Sommario
Biografia
Michelangelo Pacetti (Roma, 1793 – 1855), figlio dell’importante scultore e restauratore Vincenzo Pacetti (1746-1820) viene introdotto alla pratica del disegno da suo padre. Scelta la via della pittura, si forma inizialmente presso l’Accademia di San Luca e poi nel prestigioso studio del paesaggista fiammingo Martin Verstappen (1773-1853), che sposa Angelina, la sorella di Michelangelo.
Sin dagli anni Venti dell’Ottocento, Michelangelo Pacetti si contraddistingue per la produzione di paesaggi e vedute a metà tra l’indirizzo classico e quello pittoresco, con cui interpreta la serenità idilliaca della campagna romana.
In compagnia di Massimo D’Azeglio (1798-1866), anch’egli allievo di Verstappen, si reca a dipingere en plein air nelle campagne che circondano Roma, facendo di questa produzione la sua cifra caratteristica.
Un pittore chiave del paesaggismo romano della prima metà dell’Ottocento
Ben presto, attraverso lo studio dal vero unito alla precisione prospettica e all’adozione di alcuni elementi tradizionali della veduta classica, Michelangelo Pacetti si guadagna il favore dei collezionisti romani e della critica accademica: espone regolarmente alle Mostre degli Amatori e Cultori di Belle Arti tra gli anni Trenta e Quaranta, di cui diventa consigliere.
In seguito è anche membro della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, divenendo una delle personalità più apprezzate e affermate del paesaggismo romano della prima metà del Secolo.
Mentre Massimo d’Azeglio anima le sue vedute attraverso l’inserimento di soggetti di storia contemporanea e di letteratura, il pittore romano predilige la scena di genere che si staglia solitamente su quinte paesaggistiche di matrice pittoresca, rese con acuta attenzione al dettaglio naturalistico e con particolare considerazione della località rappresentata, attraverso puntuali riferimenti geografici.
Nella scelta di dare alle vedute una dimensione aneddotica, conferita dall’impaginazione narrativa di cui sono protagonisti piccoli personaggi perfettamente descritti, la produzione di Michelangelo Pacetti si può tranquillamente inserire nel filone romantico italiano.
È necessario però sottolineare la matrice verista delle sue opere, sempre impostate su una perfetta e sentita modulazione della luce e delle ombre, nell’utilizzo di una tavolozza non sempre brillante, ma perfettamente calibrata. Attivo fino agli anni Quaranta, il pittore muore a Roma nel 1855, all’età di sessantadue anni.
Michelangelo Pacetti: il paesaggio della campagna romana tra naturalismo prospettico e scene aneddotiche
Sin da subito, la produzione di Michelangelo Pacetti si contraddistingue per la precisione prospettica delle vedute romane, di cui abbiamo testimonianza in un album di disegni a matita conservati a Palazzo Braschi e risalenti alla fine degli anni Venti.
Agli anni Trenta risalgono le sue vedute monumentali, quelle dedicate alla Città Eterna, ma anche a Napoli, di cui immortala la grandiosità attraverso una impostazione prospettica otticamente precisa e una dimensione luministica in grado di porre attenzione tanto ai particolari quanto alla ariosa visione d’insieme.
Ciò si riscontra in alcune opere come Veduta del Foro Romano dal Colle Capitolino o Veduta del Tevere a Roma con San Pietro e Castel Sant’Angelo, entrambe della metà degli anni Trenta.
Sono da segnalare poi Veduta di paese con processione funebre, conservata presso il Pio Istituto Catel a Roma e tutte le vedute dedicate agli scorci poetici della campagna romana, come Rocca di Papa, Marino con figure rappresentanti la corte di San Gregorio XVI del 1839, Scena di caccia, la sosta dei cacciatori del 1842, Il lago di Castel Gandolfo con animali.
Si tratta di rappresentazioni pittoresche nella maggior parte dei casi animate da piccole figure che compaiono puntualmente anche nei paesaggi di Verstappen e Catel, utilizzate per fornire un contrasto con l’imponente monumentalità delle vedute urbane o per conferire un risvolto narrativo ed aneddotico alla descrizione puntuale della campagna romana.
Nonostante non ci sia un uso eccessivamente variegato della tavolozza, che risulta sempre impostata su tonalità chiare prive di guizzi inediti, la luce è modulata con sapienza ed attenzione al vero.
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