Guercino

Guercino. Il Ripudio di Agar. Tecnica: Olio su tela
Il Ripudio di Agar. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (Cento, 1591 – Bologna, 1666) per lo strabismo dovuto ad uno spavento preso in culla, manifesta una spiccata attitudine al disegno sin dalla tenera età.

Dopo la prima formazione presso pittori locali, il padre decide di assecondare il suo talento facendolo trasferire a Bologna nel 1609. Inizialmente, la maniera del giovanissimo pittore si fonda su uno spiccato naturalismo, adeguato anche allo studio della pittura ferrarese di Dosso Dossi (1468-1542)

Un “miracolo da far stupire chi vede le sue opere”

Pur avendo fatto le prime esperienze presso alcuni pittori minori, la vera ispirazione del giovane Guercino proviene dal bolognese Ludovico Carracci (1555-1619) che di lui scrive, in una lettera riportata dal biografo Cesare Malvasia, «è gran disegnatore e felicissimo coloritore: è mostro di natura e miracolo da far stupire chi vede le sue opere».

Carracci lo accoglie nella sua bottega e ha il merito di assecondare la sua propensione al naturalismo, facendolo adattare alla cultura bolognese, attraverso l’introduzione ad uno spiccato pittoricismo che in lui si traduce soprattutto nell’impiego di suggestivi effetti di luce.

Questi si ritrovano sin dalla sua prima produzione di Madonne col Bambino, in cui procede per sapienti gradazioni tonali, ben evidenti, ad esempio, nella Madonna della pappa del 1615, conservata a Stoccolma, nella collezione reale.

Intorno agli stessi anni, Guercino si occupa di uno dei suoi primi cicli decorativi. In casa Pannini a Cento esegue le Storie di Ulisse accompagnate da altri soggetti mitologici e da scene pastorali che costituiscono la sua prima vera prova pubblica, che inizia ad attirare il favore della committenza bolognese e lo sguardo di altri pittori.

Tono, luce e movimento

Dopo il soggiorno veneziano del 1618, il cromatismo di Guercino si fa ancora più complesso e diviene la chiave di lettura della sua poetica. Studiare pittori come Tintoretto e Tiziano gli permette non solo di introdurre complessi ed accurati effetti luministici e di chiaroscuro, ma lo conduce anche all’uso di una gamma cromatica intensa e piena che si manifesta compiutamente in alcune opere come il San Sebastiano curato da Irene, conservato nella Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Opera del 1619, è stata eseguita per il cardinale Serra e non nasconde certo il debito che il pittore ha nei confronti di Ludovico Carracci, osservato sin dalla tenera età nella chiesa dei Cappuccini di Cento, dove era conservata la Sacra famiglia con San Francesco e i donatori, soprannominata affettuosamente da Guercino la sua “Carraccina”.

Dello stesso periodo è Et in Arcadia ego, il memento mori conservato a Palazzo Barberini. Naturalismo e luminismo si fondono in un effetto avvolgente e sciolto che troverà compimento con il suo trasferimento a Roma all’inizio degli anni Venti del Seicento.

Uno dei suoi principali committenti emiliani è l’arcivescovo di Bologna Alessandro Ludovisi che da lui, prima degli anni Venti, acquista i Quattro Evangelisti e la Resurrezione di Tabita. Una delle opere più significative eseguite da Guercino prima di giungere a Roma è l’affresco della Lotta di Ercole con l’Idra di palazzo Tanari a Bologna.

A questo punto, è uno dei pittori più richiesti in città: sarà uno dei maestri dell’Accademia privata del conte Ghisilieri e la sua bottega è frequentatissima da pittori e committenti. Cristoforo Locatelli, nel 1620 gli commissiona la pala con Guglielmo d’Aquitania per la chiesa di San Gregorio a Bologna, uno dei capolavori rappresentativi del Barocco italiano.

Tra naturalismo e Barocco: l’Aurora

Quando il cardinale Alssandro Ludovisi viene eletto papa con il nome di Gregorio XV, chiama Roma il suo pittore prediletto, Guercino. L’artista, nel suo periodo romano riesce a raggiungere la maturità, nella gestione degli accordi cromatici e compositivi, coniugandoli con l’illusionismo barocco e con un sapiente dinamismo d’insieme.

Nonostante il papa sia morto solamente nel 1623, due anni dopo l’arrivo del pittore a Roma, gli commissiona diverse opere, tra cui la Sepoltura e gloria di santa Petronilla, destinata all’altare omonimo in San Pietro in Vaticano e ora conservata nei Musei Capitolini.

Ma l’opera che più rappresenta il soggiorno romano di Guercino è la decorazione del Casino Ludovisi, su incarico del nipote di Gregorio XV, il cardinale Ludovico Ludovisi. In questa straordinaria impresa, collabora con il quadraturista Agostino Tassi (1580-1644): nell’Aurora che scaccia la Notte della volta, le figure di Guercino si inseriscono tra le vertiginose architetture in prospettiva di Tassi.

Lo sfondamento, la luminosità e la penombra creata anche dalle bianche nuvole che solcano il cielo insieme al carro sono la risposta barocca al classicismo dell’Aurora eseguita da Guido Reni (1575-1642) in Palazzo Rospigliosi Pallavicini.

Cento e Bologna: uno stile più classicista e un cromatismo più equilibrato

Rientrato a Cento nel 1623, con la morte del papa, continua a lavorare incessantemente, dando vita a capolavori quali Il ritorno del figliol prodigo conservato alla Galleria Borghese.

Lo stile giovanile, ricco di accenti luministici e di vivo dinamismo, piano piano si tramuta in un linguaggio più armonico, tendente all’idealizzazione delle scene e dei personaggi, sicuramente grazie all’influenza di Domenichino (1581-1641).

Dopo l’esecuzione di una Semiramide poi data in dono al re d’Inghilterra, gli viene proprio offerto un posto come pittore ufficiale a corte, che però rifiuta.

Dal 1630, abbiamo testimonianza precisa di ogni dipinto del pittore, grazie al libro dei conti tenuto prima da suo fratello, poi da Guercino stesso. È il momento della tarda maniera, in cui ritorna ad un classicismo dai chiaroscuri smorzati e dal disegno immediato e vivo, dunque ad una mediazione che vede l’affacciarsi dell’influenza di Reni, pittore di cui, di fatto, prende il posto a Bologna dopo la sua morte nel 1642.

Le ultime opere di Guercino risalgono agli anni Cinquanta: tra di esse emergono il San Francesco che riceve le stimmate e San Giovanni Battista che predica, entrambe a Forlì. Dopo un peggioramento di salute dovuto ad un infarto, muore a Bologna nel 1666.

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