Leonor Fini

Biografia

Leonor Fini (Buenos Aires, 1907 – Parigi, 1996) figlia di madre triestina e padre argentino, nasce a Buenos Aires, ma trascorre gran parte dell’infanzia e dell’adolescenza a Trieste. Versata nella pittura, frequenta lo studio di Edmondo Passauro (1893-1969), che la introduce ad un realismo lenticolare.

Ben presto, i suoi dipinti otticamente perfetti cominciano a nutrirsi di atmosfere magiche e metafisiche, come si nota dalla prima esposizione collettiva cui partecipa a Trieste a diciassette anni.

L’ambiente pittorico triestino degli anni Venti e Trenta

L’indirizzo onirico e misterioso delle composizioni di Leonor Fini risente sicuramente delle espressioni di altri artisti triestini più anziani di lei. Primo fra tutti, Arturo Nathan (1891-1944), di cui accoglie la dimensione angosciosa e le presenze mitiche e psicanalitiche. Ma risultano importanti anche le opere di Carlo Sbisà (1899-1964), che la influenza soprattutto nella gestione equilibrata ed armonica del segno e delle masse, rispondendo positivamente alle istanze di ritorno all’ordine degli anni Venti e Trenta.

Infine, in relazione agli sviluppi pittorici di Leonor Fini non si può non ricordare la produzione di Cesare Sofianopulo (1889-1968). Altro pittore triestino, le trasmette una spiccata vena iperrealista e, allo stesso tempo, la scelta di tematiche conturbanti, fantastiche e ricche di un fascino oscuro e allegorico.

Un costante riferimento alla vanitas delle cose terrene e una esigenza simbolista che permane per tutta la sua carriera caratterizzano sin da subito il linguaggio della pittrice. Oltre a copiare i grandi maestri della tradizione del Quattrocento e del Cinquecento, si reca nelle camere mortuarie e nei cimiteri per ritrarre corpi senza vita, attratta dal fascino della decadenza.

Dopo una prima personale tenuta alla Galleria Barbaroux di Milano nel 1929 (dove abita per qualche tempo), partecipa alla Biennale di Venezia nel 1930 e poi alle Quadriennali romane. La critica la apprezza per la tecnica impeccabile e per l’evidente riferimento all’eccentricità dei Manieristi toscani. Ma manifesto è anche il legame con i ferraresi Cosmè Tura e Francesco del Cossa, nella scelta di un segno asciutto e acuto, quasi come in un intaglio ligneo, e anche nella gestione di composizioni originali ed eccentriche.

Il trasferimento a Parigi

Dopo essere entrata in contatto con i rappresentati di Novecento a Milano, in particolare con Achille Funi (1890-1972), con cui instaura una relazione intima, decide di trasferirsi a Parigi. Qui, trova terreno fertile per le sue espressioni “automatiche”, incontrando soprattutto il consenso di André Breton. L’avvicinamento al Surrealismo è immediato: la dimensione onirica e l’automatismo psichico entrano a far parte definitivamente del suo linguaggio negli anni Trenta.

Nel 1936, Leonor Fini espone nella mostra “Surrealismo” di Londra, mentre due anni dopo tiene una personale a New York. Contemporaneamente, si impegna in una brillante attività grafica che la porta a realizzare illustrazioni per opere di Edgar Alla Poe, Charles Baudelaire e del Marchese de Sade.

Attiva fino agli anni Settanta, nel 1957 espone nella grande mostra “Arte fantastica Dada e Surrealista” di New York. Muore a Parigi nel 1996, ad ottantanove anni.

Leonor Fini: l’arte “fantastica” tra visioni oniriche, ambientazioni surrealiste e magiche

Leonor Fini può essere considerata la maggiore rappresentate di una corrente pittorica tutta concentrata sulla rappresentazione di sogni, allegorie, oscure visioni, ambientazioni fiabesche e perturbanti.

Dopo aver iniziato sulla scia del realismo magico triestino, unisce ad una pittura otticamente precisa visioni fantastiche e sfrenate che aumentano sempre di più fino alla massima espressione degli anni Trenta e Quaranta.

Una patina misteriosa vela i primi ritratti della pittrice, influenzata, come detto, soprattutto da Nathan. D’altra parte è sicuro che il suo disegno virtuosistico e il suo colorismo trasparente derivino dalla pittura classica che apprende frequentando Carlo Sbisà, appena tornato da Firenze con una appassionata celebrazione della tradizione umanistica. Svevo, Saba, Nathan, Sbisà, Gillo Dorfles (1910-2018) e Leonor Fini formano un gruppo eterogeneo ma forte della sua eccentrica bizzarria.

Ed è proprio l’insieme di questi fattori così diversi e corposi che nutre la pittura dell’artista che, dopo aver esposto un impeccabile Ritratto di Italo Svevo nel 1929, alla Sindacale triestina, ottiene l’affermazione nell’ambiente artistico locale. Svevo viene ritratto con il porto alle spalle, luogo del suo lavoro quotidiano nella ditta di vernici del suocero, che lo ingabbia e che lo caratterizza nella sua doppia identità di intellettuale e industriale.

Si tratta di un ritratto fondamentale perché Svevo era morto solo due mesi prima ed anche per questo suscita un buonissimo riscontro, anche emotivo, da parte della critica e del pubblico. Dopo questa prima mostra e dopo la piccola personale milanese, riceve apprezzamenti anche da Gio Ponti (1891-1979), che le commissiona alcuni disegni per “Domus”.

Un segno impeccabile per mondi fantastici

A seguito del soggiorno milanese e con la vicinanza a Funi, Leonor Fini conosce e approfondisce il segno del Quattrocento ferrarese, rimanendo affascinata dalla stravaganza delle composizioni alchemiche ed esoteriche. Nel 1930, partecipa con il gruppo di artisti triestini alla Biennale di Venezia, dove presenta una Figura.

Subito dopo, si trasferisce a Parigi, città che le cambia la vita. Dopo essere entrata in contatto con gli “Italiens de Paris”, subisce il fascino arcaizzante e straniante delle opere di Massimo Campigli (1895-1971) e di Mario Tozzi (1895-1979). Ne abbiamo testimonianza nel Paesaggio esposto alla Quadriennale romana del 1931 e nell’Aggressione esposta a quella del 1935, insieme a Romanza, Vestale ed Europa.

È a Parigi che inizia la vera ricerca di Leonori Fini sui tratti più inquietanti e conturbanti della figura femminile, in corrispondenza con l’incontro della poetica surrealista all’inizio degli anni Trenta. Max Ernst (1891-1976), Yves Tanguy (1900-1955), Joan Miró (1893-1983) determinano la sua totale adesione all’automatismo psichico e alla narrazione di complessi mondi onirici e magici che hanno portato alla nascita della sua “arte fantastica”.

Figure femminili e mitiche come sfingi popolano opere degli anni Quaranta come L’alcova e La pastorella delle Sfingi del Guggenheim di Venezia. Il dopoguerra prosegue con un costante successo, nell’indagine metafisica e misterica dei più reconditi meandri della psiche umana, in famose opere come Le bout du monde e L’ange de l’anatomie.

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