Sommario
Quotazioni Pippo Rizzo
L’area collezionista è nazionale per i dipinti futuristi e regionale (Sicilia) per i dipinti del secondo periodo. Il pittore ha avuto una carriera molto lunga e quindi una produzione vasta. Le opere futuriste sono le più ricercate e sono quotate in media tra gli 8.000 e i 15.000 euro. I dipinti più tardi degli anni Venti e Trenta sono valutati tra i 2.000 e i 4.000 euro.
Cifre maggiori possono raggiungere i capolavori del primo periodo. Record d’asta per un acquerello futurista è di euro 3.800 realizzato 2013.
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Biografia
Pippo Rizzo (Corleone, 1897 – Palermo, 1964), dimostrate buone doti artistiche sin dall’infanzia, studia all’Accademia Di Belle Arti di Palermo, dove ha come insegnante Ettore De Maria Bergler (1850-1938).
Esordisce dunque come pittore di paesaggio, seguendo le orme del maestro, ma non è immune nemmeno all’influenza di Antonio Mancini (1852-1930) soprattutto dal punto di vista della resa cromatica.
Alla fine degli anni Dieci del Novecento, Pippo Rizzo si separa gradualmente dal linguaggio ottocentesco per sperimentare, in diversi dipinti giovanili, il Divisionismo. Influenzato dalla fase divisionista di Giacomo Balla (1871-1958), espone per la prima volta in una personale romana nel 1921, entrando subito in contatto con gli esponenti del Futurismo.
L’attività futurista in Sicilia
Conosce Marinetti e subito dopo la pittura futurista di Balla e Umberto Boccioni (1882-1916). Dunque, all’inizio degli anni Venti e per tutto il decennio, Pippo Rizzo diviene uno dei maggiori rappresentanti del secondo Futurismo in Sicilia, insieme a Giovanni Varvaro (1888-1973) e a Vittorio Corona (1901-1966).
Interessato non solo alla pittura, ma anche alle arti applicate, nel suo studio palermitano realizza mobili, arredi, ceramiche, lampade e allestisce mostre futuriste in Sicilia con grande impegno e serietà, tanto da essere invitato da Marinetti ad esporre insieme al nucleo futurista alle Biennali del 1926 e del 1928.
Pippo Rizzo è interprete di un Futurismo tutto concentrato sulla scomposizione geometrica delle immagini della realtà, unita sempre ai temi del dinamismo e dell’esaltazione della macchina.
Alla fine degli anni Venti, è molto attivo nelle esposizioni siciliane: organizza a Palermo la I Mostra Nazionale d’Arte Futurista e nel 1928 cura l’allestimento della Sala Futurista presso la I Mostra Internazionale di Arti Decorative di Taormina.
L’adesione a Novecento
Nel 1930, l’artista decide di abbandonare il linguaggio futurista per addentrarsi nel ritorno all’ordine. Interessato alla reinterpretazione della solennità e dello spazio della pittura trecentesca di Giotto, inizialmente segue soprattutto le orme di Carlo Carrà (1881-1966).
Il suo primitivismo secco e preciso allo stesso tempo colpisce Margherita Sarfatti che lo invita ad esporre con Novecento alla grande Mostra di Buenos Aires del 1930. Ma ben presto la modalità pittorica di Pippo Rizzo subisce un altro cambiamento.
Sempre nell’ambito del ritorno all’ordine, si allontana da quel maestoso e rigido tributo al Trecento, per inoltrarsi in una pittura, sempre legata alla reinterpretazione dei maestri antichi, ma più intima e familiare, dedicata alla narrazione della quotidianità.
Tra gli anni Trenta e Quaranta risiede per qualche tempo a Roma, ma rientra a Palermo nel dopoguerra, quando viene nominato direttore dell’Accademia di Belle Arti della città siciliana.
Negli anni Cinquanta, si concentra su una serie di dipinti che hanno come protagonisti i pupi, reinterpretati in chiave moderna. Muore a Palermo nel 1964 a sessantasette anni.
