Giuseppe Mancinelli

Giuseppe Mancinelli. Sfida al Canto tra i Pastori, 1841. Tecnica: Olio su tela
Sfida al Canto tra i Pastori, 1841. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Giuseppe Mancinelli (Napoli, 1813 – Palazzolo di Castrocielo, 1875) si forma presso il Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, allievo di Costanzo Angelini (1760-1853), artista neoclassico che lo introduce alla pittura sacra. Nel 1835 Giuseppe Mancinelli ottiene il primo premio presso la Mostra Borbonica, grazie al quale può compiere il pensionato a Roma.

Gli anni di studio a Roma

Giunto nella Città Eterna, Giuseppe Mancinelli conosce e si lega a Vincenzo Camuccini (1771-1844) che lo introduce alla pittura di storia. Grazie al maestro, entra in contatto con i maestri del Rinascimento e poi con il classicismo del Seicento.

Rimane a Roma per oltre dieci anni, portando a maturazione il suo linguaggio che si avvicina sempre di più alla maniera di Annibale Carracci e Domenichino. Nonostante Mancinelli abbia frequenti contatti con i puristi, non aderisce mai al loro sfrenato quattrocentismo.

Non si abbandona nemmeno alle istanze dei numerosi artisti nazareni presenti a Roma, ma rimane sempre fedele alla sua pittura classica, caratterizzata da un rigido accademismo. Riesce comunque a coniugare lo studio della pittura antica alle novità promosse da Friedrich Overbeck (1789-1869).

La pittura di storia, ispirata soprattutto ad episodi medievali, rimane la sua cifra caratteristica. Con questa si presenta assiduamente alle Mostre Borboniche. Spesso le tele vengono commissionate dalla corte di Ferdinando II, affascinato dalla pittura di Giuseppe Mancinelli che unisce classicismo a Romanticismo.

Giuseppe Mancinelli, “novello Domenichino”

Intorno agli anni Cinquanta, dopo il successo ottenuto con alcune composizioni realizzate per chiese napoletane, Giuseppe Mancinelli, riceve l’appellativo di “novello Domenichino”. Il suo delicato classicismo fatto di chiaroscuri e luci radenti lo rende uno dei pittori più apprezzati del tempo. Nel 1851 ottiene la cattedra di disegno presso il Reale Istituto di Belle Arti di Napoli.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta coniuga l’attività di insegnante a quella di pittore, raggiungendo un successo strepitoso. Come insegnante, dà inizio a quella riforma accademica che poi porterà alla generazione verista di successiva.

Ferdinando II, colpito dalla realizzazione del sipario del Teatro San Carlo con il Parnaso italiano e della Madonna degli Angeli per una chiesa di Tripoli, lo insignisce dell’Ordine di Francesco I.

Purtroppo, verso la fine degli anni Sessanta, il classicismo del pittore comincia ad essere screditato in favore di una pittura più fresca venuta alla luce grazie alla Scuola verista partenopea. Domenico Morelli (1826-1901) prende il suo posto nella cattedra di disegno e a lui viene affidata quella di pittura.

Non esporrà mai alle Promotrici napoletane dopo l’Unità d’Italia: le sue opere sono ormai considerate troppo antiquate per il mercato e la critica contemporanee. Piano piano la sua famiglia subisce un triste declino economico, per cui Giuseppe Mancinelli è costretto a dedicarsi ai remunerativi dipinti sacri e devozionali.

Realizza l’ultima grande opera per la cattedrale di Altamura nel 1875, poi, colpito da febbre tifoidea, si ritira a Palazzolo di Castrocielo, vicino Caserta, e vi muore nello stesso anno, a sessantadue anni.

Giuseppe Mancinelli: la pittura di storia a Napoli, tra classico e romantico

Giuseppe Mancinelli, esordisce alla Mostra Borbonica del 1930, ancora studente, con un Amorino. Già da questa prima prova si nota l’adesione ad un classicismo accademico, naturalmente ancora acerbo, ma di grande rilievo tecnico. Al 1833 risalgono invece Caino spaventato dopo aver ucciso Abele, Bellisario con la sua guida, Dante e Virgilio alla porta dell’Inferno.

Si tratta di dipinti tutti tratti da episodi storici o letterari, elemento che rimarrà cifra caratteristica della poetica di Giuseppe Mancinelli, per tutta la sua carriera. Nel 1835 il pittore presenta alla Mostra Borbonica Il figliol prodigo che ritorna tra le braccia paterne, La SS. Vergine col Bambino e La morte di Archimede. Questi dipinti gli permettono di ottenere il pensionato a Roma, dove si trasferisce nello stesso anno.

La riscoperta dei maestri antichi a Roma

A Roma, il linguaggio del pittore si arricchisce ancora di più a contatto non solo con i maestri del Rinascimento, ma soprattutto con Carracci e Domenichino. Si appropria, dunque, di un classicismo puro e colto, che in parte coniuga alle istanze puriste, senza cedere all’amore per il Quattrocento.

Continua ad inviare opere a Napoli, tra cui Ulisse nell’atto di scagliare il disco e Il profeta Isaia copiato da Raffaello nella Chiesa di Sant’Agostino a Roma, del 1837. Risalgono invece al 1893 Aiace e Cassandra e La contesa dei pastori Tirsi e Coridone, dall’egloga 7 di Virgilio. Tali opere, giudicate “magistrali” da Morelli, verranno proprio prese ad esempio dalla nuova pittura napoletana.

Nel 1841 invia a Napoli Torquato Tasso legge il suo poema alla presenza del Duca di Ferrara e di Eleonora d’Este e nel 1842 Tasso ricevuto da Clemente VIII Aldobrandini. Ma è il dipinto con San Carlo Borromeo fra gli appestati, realizzato nel 1847 per la chiesa di San Carlo all’Arena di Napoli, a garantire il soprannome di “novello Domenichino” a Giuseppe Mancinelli.

È il periodo più fecondo per il pittore, amato dalla corte borbonica e dal pubblico napoletano, per la purezza dei suoi dipinti, ricchi di figure e allo stesso tempo caratterizzati da una ponderazione classica di grande rilievo.

Il suo cromatismo moderno e romantico giunge a livelli altissimi, ma purtroppo il verismo che prende il sopravvento negli anni Sessanta, porta il pittore ad un lento declino. L’ultima opera di Giuseppe Mancinelli è la Presentazione della Vergine al Tempio per la cattedrale di Altamura, del 1875.

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