Turi Simeti

Biografia

Turi Simeti (Alcamo, 1929 – Milano, 2021), dopo aver passato l’infanzia ad Alcamo, in Sicilia, si trasferisce a Roma nel 1958. Si ambienta subito nella cultura artistica dell’Informale, avvicinandosi in particolare ad Alberto Burri (1915-1995).

Mentre si cimenta nelle prime opere in cui emerge il valore espressivo della materia, l’artista, all’inizio degli anni Sessanta, compie diversi viaggi tra Londra e Parigi, arricchendosi del linguaggio internazionale.

Le influenze internazionali

Da queste novità assorbe soprattutto il raggiungimento del grado zero della pittura e una purificazione dei mezzi e del linguaggio che lo collega direttamente all’espressionismo astratto di Barnett Newmann (1905-1970).

La scelta della monocromia e delle grandi dimensioni della tela collega quindi Turi Simeti al sublime spazio di Newman in cui lo spettatore si sente integrato ed immerso. Ma la superficie uniforme della tela viene intervallata da piccoli rilievi di forma ovale che vengono posizionati sotto la tela interrompendone l’andamento omogeneo.

È quello che succede sia nelle esperienze di Enrico Castellani (1930-2017), che compie la stessa operazione ma con i chiodi, sia nelle opere di Agostino Bonalumi (1935-2013) che crea dei rigonfiamenti e dei “volumi” sulla tela.

Turi Simeti, quindi, presenta notevoli affinità con gli artisti di “Azimuth”, ragionando sulla superficie, il colore, il supporto, il ritmo e il gioco dell’invenzione che interrompe un continuum cromatico e concettuale.

La Nuova Tendenza

Gli ovali che emergono spezzando la staticità del monocromo e creando un movimento di chiaroscuro sulla tela, insieme ad un gioco di eterogeneità, avvicinano la poetica di Turi Simeti a quella dell’Arte Cinetica e Programmata.

La ricerca di luce e movimento fa sì che l’artista, negli anni Sessanta, si identifichi sempre di più con la cifra caratteristica degli ovali, che fanno della tela non più una finestra sul mondo, ma un oggetto che può assumere diverse valenze oggettuali e spaziali a seconda dalla posizione dello spettatore.

Il movimento reale nello spazio produce, così, una nuova percezione della tela e dei suoi spessori, in una ricerca del tangibile che lega il pittore siciliano alla Nuova Tendenza. Insieme ad altri artisti, infatti, partecipa a diverse mostre europee, come quella di Zagabria del 1965 e Arte Programmata – Aktuel 65 a Berna.

Il successo internazionale

Verso la fine degli anni Sessanta, si trasferisce a Milano, ma compie diversi soggiorni a New York, che diventa la sua seconda casa, dove apre anche uno studio. Piano piano si va definendo ulteriormente la sua “poetica degli ovali”: leggerezza, ombre e luci fanno espandere le sue tele nello spazio, grazie ai contorni di queste piccole ellissi che danno ritmo a seconda del modo in cui vengono disposte.

Formano verticali, cerchi, coppie, composizioni ariose o ranghi più serrati e cadenzati che emergono sfondando lo spazio della tela e cambiando direzione, conformazione ed estensione nella progressione della sua ricerca tra gli anni Settanta ed Ottanta, quando partecipa a numerose mostre in tutta Europa, soprattutto in Germania.

Dopo aver realizzato un’opera per Gibellina a seguito del terremoto, nel 1991, tiene una personale al Museo Civico della città siciliana, presentato in catalogo da Elena Pontiggia.

Connessioni con minimalismo, architettura, scultura gli permettono di approfondire ulteriormente la sua ricerca spaziale e cinetica che parte dalle estroflessioni aggettanti della tela. Le antologiche si susseguono fino agli anni Duemila. Muore nel 2021 a Milano, a novantadue anni.

Turi Simeti: la “microestetica” dell’ovale

Dopo aver conosciuto Burri a Roma e aver frequentato gli artisti della Scuola di Piazza del Popolo, Turi Simeti inizia con l’Informale, fino a quando non “scopre” la cifra dell’ovale che si ripete icasticamente sotto la superficie della tela.

Dopo le prime mostre con la Nuova Tendenza, viene invitato ad esporre nello studio di Lucio Fontana (1899-1968) a Milano, nella rassegna Zero Avantgarde, curata da Nanda Vigo (1936-2020). Esponendo insieme ai massimi rappresentanti del gruppo ZERO e dell’avanguardia concettuale e minimalista, tra cui Agostino Bonalumi, Pol Bury (1922-2005), Enrico Castellani, Hans Haacke (1936), Yves Klein (1928-1962), Yayoi Kusama (1929-), Piero Manzoni (1933-1963) e Otto Piene (1928-2014), Turi Simeti si afferma con la sua cifra stilistica dell’ovale che dà oscillazioni, tensioni, movimento alle superfici monocrome.

Una ripetizione, una variazione sul tema che conferisce alle sue opere una armonia morbida e regolare, ma soprattutto un’evidenza tattile. Le ellissi che sfondano la bidimensionalità della tela e si espandono nello spazio creano un’interruzione ritmica che produce lievi ombre portate.

Il minimalismo di questa invadenza dello spazio richiede naturalmente il movimento dello spettatore, che a seconda dell’angolatura “anima” le ombre e le ondulazioni della tela, prodotte dagli ovali.

La mutevolezza della percezione

Questa cifra rende famoso Turi Simeti in tutto il mondo, conquistando il mercato, le quotazioni e le esposizioni dagli anni Sessanta ad oggi. Dal totale azzeramento dell’Espressionismo Astratto di Newmann, giunge quindi ad una sensazione di mobilità e di spazialità che lo accomuna sia alle tendenze dell’Arte programmata sia a quelle del Minimalismo americano.

La ricerca di una “microestetica”, parola coniata dal filosofo tedesco Max Bense, e quindi dell’unione di arte e tecnica in una programmatica progettualità del bello, si identifica con contenuti e valori minimi che sono alla base della comunicazione artistica.

È proprio quello che fa l’artista con i suoi ovali: trova un simbolo, una forma identificativa e geometrica che si ripete in sequenze programmate, in codici estetici che sviluppano un movimento, latore di una mutevolezza percettiva. Dal nero, rosso, giallo e bianco dei primi anni, passa all’uso di viola, arancioni, verdi che, con eleganza, costituiscono la base o il contenitore dell’ovale.

Dagli anni Settanta, partecipa alle rassegne più importanti in Italia e nel mondo. Il biennio 1989-1990 corona definitivamente il suo successo, con due esposizioni milanesi: La Tela Estroflessa nell’Area Milanese dal 1958 ad Oggi alla Galleria Arte Struktura e ‘58-‘80 Bonalumi – Castellani – Simeti /Tre Percorsi, alla Galleria Millenium.

Per Gibellina, mentre Burri esegue il Grande Cretto, Turi Simeti propone l’estetica dell’ovale in una dimensione ambientale ed installativa: l’ovale emerge come una Impronta, titolo dell’opera, da una superficie marmorea, che crea un cortocircuito tra mobilità e immobilità, estroflessione e durezza.

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