglia, si trasferisce a Venezia. Nel 1928, si iscrive all’Istituto d’Arte, dove si diploma nel 1933. Subito dopo, nonostante l’opposizione dei genitori, frequenta la Scuola Libera del Nudo.

Nel 1936, si trasferisce a Milano e inizia a lavorare come disegnatore nello studio dell’architetto Giovanni Muzio (1893-1982). In questi anni, Giulio Turcato risente ancora dell’influsso della pittura espressionista di Renato Birolli (1905-1959), che conosce all’inizio degli anni Quaranta. Nel 1943, partecipa alla Quadriennale di Roma, dove espone uno dei suoi ultimi dipinti figurativi, prima di approdare all’Informale.

La Resistenza e Roma

Con il pericolo di essere arruolato nelle forze militari della Repubblica di Salò, Giulio Turcato decide di fuggire da Venezia, dove aveva fatto ritorno, per recarsi a Roma. Qui inizia la sua attività di intellettuale coinvolto nella Resistenza, unendosi ad altri artisti che si radunano sistematicamente nella casa di Renato Guttuso (1911-1987).

Nel dopoguerra, l’artista rimane a Roma e milita nel Partito Comunista. Allo stesso tempo è coinvolto nella creazione dell’Art Club, associazione artistica italiana, voluta in prima persona da Enrico Prampolini (1894-1956) per promuovere il dialogo artistico internazionale.

In questo contesto, e anche grazie alla mostra Pittura francese d’oggi, progettata da Palma Bucarelli nel 1946 alla Galleria Nazionale, Giulio Turcato inizia ad allontanarsi gradualmente dal figurativo, come si nota dalla prima opera tendente all’astratto esposta alla Biennale di Venezia dello stesso anno.

Il Fronte Nuovo delle Arti

Il passaggio ufficiale alla pittura astrattista si verifica sempre nel 1946, anno cruciale per Giulio Turcato, in cui partecipa ad una mostra presso la Galleria del Secolo a Roma, insieme a Antonio Corpora (1909-2004), Pericle Fazzini (1913-1987), Sante Monachesi (1910-1991) e Renato Guttuso.

Con il catalogo, viene pubblicato il Manifesto del Neo Cubismo che esprime l’esigenza di rinnovamento del linguaggio pittorico italiano ispirato al Picasso successivo alla Guernica e quindi ad un post-cubismo ancora legato al figurativo.

Nel frattempo, Turcato firma anche il Manifesto del Fronte Nuovo delle Arti, unendosi al nucleo originario del gruppo, composto dal suo maestro ed amico Birolli, da Emilio Vedova (1919-2006), Giuseppe Santomaso (1907-1990), Alberto Viani (1906-1989), Armando Pizzinato (1910-2004) e Ennio Morlotti (1910-1992), con la guida programmatica del critico Giuseppe Marchiori.

Nel corso degli anni, cominciano ad emergere le inevitabili discrepanze all’interno del gruppo, dovute alla divisione tra le tendenze figurative, imposte anche dal debito nei confronti dell’idea di Realismo promossa dal PCI, e quelle astrattiste, di cui fa parte Giulio Turcato.

Alla Biennale del 1950, quindi, il Fronte si scioglie e viene a formarsi il Gruppo degli otto, introdotto da Lionello Venturi, che lo definisce “astratto-concreto”, nella tradizione «iniziatasi attorno al 1910 e comprendente l’esperienza dei cubisti, degli espressionisti e degli astrattisti».

Forma 1 e il rapporto con il PCI

Dopo un viaggio a Parigi nel 1947, Giulio Turcato si inserisce completamente nel contesto dell’Informale, firmando il Manifesto di Forma 1, insieme a Antonio Sanfilippo (1923-1980), Carla Accardi (1924-2014), Piero Dorazio (1927-2005), Ugo Attardi (1923-2006), Mino Guerrini (1927-1990), Concetto Maugeri (1919-1951), Achille Perilli (1927).

