Giuseppe Grandi

Giuseppe Grandi. Ulisse nell’Atto di Tender l’Arco, 1866 (dettaglio).
Ulisse nell’Atto di Tender l’Arco, 1866 (dettaglio). Tecnica: Scultura in marmo

Biografia

Giuseppe Grandi (Ganna, 1843 – 1894) nato da un’umile famiglia della provincia di Varese, acquisisce dal padre falegname l’attitudine verso il lavoro artigianale. Intorno ai tredici anni, comincia a compiere l’apprendistato nella bottega di uno scultore minore. Ma è proprio qui che ha i primi approcci con la materia marmorea e dimostra la sua precoce abilità nella modellazione.

La formazione tra Milano e Torino

Per questo, ancora molto giovane, Giuseppe Grandi si trasferisce a Milano, dove inizia a frequentare l’Accademia di Brera all’inizio degli anni Sessanta. Dopodiché, si trasferisce all’Accademia Albertina di Torino dove completa la sua formazione, seguendo il corso di scultura di Vincenzo Vela (1820-1891) fino al 1866.

I suoi esordi risalgono alla metà degli anni Sessanta, quando Grandi presenta a Brera una serie di bassorilievi e medaglioni dedicati a soggetti letterari e sacri. Nei primi anni, dunque, non si può non notare il suo legame con gli stilemi ancora romantici della scultura, naturalmente orientati verso il verismo trasmessogli da Vela.

Grande svolta nella carriera dello scultore è la vittoria del concorso per il Monumento a Cesare Beccaria, promosso dalla rivista scapigliata di Cletto Arrighi “Cronaca grigia”. Sostenendo l’abolizione della pena di morte, Giuseppe Grandi elabora un progetto che entusiasma la giuria e il monumento viene completato ed eretto nel 1871.

Il fermento culturale milanese

Il monumento permette allo scultore di farsi conoscere dal pubblico e di iniziare a frequentare i salotti culturali più progressisti della Milano del tempo. In particolare, si avvicina all’ambiente scapigliato: stringe amicizia con Cletto Arrighi e con gli artisti Daniele Ranzoni (1843-1889), Tranquillo Cremona (1837-1878) e Luigi Conconi (1852-1917).

Dopo aver attirato l’attenzione dei collezionisti milanesi, affascinati dalla statua di Cesare Beccaria, l’artista varesino comincia ad ottenere una lunga serie di incarichi privati e pubblici.

Monumenti funerari, statue per il Duomo, medaglioni, ritratti di grandissimo valore vengono trattati con una sapiente gestione della luce che scivola su superfici vibranti e tutt’altro che statiche.

I monumenti pubblici

L’espressione dei volti e dei gesti è una delle cifre caratteristiche di Giuseppe Grandi, che si allontana sempre di più da un verismo rigido, per addentrarsi nella scultura di matrice scapigliata, mossa, viva.

Una serie di gruppi dedicati al Risorgimento italiano rendono lo scultore ormai addentrato in una rievocazione storica ricca di interpretazioni personali e per niente afferenti alla celebrazione romantica.

Giuseppe Grandi si fa interprete di una scultura che rievoca i gesti intimi dei grandi personaggi e delle grandi gesta del Risorgimento. Il plasticismo è delicato, accennato, privo di contorni netti, proprio come la coeva pittura scapigliata, ormai lontano dalla scultura lombarda verista.

Abile acquafortista, lo scultore si lancia anche nelle arti applicate e nella decorazione, lavorando fino agli anni Ottanta. In questa ultima fase, concentra tutte le sue forze nella realizzazione del gruppo delle Cinque giornate di Milano. Ormai stanco e completamente assorbito dalla progettazione del monumento, muore prima della sua inaugurazione, a Ganna, nel 1894, a soli cinquantuno anni.

Giuseppe Grandi: la sensibilità scultorea scapigliata

Indirizzato inizialmente verso un verismo sincero ereditato da Vincenzo Vela, Giuseppe Grandi cambia poi rotta verso un plasticismo più sensibile alla luce e all’espressione dei gesti. La sua scultura si può tranquillamente inserire nell’ambito scapigliato: i contorni sono sfumati, i movimenti guizzanti e rapidi, le espressioni vive.

Le prime sculture, sospese tra il verismo e il romanticismo, sono L’incontro tra Giacobbe e Rachele, Otello e Ulisse nell’atto di tender l’arco, presentate durante gli anni Sessanta.

Nel 1865 presenta a Torino Il birichino di Parigi, soggetto tratto da I miserabili di Hugo. Come accennato, all’inizio dei Settanta, viene invece portato a compimento il Monumento a Cesare Beccaria. L’intellettuale viene presentato nella più estrema semplicità, seduto su un basamento con le allegorie del Tempo e della Civiltà.

Nel 1873, Grandi presenta a Brera il ritratto a figura intera di Alessandro Volta, che, avvolto nel suo cappotto, accoglie in modo dinamico e perfetto la luce, caratteristica fondamentale di questa scultura.

È proprio a questo punto che lo stile di Giuseppe Grandi più si avvicina alla scapigliatura pittorica. Basta far riferimento al Beethoven giovinetto presentato a Brera nel 1874 e conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano.

La figura del compositore è fine e mossa, caratterizzata da un nervosismo vibrante e vero, che lo allontana da una possibile e consueta rappresentazione meramente verista. I capelli, il vestito e lo sguardo rendono Beethoven confuso nello spazio e allo stesso tempo vivo e fremente.

I monumenti di memoria risorgimentale

Questo stesso carattere palpitante si trova anche nella scultura monumentale di Giuseppe Grandi. Lo si può notare dal Monumento ai caduti di Mentana e dal Maresciallo Ney.
Quest’ultimo, in divisa militare, si erge in una posa poco celebrativa, con le gambe incrociate e un braccio appoggiato al bastone. La scultura appare luminosissima e movimentata, quasi non finita. L’espressività intima del maresciallo è lontanissima dalle consuete sculture encomiastiche ufficiali.

Nel 1876, a Brera presenta Rimembranze della campagna del 1860, conosciuta anche come Garibaldino ferito e, finalmente, nel 1879, inizia a lavorare al progetto del Monumento alle Cinque Giornate. Questa lavorazione lo impegna pienamente fino agli anni Novanta, nel periodo che coincide con i primi problemi respiratori.

Il Monumento risulta naturalistico nella resa dei soggetti e allo stesso tempo fortemente simbolico nel messaggio. Il dramma dei caduti, lo scompiglio dei giorni di battaglia traspare perfettamente dalle figure mosse e disperate delle donne che sono allegorie delle Cinque Giornate.

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