Carlo Levi

Biografia

Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975) si forma a Torino e si laurea in medicina nel 1924, entrando immediatamente a lavorare presso la Clinica dell’Università torinese. Durante gli anni dell’adolescenza, però, aveva frequentato alcuni corsi di disegno che lo avevano sempre lasciato legato a questa disciplina.

Negli anni Venti, comincia a scrivere su “La rivoluzione liberale” di Pietro Gobetti e nel frattempo ritorna all’arte. Grazie proprio all’intercessione di quest’ultimo, frequenta lo studio di Felice Casorati (1883-1963) di cui diviene un allievo esemplare.

L’influenza di Felice Casorati

Il suo talento pittorico viene immediatamente notato dal maestro. La riflessione iniziale di Carlo Levi si basa essenzialmente sull’opera di Casorati, modificandone però alcuni aspetti cromatici.

La tavolozza, in effetti, diviene subito più fredda e aspra, ma nei primi anni è profondamente legato alle istanze di ritorno all’ordine casoratiane. Esordisce alla Quadriennale torinese del 1923 con un ritratto che già presenta personali accenti cromatici.

È più o meno nella metà degli anni Venti che Carlo Levi presenta un certo avvicinamento alla Neue Sachlichkeit tedesca. Pur sempre mantenendo, però, un costante riferimento ai maestri antichi come Piero della Francesca e Giotto, accostati a Cézanne e risolti nella monumentalità casoratiana. Non è casuale questo avvicinamento agli antichi, sia per il clima generale di ritorno all’ordine, sia per il contatto con Lionello Venturi che nel 1926 dà alle stampe Il gusto dei primitivi.

Il definitivo abbandono della medicina per la pittura

Il 1927 è un anno cruciale per Carlo Levi: decide di abbandonare definitivamente gli studi di medicina, rifiutando di specializzarsi in dermatologia a Parigi. Si dedica in tutto e per tutto alla pittura, rielabora i modelli del Postimpressionismo e dell’Espressionismo francese per cercare, in qualche modo, di lasciarsi alle spalle l’impronta di Casorati.

Entra così a far parte del Gruppo dei Sei di Torino e si reca spesso a Parigi per studiare la pittura Postimpressionista. I suoi tratti si ammorbidiscono, il suo cromatismo si fa chiaro ma allo stesso tempo molto legato all’Espressionismo di Henri Matisse (1869-1954).

Partecipa alle mostre dei Sei di Torino, ma anche alle Biennali di Venezia, dimostrando una spiccata propensione verso la gamma cromatica piatta di Amedeo Modigliani (1884-1920). Anche se i Sei di Torino portano a termine l’esperienza di gruppo nel 1931, Carlo Levi è il pittore che lascia maggiormente il segno. Espone a Londra nel 1930 e si reca a Parigi nel 1932, per un lungo soggiorno.

L’importanza di Parigi

Frequenta Montparnasse e l’École de Paris, ed è a questo punto che il suo stile giunge a completa maturazione. Carlo Levi si fa protagonista di un Espressionismo che non ha nulla di oscuro o violento, ma che si circonda di un’aura lirica e sensuale.

Le linee curve e ininterrotte di Oskar Kokoschka (1886-1980) vengono acquisite da Carlo Levi senza la loro drammaticità, ma con un sentimento poetico alla Marc Chagall (1887-1985). Nel 1932 espone in una personale alla Galerie de la Jeune Europe una serie di paesaggi e nature morte.

L’antifascismo

Sono anche gli anni in cui inizia la sua attività sovversiva nei confronti del fascismo, per cui nel 1935 viene condannato al confino in Lucania. Nel 1936 viene rilasciato, dopo aver trascorso un intenso periodo di ricerca artistica i cui risultati vengono mostrati in una personale alla Galleria del Milione di Milano. Questa verrà seguita dalla personale a Roma presso la Galleria La Cometa e a New York nel 1938.

Dal 1939 al 1941 è in Francia, ma rientrato in Italia aderisce al Partito d’Azione in una ormai ufficiale attività antifascista, tanto che nel 1943 entra nel Comitato di Liberazione Nazionale. Naturalmente, questo va di pari passo anche con la natura anti ufficiale della sua pittura. Sempre più libera ed espressionista, è fortemente indirizzata a denunciare le tragedie della guerra.

Nel dopo guerra si affaccia al realismo, schierandosi nettamente contro il nascente astrattismo. Ritorna in Lucania e dipinge una serie di soggetti della realtà di Matera e di Aliano. All’attività pittorica si affianca quella letteraria, con la pubblicazione, nel 1945 di Cristo si è fermato ad Eboli. Muore a Roma nel 1975.

Carlo Levi: tra Casorati e il Postimpressionismo

Carlo Levi esordisce alla Quadriennale torinese con il casoratiano Ritratto di Ercole Levi. Alla Biennale di Venezia del 1924, invece, espone Arcadia, dipinto sempre ispirato ai modi del maestro, ma caratterizzato anche da una personale visione vicina alla Nuova Oggettività tedesca.

Questo si sviluppa ancor di più nel 1926, con Il fratello e la sorella presentati alla Biennale. Lo studio del Postimpressionismo francese è evidente a cominciare da questa data, quando la sua pittura si arricchisce di trasparenze e stesure sommarie.

I Sei di Torino

Espone nel 1929 con i Sei di Torino, prima presso la Galleria Guglielmi, poi alla Galleria Bardi di Milano. Qui espone una serie di nudi, tra cui Nudo rosa che esibisce una netta influenza di Modigliani, nella piattezza spaziale e nel cromatismo aspro.

Alla Biennale di Venezia del 1930 sono ormai chiare le sue ascendenze espressioniste. Vi espone undici dipinti tra cui Il letto, Mattino, Pesci rossi, Nudo con fiori, Giovane ebreo e Donna sdraiata. Mentre alla I Quadriennale di Roma presenta Natura morta, Figura e Daniel.

La sua pittura è schietta, libera da ogni costrizione formale, lontana ormai dai monumentalismi di Novecento. La sua aperta opposizione al fascismo si riflette nella sua arte di respiro europeo, come si nota da opere come L’uomo rosso comparsa alla Biennale di Venezia del 1932.

I riferimenti all’Espressionismo francese

Ormai, l’adesione di Carlo Levi all’espressionismo è dichiarata. Non è fatta però di accenti drammatici e violenti, ma di una linea espressionisticamente sinuosa e di un colore emotivo, sentito. Nei suoi dipinti si ritrovano Van Gogh e Bonnard, ma anche una personalissima e lirica visione del mondo.

Continua ad esporre tra l’Italia e la Francia ottenendo un successo sempre maggiore, soprattutto quando negli anni della guerra realizza forti opere di denuncia. Ne sono esempio La casa bombardata, Le donne morte e Le parole come pietre, opere dedicate anche alla drammatica realtà lucana.

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