Proprio per l’adesione a questo gruppo, l’artista può essere considerato il più astrattista del gruppo degli otto, nonostante sia anche il più fedele all’ideologia comunista, come si nota dalle opere presentate alle Biennali, di profondo sentimento antiamericano e combattivo.

La pittura di Turcato, colta, aggiornata, innovativa e ricca di contenuti politici viene addirittura lodata da Antonello Trombadori (1917-1993), nemico giurato dell’astrattismo, che in un articolo del 1947, su “L’Unità”, aveva pesantemente criticato le intenzioni di Forma 1.

Gli anni Sessanta e Settanta

Nonostante la strenua fedeltà al PCI, anche dopo il viaggio in Cina del 1956, l’artista abbandona il partito nel 1957, in seguito all’invasione da parte di Stalin di Budapest. A questo punto, senza più tentennamenti di sorta, Giulio Turcato approda ad un Informale deciso e libero, che porterà avanti fino agli anni Ottanta.

I pochi formalismi degli anni precedenti decadono a favore di una ricerca indirizzata all’espressione esclusivamente cromatica, che si spinge anche nella sperimentazione concettuale e installativa, negli anni Sessanta e Settanta, sulla scia delle esperienze provocatorie e neo dada di Robert Rauschenberg (1925-2008) dell’Arte Povera.

Tra i viaggi in America Egitto e in Kenya, riporta impressioni polimateriche e legate all’Espressionismo Astratto, che gli consegnano un grandioso successo di critica che culmina con la grande antologica al Palazzo delle Esposizioni a Roma del 1974 e quella alla Galleria Nazionale di Roma del 1986. Riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori protagonisti dell’arte italiana del dopoguerra, muore a Roma nel 1995, ad ottantatré anni.

Giulio Turcato: l’Astrattismo

Dopo la Natura morta esposta alla Quadriennale romana del 1943, Giulio Turcato si lega al linguaggio neo cubista del Fronte Nuovo delle Arti con le opere Composizione, Composizione con fabbrica e Cantiere navale del 1947, in concomitanza con l’adesione a Forma 1.

La sua pittura fortemente politicizzata emerge dal ciclo dei Comizi, in cui triangoli rossi ed animati stano a rappresentare la folla delle manifestazioni comuniste del dopoguerra, che simboleggiano tutta la prima parte di produzione dell’artista.

Se in questa prima fase, ancora molto legata alle esigenze del PCI, rimane connesso ad alcune sensazioni figurative, come in Massacro al Napalm e nel ciclo Giardini di Miciurin del 1952, dopo l’allontanamento dal partito nel 1957, si libera da rinunce espressive, per addentrarsi in un Informale ricco e sentito.

A cominciare da Composizione biologica del 1960 e ancor di più da Tranquillante per il mondo, Giulio Turcato inserisce elementi della realtà nelle tele, in questo caso delle pasticche di tranquillanti, che compaiono come stelle sullo sfondo blu.

Arte Povera e Informale

L’intersezione e il dialogo tra Arte Povera e Informale è un sapiente contributo dato da Giulio Turcato all’arte del dopoguerra in Italia, al di là di schemi e costrizioni. Le grandi tele come Senza atmosfera del 1961, opprimente buio pulsante in cui lo spettatore può penetrare, si inseriscono nella tradizione dell’Espressionismo astratto statunitense, così come il Trittico porta d’Egitto, del 1964.

Invece, nella Superficie lunare dello stesso anno, e ripetuta fino al 1969 in forme diverse, usa la gomma piuma come supporto, riportando quell’orizzontalità tipica delle opere di Rauschenberg e indagando sul concetto di esplorazione, in concomitanza con le spedizioni sulla luna.

In seguito, la sua ricerca si espande sempre verso un informale personalissimo, carico di narrazioni che lo allontanano dal gesto violento di altri artisti come Vedova e che sfocia invece in una visione fantasiosa e storicizzata del colore e del segno.

Questo è testimoniato dalle numerose partecipazioni alle Biennali veneziane, in cui espone le sue tele più significative, dalle Composizioni degli anni Cinquanta, alla serie Oceanica negli anni Settanta, ai Presenti, tessuti colorati degli anni Novanta.

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