Francesco De Mura

Francesco De Mura. Allegoria della Carità (dettaglio). Tecnica: Olio su tela
Allegoria della Carità (dettaglio). Tecnica: Olio su tela

Biografia

Francesco De Mura (Napoli, 1696 – 1782), dopo una breve iniziazione nello studio di Domenico Viola (1610-1696), si forma alla scuola di Francesco Solimena (1657-1747), una vera e propria fucina di talenti, tra i quali diviene l’allievo prediletto.

È, infatti, il maggiore erede del classicismo ridondante ed accademico del maestro, soprattutto nella sua prima fase pittorica, che si dispiega nelle decorazioni di alcune chiese napoletane tra gli anni Dieci e Venti.

L’eredità di Solimena

Già a partire dal terzo decennio del Settecento, Francesco De Mura sembra iniziare a prendere le distanze dal recupero quasi automatico delle istanze del maestro e a mitigare quella magniloquenza retorica, per passare ad una atmosfera pittorica più equilibrata e dai toni decisamente più soavi, assorbendo le necessità di chiarezza formale propugnate dall’Arcadia.

A questo cambiamento corrisponde anche una dimensione decorativa meno monumentale e grave e sicuramente più intima e personale, caratterizzata dalla scelta di una tavolozza molto chiara e dalle soluzioni chiaroscurali meno drammatiche.

La svolta stilistica: il soggiorno torinese

La svolta demuriana si acuisce ancor di più in occasione del soggiorno torinese dei primissimi anni Quaranta. L’ambiente artistico di Torino è aggiornato alle novità europee, in un indirizzo esplicitamente Rococò, che Francesco De Mura apprende in particolare dal pugliese Corrado Giaquinto (1703-1765), anch’egli nella città piemontese.

Così, anche gli ultimi accenti del Barocco solimeniano si dissolvono, allontanando i residui di quello stile vagamente provinciale che aveva contraddistinto la prima produzione dell’artista a Napoli. Le decorazioni degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta racchiudono tutte questa nuova modalità esecutiva, che comprende una sensibilità “affettiva” di moderata espressività, una tavolozza raffinata e chiarissima, un indirizzo che mitiga il Barocco con un moderato Rococò e composizioni di ampio respiro e di carattere cosmopolita.

Naturalmente, tutto ciò corrisponde al linguaggio antieroico ed equilibrato dell’Arcadia nelle arti sorelle della composizione poetica e del melodramma di Pietro Metastasio. Queste caratteristiche non si dispiegano soltanto negli affreschi, ma anche nei modelli per gli arazzi, di cui Francesco De Mura si occupa tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Il classicismo è elaborato in chiave moderna con soluzioni leggere sia dal punto di vista tematico che coloristico, di fatto, rendendo l’artista uno dei più “europei” in ambito partenopeo. Attivo fino agli anni Sessanta, muore a Napoli nel 1782, ad ottantasei anni.

Francesco De Mura: dai primi esiti solimeniani ai toni sobri e compostezza formale dell’Arcadia

Una volta acquisita una forte sicurezza tecnica ed espressiva da Solimena, Francesco De Mura, nei primi anni, sembra riflettere esclusivamente il linguaggio del maestro, quasi in una imitazione pedissequa. Ciò si deduce dalle prime opere sacre, come il Cristo morto in croce con san Giovanni in San Gerolamo delle Monache del 1713 o dagli affreschi in san Nicola alla Carità degli anni Venti.

Ma già a partire dalle tele di Donnaromita, Le Virtù e L’Adorazione dei Magi, o dagli inserti decorativi di Montecassino dei primissimi anni Trenta, il pittore mitiga il linguaggio ridondante e solenne del maestro, iniziando dallo schiarimento della tavolozza e da composizioni meno grandiose e più intime.

Sensibilità espressiva e delicatezza coloristica si uniscono nella creazione di immagini misurate ed estremamente luminose, come si nota dagli affreschi del catino absidale della chiesa della Nunziatella del 1732. Una raffinata e sobria disposizione dei personaggi, latori di una espressività moderata e ispirata a quella del melodramma metastasiano, insieme ad una dimensione ariosa ed elegante, vanno in direzione di una chiara adesione alla poetica dell’Arcadia.

Le figure aggraziate e lontane dalla pesantezza solimeniana non hanno nulla del suo fare drammatico, perché esprimono un sentimento pacato e quasi privo di pathos, nel rispetto della dimensione antieroica dell’Arcadia.

Questo si riflette della decorazione che Francesco De Mura esegue nel Palazzo Reale di Napoli e per quello di Torino, fino ad arrivare ad una delle sue opere più importanti, l’affresco della volta della Nunziatella del 1751. Allo stesso periodo risale anche la tela con L’allegoria delle arti conservata al Louvre e L’allegoria della Carità ora a Chicago.

Per tutto il decennio e negli anni Sessanta, lavora tra Napoli e Torino, mantenendo solide quelle aspirazioni di unione tra un fresco Barocco personale ed un delicato Rococò e anche quella sobrietà di toni e di espressioni che, verso la fine, contengono anche qualche concessione alle prime istanze del Neoclassicismo di Mengs (si veda la tela Paeide saetta Achille).

Notevole è anche la produzione ritrattistica, in cui Francesco De Mura sfoggia una elegante sobrietà di toni e una ricerca elaborata nella resa atteggiamenti umani, come si nota nel Ritratto del cardinale Sersale, in quello del Conte James Joseph O’ Mahoney e del marchese Niccolò Fraggianni.

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