Il mito di Niobe a Tivoli. E dimmi che non vuoi morire

Il mito di Niobe a Tivoli. Il Santuario ospita una mostra tutta dedicata al mito di Niobe, narrato nel libro VI delle Metamorfosi di Ovidio.
Locandina della mostra

Santuario di Ercole Vincitore, Tivoli

Fino al 23 settembre 2018

Innalzato nel II secolo a.C., il Santuario di Ercole Vincitore si trova a Tivoli, sull’antica via Tiburtina. È un complesso formato dal tempio, da una piazza porticata e dal teatro, oggetto di un laborioso restauro effettuato nel 2009.

Dedicato a Ercole Vincitore, il cui culto stabilisce le radici dell’antica Tibur, fu edificato in un punto nevralgico per il commercio laziale. In effetti, Ercole per gli antichi abitanti di Tivoli, era il protettore della transumanza delle greggi che provenivano dal sud e dall’Abruzzo. Ma era anche una divinità militare, dall’epiteto “Vincitore” perché preziosissimo nella sconfitta che Tibur inflisse ai Volsci.

L’antico mito di Niobe

Il Santuario, fino al 23 settembre, ospita una mostra tutta dedicata al mito di Niobe, narrato nel libro VI delle Metamorfosi di Ovidio. Niobe, figlia di Tantalo, re di Lidia e di Taigete (una delle Pleidai) sposò Anfione, re di Tebe. Da lui ebbe quattordici figli, sette maschi e sette femmine, tutti in salute, bellissimi e per cui nutriva un immenso orgoglio.

Tanto era il suo trasporto verso i figli, che Niobe, durante i riti sacri in onore di Latona, osò paragonarsi alla dea, proclamando di essere migliore di lei. L’interruzione dei riti sacri e le parole di beffa, scatenarono l’ira di Latona, madre di Apollo e Diana, sulla cima del monte Cinto.

Il peccato di ὕβϱις venne subito punito dalla dea che inviò Apollo ad uccidere i sette figli maschi e Diana ad uccidere le sette figlie femmine. Trafitta dal dolore, Niobe «Senza più nessuno, si sedette tra i cadaveri dei figli, delle figlie, del marito, e si irrigidì per il dolore».

Trasformata in pietra, ormai immobilizzata dalla solitudine e dal tormento, venne trasportata dal vento sulla cima di un monte. «Si strugge, e ancor oggi dal marmo trasudano lacrime».
La tragica storia di Niobe, del suo peccato di superbia e della sua trasmutazione in pietra è oggetto della mostra di Tivoli.

Il mito di Niobe a Tivoli: dall’arte antica al contemporaneo

Omero, Sofocle, Ovidio, Seneca, Plutarco parlano di Niobe, ma anche Dante nel XII canto del Purgatorio o Andrea Alciati nell’Emblemata rinascimentale. Infinite immagini su vasi e crateri a calice di V e VI secolo a.C. descrivono la strage dei niobidi. Ma anche codici miniati del Medioevo e numerosissime opere d’arte del Rinascimento, fino ad arrivare ai nostri giorni.

E dimmi che non vuoi morire. Il mito di Niobe è il titolo della mostra al Santuario di Tivoli, curata Andrea Bruciati e Micaela Angle. In essa si possono ammirare le molteplici opere che hanno preso spunto dal mito di Niobe, a partire dal gruppo scultoreo dei Niobidi di Ciampino, ritrovato nel 2012 nella Villa di Valerio Messalla, Mecenate di Ovidio.

Vasi e kantharoi a figure rosse accompagnano lo spettatore in un percorso che giunge poi all’affresco monocromo realizzato da Polidoro da Caravaggio nel 1526 sulla facciata di Palazzo Milesi a Roma.

Si arriva poi all’epoca moderna con Nudo e Albero di Mario Sironi (1885-1961), in cui, attraverso le possenti e piene forme del corpo femminile, l’artista immagina la trasformazione tragica di Niobe in roccia, ai piedi di un tronco.

Red Carpet di Giulio Paolini (1940) ci pone di fronte ai resti di un efferato omicidio, proprio come quello dei figli di Niobe. Il calco in gesso dei piedi, potrebbe alludere alla trasformazione in pietra dell’addolorata ma superba madre, figlia di Tantalo.