Manu propria. Il segno calligrafico come opera d’arte

Casa d’Arte Futurista Depero, Rovereto

Fino al 30 settembre 2018

Il segno e la parola

La parola come forma d’arte, scritta, dipinta, immaginata. Segno grafico, motto, dichiarazione, inganno o gioco di parole, è da sempre presente nell’arte. Dall’Et in Arcadia Ego di Guercino all’iscrizione della Morte di Marat di David, la parola da accenno diventa protagonista nell’arte contemporanea.

I pezzi di giornale nei collage Cubisti hanno aperto la strada alle avanguardie successive. Si è passati infatti alle parolibere futuriste e poi ancora ai mot-valise, ai rebus, ai giochi dadaisti. Marcel Duchamp, maestro dei giochi di parole, (1887-1968) riteneva che il titolo desse un “colore verbale” ai suoi ready-made.

Il Mart di Rovereto, nella Casa d’Arte Futurista di Depero, ha voluto valorizzare le opere della collezione permanente, dando vita alla mostra “Manu propria. Il segno calligrafico come opera d’arte”. Con le proprie mani gli artisti hanno lasciato segni e impronte, come dimostra l’Archivio di Nuova Scrittura di Paolo Della Grazia.

Manu propria

La lettera e la parola come frammento della realtà concreta e temporalizzata vengono inserite in un contesto altro. Il referente è sempre lì, presente, oppure è solo un simbolo, un segno di esso. Così, dal cubismo al Futurismo al Dada al Surrealismo gli artisti hanno usato la parola anche per creare calligrammi, basti pensare a Guillaime Apollinaire (1880-1918).

In questo caso, le forme realizzate dalle parole assumono un valore doppiamente indicale.  Tra l’altro, per accompagnare la mostra, è stata scelta una frase particolarmente significativa di René Magritte (1898-1967): «Dans un tableau, les mots sont de la même substance que les images».

Dagli anni Cinquanta al graffitismo

Nel secondo dopoguerra l’uso del segno, della frase, si fa ancora più pregnante, indice dell’intervento personale dell’artista. Il pensiero va subito a Gastone Novelli (1925-1968) a Cy Twombly (1928-2011) e, oltreoceano, a Robert Rauschenberg (1925-2008).

Fino ad arrivare agli anni Sessanta, ad Andy Warhol (1928-1987) e a tutta la Pop Art. Ma forse è nel Fluxus, nell’Arte Concettuale e nell’Arte Povera che la parola assume un significato più profondo.

I protagonisti della mostra di Rovereto sono il già citato Gastone Novelli, ma anche Achille Perilli (1927) con i suoi alfabeti immaginari. E ancora, gli ovali ricchi di segni personali e astratti di Carla Accardi (1924-2014) e di Antonio Sanfilippo (1923-1980). Fondamentali, i “forchettoni” di Giuseppe Capogrossi (1900-1972), grafismi che hanno nutrito un linguaggio nuovo, che ha creato un’incredibile corrispondenza tra uno e multiplo, particolare ed universale.

Si giunge poi, nel percorso espositivo, alle ricerche della “Nuova Scrittura” di Ugo Carrega (1935-2014). Nel 1988 Paolo Della Grazia, collezionista di arte verbovisuale, ha proprio dato vita all’Archivio Nuova Scrittura, insieme alla collaborazione di Carrega.

Oggi, tutti questi materiali preziosissimi fanno parte dell’Archivio del ‘900, organo del Mart che ha permesso la realizzazione di questa mostra. In esso, infatti, sono conservati libri d’artista, opere grafiche e di poesia visuale, che i curatori Nicoletta Boschiero e Duccio Dogheria hanno saputo sapientemente allestire, mettendo al centro il segno come identità dell’autore.

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