Scipione

Scipione. Il Risveglio della Bionda Sirena, 1929. Tecnica: Olio su cartone, 80,5 x 102 cm
Il Risveglio della Bionda Sirena, 1929. Tecnica: Olio su cartone

Biografia

Scipione (Macerata, 1904 – Arco, 1933) pseudonimo di Gino Bonichi, nasce nelle Marche, a Macerata, dove inizia con successo a praticare diversi sport come il nuoto e l’atletica. Purtroppo, dopo essersi ammalato di polmonite, viene ricoverato in sanatorio per un lungo periodo nel 1919, ma a causa di una successiva tubercolosi, rimarrà malato per tutta la vita.

Dopo il ricovero, smette di fare sport, si trasferisce a Roma e decide di assecondare la sua passione per l’arte. Frequenta, infatti, la Scuola Libera del Nudo e soprattutto si lega profondamente a Mario Mafai (1902-1965), primo artista a cui mostra i suoi disegni e che lo incoraggia a continuare.

Tra i due nasce un’amicizia sincera che li porta ad approfondire la conoscenza della Roma barocca, soprattutto durante lunghe passeggiate notturne. Frattanto, riaffiora la malattia del giovane artista che lo costringe ad un nuovo ricovero attorno alla metà degli anni Venti.

Il 1927: un anno cruciale

Uscito dal sanatorio, riprende la stimolante vita artistica, conoscendo anche Marino Mazzacurati (1907-1969) e Antonietta Raphaël Mafai (1895-1975). Il 1927 è un anno fondamentale: questo gruppo di artisti inizia a frequentare assiduamente la Biblioteca di Palazzo Venezia e l’Hertziana, dove studiano i primitivi e i manieristi.

Poi, nel maggio, visitano la mostra di Giuseppe Capogrossi (1900-1972), Francesco Di Cocco (1900-1989) ed Emanuele Cavalli (1904-1981) alla Pensione Dinesen e ne rimangono fortemente colpiti, soprattutto per la trattazione del colore tormentato e pastoso e delle figure, primitive, attonite e immobili.

L’artista marchigiano, inizia ad essere chiamato Scipione proprio nel corso del 1927, per il suo aspetto imponente e per il suo carattere energico e volitivo, nonostante il tormento della malattia. Questo gruppo di artisti, insieme poi a scrittori come Ungaretti, De Libero, Falqui prendono a frequentarsi nella casa di Mario Mafai e Antonietta Raphaël, a via Cavour.

La Scuola di via Cavour

A questo punto, Scipione, stimolato anche dalla vena creativa di Antonietta, dà vita ad una pittura visionaria ed accesa, che ha come primissimi riferimenti le deformazioni formali e cromatiche di El Greco, ma anche il mistero ermetico di Parmigianino.

I suoi dipinti esprimono allucinazione e un espressionismo violento, fantastico. È sempre del 1927 la prima mostra del gruppo presso la Casa d’Arte Bragaglia, seguita poi, nel 1928, dalla collettiva, insieme a Capogrossi, Cavalli e Di Cocco al Circolo di Roma.

Giunto alle soglie degli anni Trena, il pittore marchigiano tocca il punto più alto della sua sperimentazione: dipinge le opere che lo rendono famoso al grande pubblico, capolavori intensi e sofferti, realizzati con assoluta dedizione e studio.

Il suo personale espressionismo vigoroso e visionario è da ispirazione per altri artisti e letterati, ma Mario Mafai se ne distacca, interprete di una pittura meno drammatica e allucinata di quella dell’amico.

Nel 1929, passa un lungo periodo estivo a Frosinone, dipingendo e cercando di tenere a bada la sua malattia. Qui, sviluppa ancora di più il suo genio, dedicandosi a composizioni paesaggistiche e a nature morte ricche di un simbolismo tragico che ricorda le opere letterarie e disegnative di Blake, ma anche i componimenti poetici dell’amico Ungaretti.

Scipione. Gli ultimi, sofferti anni

All’inizio del 1930, inizia a collaborare con alcune illustrazioni alla rivista “Italia Letteraria” di Falqui e, contemporaneamente partecipa a diverse mostre, come le Sindacali laziali, la Biennale di Venezia del 1930 e la I Quadriennale romana del 1931.

Il febbrile studio lo porta ad esporre le sue opere più intense, insieme a Mafai, alla Galleria di Roma in via Veneto, ottenendo un grandissimo successo. Lavora poi, sempre con Mafai, alla sua rivista “Fronte”, prima del nuovo riaffiorare, ancora più acuto, della malattia.

Dopo la Quadriennale del ’31, viene ricoverato in un sanatorio ad Arco, vicino Trento. Rientrerà solo per un breve periodo a Roma, dimostrando la sua tenacia e la sua forza, fino a che, di nuovo ad Arco non sopraggiunge la morte, quando Scipione ha solo ventotto anni.

Scipione: un Espressionismo visionario e drammatico

La breve parabola vitale dell’artista maceratese non gli ha comunque impedito di dare alla luce opere fantastiche, ricche di una visione personalissima, spesso geniale. Fondamentale per il giovane artista è lo studio della poesia romantica e simbolista, ma anche dei pittori manieristi, che lo ispirano per la gestione drammatica, ermetica e visionaria dei colori e delle forme.

Un cromatismo violento lo caratterizza sin dai primi dipinti, come Autoritratto del 1927 o Estate del 1928. Al Circolo di Roma, nel 1929, espone Contemplazione, mentre alla Sindacale del Lazio dello stesso anno propone Tramonto e uno Studio di testa.

Le sue sono opere quasi sanguinarie, tragiche, sempre denotate da quel colore rossastro che compare a mostrare distorsioni della realtà, vista in maniera allucinata e simbolica. Durante il suo soggiorno a Frosinone del 1929, realizza dipinti ispirati alle zone circostanti, come Abbazia di Trisulti e Collepardo.

Con Pranzo del marinaio e Il sogno di Ferdinando, sempre nel 1929, partecipa alla Mostra Marinara d’Arte al Palazzo delle Esposizioni. Mentre nel 1930, alla Mostra del Sindacato espone Il risveglio della Sirena, Cavallo infuriato, Asso di spada e Tavolo rosso.

Con una sola opera, forse la più famosa di Scipione, Il Cardinale Decano, partecipa alla Biennale di Venezia del 1930. In questa dipinto unico e dai colori scuri e tormentati, si riuniscono barocco e metafisica, manierismo ed espressionismo, nella scelta ben precisa di ritrarre un Cardinale anziano, che porta dentro di sé quasi un secolo di storia, nel momento in cui Roma sta cambiando, all’indomani della firma dei Patti Lateranensi con il Regime.

Ancora nel 1930, l’artista, molto malato, partecipa alla mostra insieme all’amico Mafai alla Galleria di Roma, in cui espone Piazza Navona, Gli uomini che si voltano, Cortigiana romana, Ritratto della madre e La meticcia. Alla Quadriennale romana del 1931, sua ultima esposizione, presenta Via che porta a San Pietro, Apocalisse e Ritratto.

Nel 1935, la Quadriennale gli dedica una retrospettiva in cui compaiono ventidue opere dell’autore, tra cui Il cardinal Vannutelli sul letto di morte, Il pranzo del lupo di mare, Cavalli davanti al mattatoio, Castel Sant’Angelo, Il principe cattolico, Piazza S. Giovanni.

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