Giacomo Ceruti

Giacomo Ceruti. Vecchia con Bambino. Tecnica: Olio su tela
Vecchia con Bambino. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Giacomo Ceruti (Milano, 1698 – 1767), nato a Milano alla fine del Seicento, è conosciuto anche come Pitocchetto, per il suo indissolubile legame con la scena di genere e per la predilezione per soggetti come “pitocchi e baroni” che popolano tutta la sua produzione.

Si conosce poco del primo periodo milanese, ma dalle fonti sappiamo che attorno agli anni Venti del Settecento si trasferisce a Brescia, dove rimane almeno fino al 1734. Al 1724 risale la prima testimonianza pittorica pervenutaci di Giacomo Ceruti, un ritratto oggi in collezione privata, che conferma il legame dei primi anni con la committenza bresciana.

La prima fase a Brescia

Inizialmente si trova in linea con gli esiti formali e tematici di Antonio Cifrondi (1656-1730): durante gli anni della giovinezza, si occupa di affreschi a soggetto sacro nella Parrocchiale di Rino di Sonico, eseguiti nel 1723. In seguito, si dedica anche alla decorazione della Chiesa di San Faustino a Bione e della Basilica di Santa Giustina a Padova negli anni Trenta.

Ma a questo filone sacro, peraltro non identificativo della forza pittorica di Giacomo Ceruti, si affianca quello del ritratto e della scena di genere, produzione molto vasta che mostra l’eccezionale sapienza compositiva, tecnica e tematica del pittore.

Si contraddistingue, infatti, per la rappresentazione degli “umili veri” che inserisce in ambientazioni urbane o agresti: contadini, lavandaie, merlettaie, pitocchi, portatori, mendicanti che vengono rappresentati attraverso una visione tutt’altro che burlesca o bozzettistica, ma adottando uno stile monumentale e solenne.

Giacomo Ceruti è uno dei massimi interpreti lombardi di un naturalismo malinconico in cui i protagonisti non hanno speranze di riscatto. Portano ceste, fanno l’elemosina, sostano per strada cercando di rimediare un pasto, contraddistinti da uno sguardo spento che denuncia una condizione di drammatica povertà.

Il trasferimento a Venezia

L’artista lavora per l’aristocrazia bresciana, ad esempio per i nobili Avogadro, ma si trasferisce a Venezia nel 1736, dove lavora per Schulenburg, maresciallo delle forze armate della Serenissima. In questi anni, la dimensione monumentale delle scene di Giacomo Ceruti si rafforza ancora di più, nello sviluppo dell’eredità raccolta da Monsù Bernardo (1624-1687).

Lo sguardo con cui il pittore mette in scena le sue immagini popolari manifesta una visione che è stata definita pre-illuminista, in accordo con le teorie del filosofo Ludovico Antonio Muratori: le tele non hanno un intento umanitario o assistenzialista, ma certamente esprimono denuncia e fanno luce sulla condizione sociale del tempo, attraverso un naturalismo di stampo arcadico che allontana Giacomo Ceruti da qualsiasi intento baroccheggiante della bambocciata.

Dunque, nonostante la materia affrontata sia estremamente popolare, i modi del pittore riescono a conferirle uno stile alto e di grande naturalezza e gravità, elementi che si riscontrano anche nella ritrattistica.

Gli anni veneziani

La severitas che contraddistingue i ritratti del periodo bresciano si alleggerisce un po’ durante gli anni veneziani, quando le immagini diventano più aggraziate e piacevoli, pur non abbandonando mai l’intento naturalistico, l’eleganza e la solidità formale che pongono direttamente Giacomo Ceruti nel contesto europeo, a contatto con i più importanti ritrattisti e pittori di genere dell’epoca.

A Venezia, vive in un ambiente culturale stimolante ed aggiornato: in effetti l’artista opera in un quadro sociale e artistico molto ampio che prevede influenze arcadiche, ma anche picaresche, con cui entra in contatto grazie alla pubblicazione, nel 1715, del Gil Blas de Santillana di Lasagne. D’altra parte, non si può nemmeno ignorare la visione pauperistica e assistenziale promossa dal Cardinale Angelo Maria Querini, molto vicino al filosofo Muratori.

Giacomo Ceruti è poi documentato a Bergamo, Padova e Piacenza, tra gli anni Trenta e Quaranta. La sua ultima opera conosciuta si può datare al 1767. Muore a Milano, dove è rientrato già da tempo, l’anno successivo, all’età di sessantotto anni.

Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto: il naturalismo pauperistico e monumentale nelle scene di genere e nei ritratti

Come accennato, la prima parte di produzione di Giacomo Ceruti è tutta legata alle committenze sacre che riceve nei primi anni di residenza a Brescia. Il primo dipinto conosciuto è il Ritratto del Conte Fenaroli, del 1724. Ma la vera qualità esecutiva del pittore si riscontra a partire dalle sue tele di genere, nella tradizione ripresa da Monsù Bernardo, ma vista attraverso un’ottica del tutto diversa.

Lontano da qualsiasi intento aneddotico o bozzettistico, le fonti del pittore si possono ritrovare anche nelle opere di Abraham Bloemaert (1564-1651). Tra le tele più significative di tutto il percorso dell’artista vi sono le tele a soggetto popolare e di genere che esegue per il Palazzo Avogadro a Brescia.

Dopo un’asta del 1888, gran parte delle opere sono passate nelle mani dei Salvadego, per ornare il castello di Padernello e oggi sono disperse in diverse collezioni private. Tra le tele del ciclo vi è l’Incontro nel bosco, caratterizzato da un intenso naturalismo, in cui una bambina dai vestiti logori incontra, nel bosco, un mendicante cieco.

La descrizione della sofferenza e della miseria offre uno sguardo grottesco, ma anche partecipativo nei confronti di una società dimenticata, ma anche riscoperta grazie alle teorie pre-illuministe. Dal punto di vista stilistico e cromatico, Giacomo Ceruti adotta un linguaggio schietto e una tavolozza bruna e terrosa, che si ritrova anche nelle altre opere dello stesso genere.

Ne sono esempio Donne che lavorano al tombolo, Piccola mendicante e donna che fila, I due pitocchi, Mendicante moro, Mendicanti che mangiano, Bevitore, Uomo con boccale e Donne che lavorano, tutti dipinti realizzati tra gli anni Venti e Trenta del Settecento.

Giacomo Ceruti. Una tavolozza più accesa

Alcune tele escono fuori dalla narrazione della povertà di pochi personaggi e presentano un respiro più ampio e una tavolozza più accesa. Appartengono alla fase veneziana e sono ambientate in taverne e luoghi chiusi, come Gioco di carte, in cui diversi personaggi formano gruppi che danno vita ad altre scenette di genere contenute nella principale, come una donna che muove la culla del figlio, un uomo che riposa, uno che beve un fiasco di vino.

Dopo il trasferimento a Venezia, per il maresciallo Schulenburg realizza una delle sue tele più famose, I tre pitocchi che segue la scia delle Due sorelle, risalente ancora al periodo bresciano. Per quanto riguarda i ritratti, Giacomo Ceruti utilizza sempre lo stesso indirizzo naturalistico che si rifà ad una certa pittura del Seicento olandese, come si nota dal Ritratto di giovane gentiluomo, dal Ritratto di prelato, dalla Donna anziana e dal Bevitore.

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