Pippo Rizzo: il secondo Futurismo siciliano
Prima di avvicinarsi al Futurismo nella sua esperienza romana del 1921, Pippo Rizzo passa una fase legata al paesaggio dell’Ottocento e poi si addentra nell’uso della tecnica divisionista. Di quest’ultima fase ci rimangono alcuni dipinti realizzati tra la fine degli anni Dieci e l’inizio del decennio successivo, come Paesaggio siciliano, Il sole, Ritratto di Vittorio Corona e Parco dei Daini.
L’influenza del Balla divisionista è certa, anche e soprattutto per quest’ultimo dipinto realizzato a Villa Borghese quando il ragazzo visita Roma per la prima volta. È proprio durante la sua prima personale romana che entra in contatto con il Futurismo.
Tra le opere futuriste degli inizi abbiamo Sogno di adolescente del 1919 e Figura-luce-atmosfera del 1921, conservata presso la GAM di Palermo, ma anche Il ritorno dalla campagna, L’arrotino e Treno notturno in corsa, sempre realizzati tra il 1920 e il ’21.
Nel 1926, partecipa insieme ai Futuristi alla Biennale di Venezia con Futurismo e Fascismo e Lampi, alla successiva invia Football. Ancora, appartengono alla fase futurista degli anni Venti lavori come Fanale a gas, Mare scirocco e Tramonto futurista.
La scomposizione geometrica
Nelle sue composizioni è principalmente interessato a coniugare le linee forza del dinamismo futurista alla scomposizione geometrica, realizzando soggetti in cui diversi piani si intersecano formando sapienti giochi di luce e colore. Lo stesso avviene nella progettazione di oggetti d’arredo e di capi d’abbigliamento, come i gilet.
Fondamentale è poi il tributo che il pittore, nella sua fase futurista, ha dato allo sport, dando vita ad immagini in cui calciatori, schermidori e ciclisti vengono dinamicamente scomposti assecondando il tempo e il movimento del corpo. Ne sono esempio le tele Schermidori, Cavallo che salta l’ostacolo e Calciatori.
Il ritorno all’ordine
A partire dal 1930, come premesso, Pippo Rizzo, abbandona in Futurismo, anche con l’intento di aggiornare alle nuove tendenze pittoriche la sua Sicilia. Aderisce subito al ritorno all’ordine del gruppo Novecento a Milano, seguendo inizialmente soprattutto le orme di Carlo Carrà.
Un esempio chiaro di questi inizi nel segno del Trecento è il dipinto dedicato a San Francesco che riprende i modi piatti, ieratici e solenni della pittura del Medioevo. Alla Biennale di Venezia del 1930 presenta ben nove dipinti: Lavoro nei campi, Verso sera, La battitura del grano, Lampionario di paese, Campagna, Ritratto in azzurro e Portatrice di pane.
La dipartita, dipinto iconico e giottesco, compare alla I Quadriennale romana del 1931 e sembra reinterpretare alla perfezione i modi di Carrà delle Figlie di Loth del 1919.
Ben presto, però, già dalla Biennale del 1932, giunge ad un ritorno all’ordine più morbido e pieno di intimità familiare, come dimostrano le opere Autoritratto, Donna con chitarra, Figura alla finestra e Campagna di Sicilia.
Un linguaggio più personale e maturo
La solennità degli inizi si affievolisce e si trasforma in un linguaggio più personale e maturo. Alla Quadriennale romana del 1935 invia Paesaggio, Risveglio dell’Etna e Ricordo di Venezia, a quella del 1939 Piccolo ritratto, Vita campestre, Paese, Capretta sonnolenta, Alba e mare e Il sole di Sicilia.
Nello stesso anno, prende parte anche al Premio Bergamo con il silenzioso e assolato dipinto Sicilia interna, in cui le montagne fanno da sfondo alla tipica e familiare scena di un cavallo che trasporta le botti sul carretto.
A questo punto, la sua tavolozza si fa sempre più luminosa e sciolta, come dimostra il Paesaggio presentato al Premio Bergamo del 1942. L’anno successivo tiene una personale alla Quadriennale di Roma, in cui presenta ventuno opere. Tra esse compaiono Il padrone del grano, Lettura, Vaso con mimose, Paesaggio siciliano, Bimbo che dorme, Natura morta pasquale e Violette.