Sommario
Biografia
Mario Reviglione (Torino, 1883 – 1965) si forma presso l’Accademia Albertina di Torino, al seguito di Giacomo Grosso (1860-1938) e di Paolo Gaidano (1861-1916). Ma sin da subito, lo spirito del pittore si rivela inadatto ad accogliere l’eredità dei maestri nel solco del naturalismo piemontese di tradizione ottocentesca.
Si specializza, infatti, nel paesaggio e nel ritratto, ma rielaborandoli attraverso una personalissima visione che sicuramente è debitrice delle novità introdotte a Torino da Felice Carena (1879-1966), cui è legato da una forte amicizia.
Mario Reviglione, dunque, più che seguire le regole della pittura convenzionale ed accademica, si fa trasportare dalla ventata di simbolismo giunta a Torino proprio grazie alla mediazione di Carena e di altri artisti come Leonardo Bistolfi (1859-1933) e Domenico Buratti (1881-1960).
Un artista fermamente anticonvenzionale
Per tutto il corso della sua carriera pittorica, rimarrà sempre legato alla poetica di ascendenza secessionista. Anche negli anni del ritorno all’ordine, resterà saldamente ancorato agli stilemi simbolisti, preraffaelliti e Liberty, operando uno stentato rifiuto delle novità sarfattiane.
I suoi paesaggi, crepuscolari, notturni e di ascendenza bökliniana, si ritrovano soprattutto nella sua produzione dei primi due decenni del Novecento. In seguito, soprattutto nei ritratti e nelle figure femminili, Mario Reviglione si identifica in un raffinatissimo gusto Liberty, in cui l’andamento sinuoso spesso è alternato a linee più incisive e dure di gusto secessionista nordico.
Il suo esordio risale alla Promotrice di Torino del 1903, dove ritorna ed esporre regolarmente fino al 1941. Ma è presente anche a numerose edizioni della Biennale di Venezia a partire dal 1907, alle Secessioni romane e alla Fiorentina Primaverile del 1922. Il clima simbolista lo accompagna fino alla sua produzione più tarda, databile agli anni Cinquanta. Muore a Torino nel 1965, a ottantadue anni.
Mario Reviglione: i paesaggi simbolisti e i ritratti di gusto secessionista
Sin dagli anni dell’Accademia, come accennato, Mario Reviglione rifiuta con vigore la tradizione naturalistica. Viene piuttosto attratto dal simbolismo di ascendenza nordica, dalle figure allungate delle prime opere di Carena, dai riferimenti allegorici e letterari.
Si specializza inizialmente nel paesaggio, sempre attraversato da riferimenti crepuscolari e da stimolanti suggestioni simboliche. Tutto ciò è ravvisabile già nel dipinto presentato al suo esordio torinese del 1903, La luna quella notte sognava più languidamente. Alla Mostra di Milano del 1906 per il Traforo del Sempione presenta il primo Ritratto, sempre legato alle atmosfere secessioniste.
Il suggestivo Ecloga autunnale compare alla sua prima Biennale veneziana del 1907, in cui una figura femminile dalle forme raffinate e solide allo stesso tempo, rappresenta l’allegoria dell’autunno.
Il legame con il simbolismo nordico e con gli stilemi preraffaelliti
La componente spirituale è preponderante in tutte le opere di Mario Reviglione, anche nei ritratti, in cui sembra richiamare le atmosfere oniriche e solenni dei dipinti del pittore belga Fernand Knopf (1858-1921).
Alla Biennale del 1909 presenta Giovine donna e a quella dell’anno successivo i due paesaggi simbolisti Silenzio e Alba d’Epifania. Lo spigoloso e secessionista ritratto della Poetessa Amalia Guglielminetti compare alla Biennale del 1912 insieme alla Testa di vecchia.
Dal 1913 al 1915 partecipa a tre edizioni della Secessione romana con Pastorale, Ritratto e Notturno in azzurro, un maestoso trittico di pannelli decorativi (Nubi, Stelle e Dormiente) che hanno come soggetti diverse declinazioni della notte che richiamano, soprattutto nei panneggi, le figure del pittore vittoriano e simbolista George Frederic Watts (1817-1904).
Alla fine della prima guerra mondiale, riprende ad esporre a partire dal 1920, senza lasciarsi influenzare dalle correnti di ritorno all’ordine. Anzi, il suo segno si riempie ancora di più di nostalgici richiami al simbolismo, come si nota dalle opere presentate alla Fiorentina Primaverile del 1922, Sera veneziana, Pastorale, Vaso di viole, Frammento di una nascita di Venere.
Alla Biennale del 1922 ritorna con il trittico Notturno, mentre nel 1924 espone Elevazione e nel 1926 la natura morta Notturno (Ayas – 1926), nella sua ultima partecipazione ad una Biennale. Da questo momento in poi, infatti, Mario Reviglione si chiude in un isolamento artistico che lo porta ad allontanarsi da circuito nazionale e ad esporre soltanto alle Sindacali torinesi.
Nel 1929 presenta Finale temporalesco e Pentesilea, nel 1931 Ritratto, Fanciulla in fiore e Mattino, nel 1936 Mattino di un giorno, Fine di un giorno e Sera in Pusteria, paesaggi sempre caratterizzati dalla consueta atmosfera crepuscolare. Partecipa alla sua ultima esposizione torinese nel 1941 con Tempesta sul Rosa e Cessato il temporale.
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