Sommario
Quotazioni Teofilo Patini
I dipinti di piccole dimensioni sono quotati tra i 2.500 e i 5.000 euro in media. Le opere più grandi hanno stime tra i 5.000 e i 15.000 euro mentre i capolavori possono superare i 50.000 euro. Meno ricercati sono i soggetti storici di ispirazione tardo romantica mentre il collezionismo abruzzese ricerca in particolare modo le opere di impegno sociale o episodi di vita contadina. L’area di interesse è esclusivamente abruzzese.
Le stime indicate sono approssimative e possono variare per diversi fattori quali il periodo, la dimensione, la qualità, lo stile, la tecnica ecc… I nostri consulenti sono ben lieti di essere contattati per offrire una quotazione aggiornata e gratuita della tua opera d’arte.
Conosci i prezzi di Mercato dell’artista?
Le foto dell’opera di Teofilo Patini debbono essere corredate dalle rispettive misure, della firma ed anche del retro. Una Valutazione Gratuita ti sarà offerta dal nostro Staff di esperti entro 24 ore. Posiziona le foto dell’opera nel form sottostante, oppure utilizza i contatti in alto. Acquistiamo le sue opere.
Biografia
Teofilo Patini (Castel di Sangro, 1840 – Napoli, 1906) nasce da padre cancelliere per cui viene indirizzato agli studi classici. Viene iscritto l’Istituto di Lettere e Scienze creato nel 1845 a Sulmona da Leopoldo Dorrucci.
Si trattava di una scuola illuminata in cui il sacerdote latinista, con il letterato Panfilo Serafini, educavano le giovani menti abruzzesi all’idea di un’Italia unita senza dominazioni straniere.
Il loro legame con la Carboneria e la condivisione di ideali liberali e antiborbonici sicuramente influenzano la prima formazione di Teofilo Patini. L’artista terrà sempre presente questa iniziale esperienza politica ed ideologica.
La formazione napoletana e l’esperienza garibaldina
Negli anni Cinquanta Teofilo Patini si trasferisce a Napoli per portare a termine la sua formazione classica inscrivendosi all’università. Decide di interromperla per dare fondamento alla sua propensione per l’arte iscrivendosi al Reale Istituto di Belle Arti. Già nel 1859 partecipa alla Biennale Borbonica ricevendo una medaglia d’argento.
Nel 1860 decide di entrare da garibaldino nelle fila dei Cacciatori del Gran Sasso partecipando a diverse battaglie e spedizioni. Tra queste vi sono quelle per la conquista di Castel di Sangro, suo paese natale e di alcuni territori della Marsica.
Nel 1863, dopo l’Unità, Teofilo Patini continua la sua attività militare come volontario. Si arruola nella Guardia Nazionale in Abruzzo per contribuire alla sconfitta del brigantaggio.
Nel frattempo termina i suoi studi artistici a Napoli e nel 1862 si iscrive alla Società Promotrice di Belle Arti.
Tra Firenze, Roma e L’Aquila
Nel 1869 si trasferisce a Firenze dopo aver vinto il pensionato artistico. Qui entra in contatto con i Macchiaioli, in particolare con Silvestro Lega (1826-1895) e Odoardo Borrani (1833-1905). All’inizio degli anni Settanta invece si trasferisce a Roma per un paio di anni, stringendo amicizia con Michele Cammarano (1835-1920).
Dagli anni Ottanta ritorna nel natio Abruzzo. Nel 1882, grazie all’intervento di Primo Levi, ottiene l’incarico di direttore artistico della Scuola di Arti e Mestieri dell’Aquila.
Questi sono gli anni in cui la sua produzione artistica risulta più brillante.
Teofilo Patini realizza le sue opere più importanti e comincia a far emergere da esse il suo legame con la massoneria. Tra i legami più forti, quello con loggia aquilana “Cosmogonia”, ovviamente retaggio della prima formazione sotto la guida di Dorrucci e Serafini.
Sono anche gli anni in cui però nasce una sorta di tormento ideologico che lo porterà poi al suicidio nel 1906 a Napoli.
Le prove giovanili
Nel periodo della formazione napoletana, le capacità di Teofilo Patini emergono ben presto con la partecipazione a diverse esposizioni pubbliche. Dalle prime prove pittoriche conosciute, come Santa Liberata, oggi in collezione privata ma originariamente collocata in una chiesa di Rivisondoli, o come Il buon samaritano si può rilevare il carattere sì liberale ma pur sempre cattolico dell’educazione ricevuta a Sulmona.
Altra opera ancora ascrivibile al periodo formativo è Autoritratto giovanile, realizzato quando Teofilo Patini si trova a Castel di Sangro per combattere il brigantaggio. Nel 1863 partecipa alla II Promotrice di Napoli con La rivolta di Masaniello, un dipinto di storia dichiaratamente politico e antispagnolo.
