Romolo Romani

Romolo Romani. Ritratto di Dina Galli (dettaglio), 1908. Tecnica: Matita su carta
Ritratto di Dina Galli (dettaglio), 1908. Tecnica: Matita su carta

Biografia

Romolo Romani (Milano, 1884 – Brescia, 1916) si trasferisce molto presto a Brescia, dove inizia a coltivare la passione per la pittura, giovanissimo. A soli quattordici anni, entra nello studio del pittore Giuseppe Ronchi (1873-1951), suo fratellastro. In questo periodo, si dedica soprattutto al perfezionamento del disegno, studiando in particolare Dürer.

Il fervente ambiente culturale milanese

Nel 1901, si trasferisce a Milano, dove inizia a frequentare l’ambiente culturale che gravita attorno alla figura di Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920). Con quest’ultimo, instaura un rapporto molto produttivo, che gli permette di esporre alla Mostra della Caricatura di Varese nel 1903.

Sempre con alcuni disegni, Romolo Romani viene invitato a partecipare alla Biennale di Venezia del 1905, suo prima mostra importante. Il disegno dell’artista è sicuramente assimilabile alle coeve esperienze europee nel campo del Simbolismo e della Secessione.

Interessato alla rappresentazione allegorica, usa il carboncino o il pastello per trasmettere la sensazione di atmosfere notturne e visionarie, angosciose e oniriche. Nel frattempo, diviene sempre più importante nell’ambiente della caricatura, tanto da pubblicare alcuni disegni sulla rivista “Poesia”, diretta da Marinetti, tra il 1906 e il 1908.

Il Manifesto dei pittori futuristi e l’immediato allontanamento dal movimento

Frequenta la cerchia di artisti che collaborano alla rivista, tra cui Carlo Carrà (1881-1966), Umberto Boccioni (1882-1916), Luigi Russolo (1885-1947) e soprattutto Aroldo Bonzagni (1887-1918), a cui è legato da una forte amicizia.

Nel febbraio del 1910, Romolo Romani firma insieme a questi artisti il Manifesto dei pittori futuristi, distribuito come volantino della rivista “Poesia”. È pur vero, però, che l’artista si allontana immediatamente dal movimento futurista, tant’è che non sarà tra i firmatari del manifesto successivo.

Nonostante i «paesaggi d’incubo» piacessero particolarmente a Marinetti, Romolo Romani si incammina verso un proprio linguaggio astratto, fatto di rigore geometrico e allo stesso tempo fortemente espressivo.

Piano piano la forza onirica lascia il passo a composizioni più equilibrate e astratte, soprattutto a partire dal 1910, quando l’artista si ammala gravemente. Lavora per altri quattro anni, conducendo una vita molto appartata a Brescia e dedicandosi anche alla decorazione di chiese e palazzi. Muore a soli trentadue anni, stroncato dalla malattia, a Brescia nel 1916.

Romolo Romani: dal Simbolismo alla pittura astratta

Come disegnatore e illustratore, Romolo Romani si inserisce perfettamente nel quadro del simbolismo dalle atmosfere nordiche e tormentate. Il suo esordio avviene alla Biennale di Venezia del 1905, in cui presenta i tre disegni Il rancore, Il sospetto e Ritratto di Vittore Grubicy de Dragon.

Sensazioni di angoscia, attraverso un segno fino e nervoso emergono anche dai disegni presentati alla Mostra di Milano per il Traforo del Sempione del 1906.

Si tratta di due cicli, quello dedicato ai Simboli: la guerra, l’attrazione, lo scettico, il malizioso e quello dedicato alle Sensazioni: l’incubo, lo scrupolo, il silenzio, la sensazione e il lamento.

Questi gruppi di opere rappresentano il nucleo più importante della prima parte di produzione di Romolo Romani, quella di carattere profondamente simbolista, con riferimenti costanti ad artisti come Odilon Redon (1840-1916). Ne è un esempio il bellissimo e sfuggente Ritratto di Dina Galli, presentato alla Biennale di Venezia del 1910, insieme a quello della Signora G. R.

Dopo il brevissimo contatto con il Futurismo, Romolo Romani passa gradualmente dal segno secessionista ad atmosfere astratte in cui scompare quasi del tutto la figurazione, sostituita da incontri geometrici e cromatici di grande valenza spirituale.

Anche se spesso, dietro la successione di linee si nascondono ritratti di forte impatto allegorico ed espressivo.

Dopo la morte prematura del pittore, la Biennale veneziana gli dedica una retrospettiva nel 1932, a sedici anni dalla sua scomparsa. Vi compaiono tredici opere tra cui i due Cicli delle sensazioni e dei simboli, Autoritratto, Il riso, Ritratto di Margherita Sarfatti e Studio di donna allo specchio.

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