Pompeo Marchesi

Pompeo Marchesi. Andrea Appiani. Scultura in gesso
Andrea Appiani. Scultura in gesso

Biografia

Pompeo Marchesi (Saltrio, 1783 – Milano, 1858), figlio di un marmorario della fabbrica del Duomo di Milano, si forma presso l’Accademia di Brera al seguito di Giuseppe Franchi (1731-1806). Ancora in età napoleonica, ottiene un pensionato dall’Accademia per compiere un soggiorno a Roma di tre anni, dove si avvicina al Neoclassicismo di Antonio Canova (1757-1822).

Rientrato a Milano nel 1811, inizia a lavorare nel cantiere del Duomo, eseguendo le prime figure di Santi, che danno avvio ad una lunga serie di sculture realizzate nel corso degli anni per la fabbrica milanese.

Poco prima della caduta di Napoleone e quindi della Restaurazione, Pompeo Marchesi viene incaricato dell’esecuzione di una delle committenze più prestigiose del governo napoleonico a Milano, la decorazione dell’Arco del Sempione, sui disegni di Camillo Pacetti (1758-1826), che di lì a poco sostituirà come insegnante di scultura all’Accademia braidense.

Dalle committenze napoleoniche a quelle austriache

Con l’avvicendamento dovuto al Congresso di Vienna, lo scultore inizia a lavorare per la corte asburgica. Ottiene numerosi incarichi di carattere privato e pubblico, in cui sfoggia un classicismo austero che inizia ad indirizzarsi verso i primi accenni di Romanticismo, attraverso l’impiego di un tono a tratti celebrativo, a tratti tendente al naturalismo.

Numerosi sono gli interventi di Pompeo Marchesi in diversi monumenti lombardi, ma, persa l’occasione di realizzare il Monumento ad Andrea Appiani, poi assegnato al più accademico classicismo di Bertel Thorvaldsen (1770-1844), vive un momento di crisi che lo porta ad abbandonare i primi accenni di un sentimento romantico in favore di una scultura equilibrata e canonica.

Nel frattempo, partecipa regolarmente alle esposizioni di Brera e ingrandisce sempre di più il suo studio, situato nei Giardini Pubblici. Si tratta di una sorta di atelier-museo, che accoglie collezionisti e visitatori con tre colossali gruppi, per poi distribuire i modelli in gesso nei vani laterali, dove lavorano molti allievi e collaboratori.

Purtroppo, questo studio, con tutte le sue sculture all’interno, soccomberà ad un incendio nel 1834, e Pompeo Marchesi sarà costretto a trasferirsi nel vicino ex Convento di San Pietro Celestino.

I contatti con le famiglie aristocratiche lombarde

La definitiva affermazione dell’artista avviene verso la seconda metà degli anni Venti, quando riceve una lunga serie di incarichi dall’aristocrazia lombarda, per la decorazione di ville fuori Milano o per l’esecuzione di monumenti celebrativi. Stendhal, nella Certosa di Parma lo definisce addirittura “lo scultore alla moda” in Lombardia.

Molto vasta è la sua produzione ritrattistica, concentrata soprattutto tra gli anni Trenta e Quaranta: in essa, lo scultore riversa una visione naturalistica e pacata, allontanando la visione allegorica neoclassica, per prediligere ritratti in costumi moderni.

Riceve committenze dai Litta Visconti Arata, dai Sommariva, dal banchiere Heinrich Mylius, per i quali realizza non solo ritratti, ma anche soggetti mitologici, sacri e storici, personificazioni e pendant allegorici che si presentano sotto una veste purista e delicata.

Negli ultimi anni, Pompeo Marchesi è impegnato soprattutto in grandi monumenti pubblici per Milano, Como, Vienna, dopo essere stato nominato, nel 1838, “imperial regio statuario” dalla corte di Ferdinando I.

Tra purismo e romanticismo esegue le ultime statue e gli ultimi busti di respiro moderno. Nel 1852 smette di insegnare all’accademia e negli ultimi anni esce gradualmente dalla scena pubblica. Muore a Milano nel 1858, a settantacinque anni.

Pompeo Marchesi: la scultura lombarda dall’aulico Neoclassicismo al sentimento romantico

Nei primi anni dell’Ottocento, quando Pompeo Marchesi compie il pensionato a Roma, invia le sue opere a Brera, saggi dal forte temperamento canoviano, tra cui Socrate che esorta Alcibiade ad uscire da una casa di cortigiane e il ritratto marmoreo di Leonardo da Vinci.

Rientrato a Milano, come accennato, si occupa delle statue del Duomo, realizzando il San Filippo, il Sant’Ambrogio e il Sant’Ezechiele, tra le altre. Poco dopo, prende parte all’impresa decorativa dell’Arco del Sempione, per cui esegue, prima della caduta di Napoleone, due Vittorie alate e le statue dei fiumi Tagliamento e Adige, seguendo ancora gli stilemi di un classicismo aulico e celebrativo.

Dopo il Congresso di Vienna, l’Arco viene rinominato della Pace e diventa il simbolo della riconquista asburgica: per questo, negli anni Trenta, Pompeo Marchesi verrà di nuovo chiamato ad eseguire altri episodi per il monumento, tra cui Il passaggio del Reno La fondazione del Regno Lombardo Veneto.

Con la progettazione del Monumento ad Andrea Appiani, dimostra di procedere sempre più verso stilemi romantici, nella volontà di rappresentarlo in senso naturalistico ed in vesti moderne. In questa impresa, viene sostenuto da letterati e intellettuali, tra cui Carlo Porta. Ma alla fine si prediligerà la versione apertamente neoclassica di Thorvaldsen.

Da quel momento in poi, si impegna alacremente nel portare avanti il suo studio milanese, ottenendo incarichi da importanti famiglie lombarde: il Monumento a Carlo Della Bianca del 1825, il Monumento Strassoldo, la Venere pudica, del 1826 per il duca Litta Visconti Arese e il Monumento di G.B. Sommariva per Villa Carlotta a Tramezzo.

 Ritratti e monumenti

Tra le opere più significative di questo periodo d’oro vi sono importanti ritratti e monumenti del primo Romanticismo, tra cui quello a Cesare Beccaria, esposto a Brera nel 1829, il Vincenzo Monti dello stesso anno, il gruppo allegorico con l’Innocenza che accarezza la Fedeltà dei primi anni Trenta.

Sopravvivono in Pompeo Marchesi suggestioni classiciste e novità puriste e poi romantiche, in un equilibrio ordinato e a tratti austero, come si nota nel Monumento Sepolcrale per il banchiere Mylius. Più armoniosa delicatezza si riscontra nelle figure della Maddalena e della Venere pudica per il duca Litta dei primi anni Trenta.

Nel 1834, si occupa del Monumento a Cesare Beccaria e della Buona Madre del Venerdì Santo, gruppo commissionato dall’imperatore in persona. Quattro anni dopo, ormai nella piena maturità, realizza il monumento ad Alessandro Volta, per l’omonima piazza di Como, e il Monumento a Goethe, dove utilizza la stessa iconografia che appartiene a Beccaria e a Volta, quella dell’intellettuale in abiti moderni ma circondato da una sorta di toga che li atteggia a filosofi antichi. Al 1842 risale la statua equestre di Francesco I per Vienna, di carattere decisamente encomiastico.

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