Incursioni nella pittura di storia
Altri dipinti di storia appartengono all’età giovanile di Teofilo Patini, come Il Parmigianino, Dopo la sconfitta, Arte e libertà e La compagnia della morte, questi due ultimi dipinti ancora una volta ispirati alla rivolta di Masaniello a Napoli nel Seicento, richiamo ovvio alla situazione presente.
A testimonianza di quanto fosse stata importante la prima formazione nella scuola liberale di Sulmona, Teofilo Patini ricorda il suo maestro morto a soli 47 anni dopo molti anni di prigionia per la militanza antiborbonica, attraverso il Ritratto di Panfilo Serafini del 1867, oggi conservato alla Pinacoteca Comunale di Sulmona.
È grazie ad un bozzetto per il dipinto di storia Edoardo III e i deputati di Calais che Patini vince il concorso per il pensionato artistico a Firenze, punto di svolta della sua produzione.
L’approdo al realismo
Giungere a Firenze per il pensionato artistico significa per Teofilo Patini entrare in stretto contatto con il linguaggio Macchiaiolo. È la frequentazione di Lega e Borrani che gli permette di elaborare opere non più di carattere storico o religioso, ma sulla realtà contemporanea.
Sono un esempio di questa nuova acquisizione Lettura in convento, Interno con un frate cappuccino, Testa d’uomo. Queste sono anticipazioni delle opere che Patini eseguirà a Roma quando, avvicinandosi a Michele Cammarano, si reca con lui nella campagna romana per ritrarla dal vero, approdando così definitivamente al verismo più puro.
Sono di questi anni Il ciabattino, La guardiana delle oche, I notabili del mio paese, Il sequestro, tutti dipinti che dimostrano la sua ormai decisiva adesione al realismo e necessarie premesse ad una delle sue opere più significative, L’erede.
L’opera L’erede, inviata all’Esposizione di Milano del 1881, suscita un notevole scalpore, data la sua tragica tematica di denuncia sociale. Lo stesso Teofilo Patini in una lettera ad Eleuterio Pagliano (1826-1903) scrive che era stata realizzata «per urtare i nervi delicati di chi porta guanti e calze di seta».
La dichiarata volontà di rivolgersi ad una particolare classe sociale, affinché questa si accorgesse che sotto i suoi occhi contadini e pastori nelle campagne, ma anche operai nelle città, morivano indigenti, diventa la cifra caratteristica di una serie di opere di Patini dal medesimo intento.
Si tratta di quella che può essere letta come una trilogia della tragedia sociale. In queste opere si attua una forte denuncia simile a quella del francese Jean-François Millet, difensore delle qualità morali legate al duro e onesto lavoro dei contadini.
Vanga e latte
Le due opere che insieme a L’erede fanno parte di questa “trilogia sociale” sono Vanga e latte e Bestie da soma. Il primo, del 1883 rappresenta la pausa di una donna dal lavoro in campagna per allattare il suo piccolo figlio, il marito, accanto alla vanga della moglie piantata a terra, continua incessantemente a lavorare.
Bestie da soma
Il secondo del 1884, è una tragica rappresentazione di tre donne che trasportano fascine sulle loro spalle in montagna.
Sfinite, sono cadute a terra boccheggianti, proprio come bestie da soma.
Tutti e tre i dipinti sono velati di una nota malinconica connessa ad una percezione dei poveri come i “vinti” delle coeve concezioni verghiane. Con una vena di pietismo si palesa la loro condizione di continua lotta per una condizione migliore, non riuscendo mai a risultare “vincitori” nella logica cieca e negativa della fiumana del progresso.
Questa sensazione di sconfitta è generata anche dalla scelta di una tavolozza scura, con pochi accenti di luce (tranne forse per Bestie da soma, denotato da un colorismo più variegato) al contrario di come invece stava operando un altro abruzzese negli stessi anni, Francesco Paolo Michetti (1851-1929), che usava una tavolozza luminosissima, eredità fortuniana.
Gli ultimi anni, tra religione e simbolismo
Dalla fine degli anni Ottanta Teofilo Patini comincia a dedicarsi ad opere di matrice religiosa, ma anche simbolista. L’intento è quello di creare legami nascosti con l’ideologia della loggia massonica aquilana di cui fa parte.
In questi anni realizza San Carlo Borromeo per la Cattedrale dell’Aquila, il Crocifisso per la Cattedrale di Corfinio, ma anche la decorazione dell’Aula Magna della nuova università di Napoli.
La committenza, ricevuta nel 1905 dal rettore Leonardo Bianchi, anch’egli massone, prevede la progettazione di un programma decorativo che riesca ad esaltare valori come la solidarietà e il progresso scientifico e umanistico attraverso la lunga ma soddisfacente strada della conoscenza.
È ovviamente una tematica allegorica, ma allo stesso tempo molto legata alle esigenze reali degli studenti presenti e futuri. Purtroppo del progetto conosciamo solo bozzetti e fotografie oggi dispersi e tra l’altro non portati a termine, dato il suicidio dell’artista dell’anno seguente.