Pompeo Borra

Pompeo Borra. Bruna. Tecnica: Olio su tela
Bruna. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Pompeo Borra (Milano, 1898 – 1973) nasce da un’umile famiglia milanese. Dimostrate buone doti artistiche, frequenta l’istituto tecnico, per poi iscriversi all’Accademia di Brera, rinunciando poi a frequentarla.

La sua formazione, quindi, avviene prevalentemente attraverso uno studio personale e solitario, che inizia indicativamente a cavallo della Prima guerra mondiale. Compiuti i diciott’anni nel 1916, parte volontario per la guerra e viene congedato dall’esercito nel 1919.

Rientrato a Milano, il giovane Pompeo Borra inizia a produrre una serie di opere che sembrano già integrarsi perfettamente con gli stilemi del ritorno all’ordine. La prima produzione è composta da soggetti di carattere primitivista, inseriti in ambienti rarefatti ed atmosfere metafisiche.

Il successo espositivo

A partire dai primi anni Venti, l’artista prende parte alle esposizioni della Famiglia Artistica milanese, che rappresentano una sorta di trampolino di lancio per le mostre nazionali, una su tutte la Biennale di Venezia.

Vi partecipa, infatti, per la prima volta, nel 1924, con un paio di opere in cui già è presente il fil rouge che identificherà tutta la sua produzione futura: la scelta di rappresentare figure possenti, dotate di un arcaismo silenzioso e vigoroso, che si nota dai visi impietriti e dai lineamenti primitivi, ma anche dalle volumetrie statiche e ieratiche, che richiamano la statuaria antica.

Alla Biennale viene notato e recensito da Carlo Carrà (1881-1966) che, pur biasimando qualche «durezza espressiva specialmente nell’angolatura dei volti», loda la sua capacità compositiva, scomodando nientemeno che la ieraticità e la purezza delle pose delle Due cortigiane veneziane di Carpaccio.

Nonostante le evidenti aderenze di Pompeo Borra agli stilemi del ritorno all’ordine di Novecento, non farà mai ufficialmente parte del gruppo nato tra le braccia di Margherita Sarfatti, anche se esporrà con loro sia in Italia che all’estero.

Gli anni Trenta

Pompeo Borra tiene la sua prima personale nel 1928, presso la Galleria Bardi di Milano, continuando a farsi protagonista di un’attività espositiva molto intensa, tra partecipazioni alle Biennali, ma anche alle Quadriennali romane, al Premio Bergamo e a diverse personali e collettive alla Galleria del Milione.

Gli anni Trenta sono particolarmente intensi per il pittore milanese. Nella prima metà, opera un iniziale cambiamento a livello cromatico: la tavolozza si schiarisce e diventa più luminosa. Nella seconda metà, comincia ad utilizzare accostamenti tonali altamente espressivi.

Dopo un viaggio a Parigi del 1936, Pompeo Borra inizia ad impiegare colori primari e puri, senza mai abbandonare quell’equilibrio compositivo che si rifà ai maestri primitivisti italiani. Ma ben presto, la volumetria della tradizione giottesca o masaccesca lascia il passo alla predilezione per le superfici cromatiche fortemente bidimensionali.

Le figure, delineate da un forte contorno, sono ispirate a quelle espressioniste di Matisse, anche nell’utilizzo di contrasti cromatici stridenti e nuovi, che si allontanano dalla realtà. Gialli, blu, rossi, arancioni e verdi accesi sono alla base della sua nuova pittura.

L’antifascismo e gli ultimi decenni

Sin dall’inizio degli anni Quaranta, Pompeo Borra si distingue per la sua esplicita attività antifascista. Nel 1940 viene arrestato e mandato al confino per due anni: la seconda guerra mondiale rappresenta uno spartiacque nella sua produzione.

Terminato il conflitto, si dedica anche alla teoria e alla critica artistica, che porta alla pubblicazione della monografia su Piero della Francesca nel 1950. In questi anni, continua a dipingere, dedicandosi alla rappresentazione di figure emarginate dalla società: la sua tavolozza è sempre accesa e composta da colori lontani dalla mimesis, perché espressionisti, acuti e accostati con dissonanza, nella loro pura piattezza.

Nel 1951, Pompeo Borra viene nominato professore di pittura a Brera, di cui diviene direttore nel 1970. Tra gli anni Sessanta e Settanta la sua produzione si concentra soprattutto su figure e volti femminili ripetuti in numerose varianti, in cui il colore primario gioca sempre un ruolo preponderante. Muore a Milano nel 1973.

Pompeo Borra: le composizioni ieratiche e primitiviste

Figure possenti e statuarie sono le protagoniste indiscusse della prima produzione dell’artista milanese Pompeo Borra. Una purezza quasi totemica caratterizza le pose statiche e i visi volutamente arcaici, in un richiamo continuo non solo alla pittura medievale e protorinascimentale, ma anche alle forme arcaizzanti etrusche.

All’aperto e Composizione sono i due dipinti che lo rendono noto agli occhi della critica alla Biennale di Venezia del 1924 e che rappresentano l’inizio del suo particolare percorso. Poi, con Gente povera partecipa alla Biennale successiva del 1926, con Contadinella a quella del 1928 e con La strada, Lago d’Iseo e Maruzza a quella del 1930.

La pittura di Pompeo Borra risulta inizialmente fortemente primitivista, con masse e volumi possenti e con la purezza disegnativa e compositiva della tradizione tardomedievale italiana. Impossibile non ravvisare Giotto nella Donna seduta presentata alla I Quadriennale romana del 1931 o nella Donna in riva al mare della Quadriennale del 1935.

Le fanciulle, caratterizzate da labbra carnose e corpi importanti e fermi, quasi bloccati in una sorta di estasi ininterrotta, sono alla base della produzione di tutta la prima metà degli anni Trenta, con un grande equilibrio disegnativo e compostezza e chiarezza tonale.

Un cromatismo espressivo e bidimensionale

Dalla seconda metà degli anni Trenta, dopo un viaggio a Parigi, il linguaggio di Pompeo Borra cambia repentinamente. Le sue figure statiche e volumetriche si fanno man mano piatte ed il colore, da naturalistico, diventa espressionista.

In composizioni che stanno a metà tra il colore Matisse e la consueta robustezza delle figure di matrice trecentesca e quattrocentesca, si svolge la seconda metà degli anni Trenta. Nel 1937 tiene la sua personale alla Galleria del Milione in cui espone trenta opere, tra cui Anacapri, Annunciazione, Modelle, Donna in azzurro e Donna in rosa.

Già qui si nota il passaggio all’utilizzo di colori accesi e stridenti che si concretizzerà negli anni a venire, in composizioni ora bidimensionali ed espressive, come Figura del Premio Bergamo del 1940 e le Amazzoni del Premio Bergamo del 1943. Continuerà su questa linea espressiva dai toni arditi fino alla fine della sua carriera, accentuando piano piano sempre di più la scelta di un cromatismo à plat.

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