Antonio Ligabue

Antonio Ligabue. Lotta di Galli - Tecnica: Olio su tela
Lotta di Galli. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Antonio Ligabue (Zurigo, 1899 – Gualtieri, 1965) è figlio di Elisabetta Costa. Un anno dopo la nascita di Antonio sposa Bonfiglio Laccabue. Questi lo riconosce e gli dona il cognome, che molti anni dopo l’artista tramuterà in Ligabue, ma anche un’infanzia molto difficile. A scuola è turbolento e insofferente ai duri dispetti dei compagni, che lo prendono in giro per il gozzo e le orecchie a sventola.

Viene affidato alla famiglia Göbel, con cui instaura un rapporto controverso, soprattutto dopo la morte della madre naturale avvenuta nel 1913 per intossicazione alimentare. Di questo tragico evento accusa il patrigno Bonfiglio, ormai odiato.
È però anche il principale attore dell’avvicinamento di Antonio Ligabue all’arte. Nonostante sia un ubriacone, porta il ragazzo nei musei di San Gallo, sia di arte che di storia naturale.

Dalla Svizzera a Gualtieri

Proprio da queste esperienze nasce la viscerale passione di Antonio Ligabue per il mondo animale. Nel frattempo, viene espulso da numerose scuole ed istituti per i suoi attacchi d’ira, anche dal collegio Marbach.

Sono però evidenti le sue doti disegnative, che non subito vengono valorizzate. Anzi, l’artista vive una vita instabile e in continua tensione con la madre, tanto che nel 1917 viene ricoverato in un ospedale psichiatrico a Pfäfers.

Questi costanti litigi causano la sua definitiva espulsione dalla Svizzera. Viene mandato nel paese natale del patrigno, Gualtieri, in Emilia Romagna. Qui viene subito individuato come una figura particolare, di scarsa salute fisica e mentale. Ottiene un lavoro nella costruzione degli argini del Po.

È proprio in questi anni che Antonio Ligabue capisce che disegnare gli animali che tanto hanno animato la sua fantasia è il suo unico modo di comunicare con la realtà. Non sa bene l’italiano, tanto che inventerà un linguaggio tutto suo; viene accolto in uno ospizio tra malati e anziani per cui tenta di fuggire in Svizzera. L’impresa fallisce e ormai è condannato a vivere una vita ai margini, considerato e chiamato “matto” dagli abitanti di Gualtieri.

L’incontro con Mazzacurati

Il 1928 è un anno importantissimo: incontra lo scultore della Scuola Romana Marino Mazzacurati (1907-1969). Lo ospita nella sua Palazzina liberty, dove sperimenta pittura e scultura, in un clima finalmente tranquillo.

Il suo carattere errabondo rimane: vaga per campagne e boschi, ma instaura con Mazzacurati un rapporto di “addomesticamento”. Comincia a firmare i suoi quadri con il nome “Ligabue”, opere dalla grande tensione drammatica, quasi espressioniste.

I momenti di calma si alternano a quelli di forti crisi depressive: nel 1937 viene ricoverato nell’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia. La continua sospensione tra normalità e follia scandisce l’esistenza dell’artista. Nel 1940, infatti, viene di nuovo ricoverato. Esce grazie all’intervento dello scultore Andrea Mozzali (1895-1977) che lo ospita nella sua casa di Guastalla.

Durante la guerra Antonio Ligabue viene impiegato come interprete dai nazisti, ma dal 1945 al 1948 ritorna a San Lazzaro. Uscitone, dipinge ormai senza sosta i suoi animali che lo rendono famoso ormai a livello nazionale.

Passa da una vita selvaggia ad un’esistenza più agiata quando comincia a vendere quadri. Nel 1962 viene colpito da una paresi e muore tre anni dopo a Gualtieri, quando ormai la sua arte è conosciuta e apprezzata da molti intellettuali, tra cui Cesare Zavattini.

Antonio Ligabue: un immaginario animalistico

Sin dagli anni giovanili, Antonio Ligabue è attratto dal mondo naturale. Si circonda di cartoline e di pagine che raffigurano l’anatomia degli animali e non sopporta di vederli maltrattati o uccisi.

Trova in loro l’unica comprensione in una vita di stenti, nella quasi completa alienazione. Ma l’immaginario che emerge, definito spesso naïf, è quello di un mondo naturale dai toni accesi, dalle forme dinamiche e sinuose.

Viene spesso affiancato all’Espressionismo della Scuola romana. Ma anche se conosce Mazzacurati, le suggestioni gli provengono dalle proprie visioni poetiche e fantastiche. La prima fase pittorica di Antonio Ligabue, che va dal 1928 al 1939 è composta soprattutto da immagini di animali.

Inizialmente realizza piccole tavole con animali sbozzati, dal colore grezzo e dall’ambientazione agreste, quasi onirica. Cavalli, carrettieri, maiali e mucche fanno la loro comparsa soprattutto nelle prime tavolette.

Ne sono esempio Animali domestici con casolare, Leopardo con bufalo e iena e Il carrettiere. Al 1933 risale il Ritratto di Elba, la figlia dei contadini del terreno di Mazzacurati. Un ritratto espressionista, visionario, intensissimo, che quasi lascia presagire la triste fine della bambina, morta nell’acqua bollente di un paiolo.

Poi, la protagonista diventa una giungla di tigri, leoni e serpenti che l’artista ha visto solo nei libri e nei musei. Scene di caccia tra animali, che sembrano ricordare quelle di pavimenti bizantini sono cariche di tensione. Il colore è intenso e pastoso, la lotta bestiale ricca di pathos.

Il dopoguerra: una visione più classica

Dal periodo che va dal dopoguerra fino ai primi anni Cinquanta vede Antonio Ligabue dedicare un maggiore interesse alla resa anatomica e naturalistica degli animali. Che siano quelli della cascina o della savana, essi risultano studiati attentamente.

Il colore è sempre estremamente sgargiante e l’ambientazione, seppur reale, risulta quasi immaginata nell’assenza di prospettiva e profondità. È tutto in primo piano, definito da un intenso decorativismo che lascia intendere una maggiore consapevolezza artistica di Ligabue.

Sono esempio di questa fase più matura Cavalli imbizzarriti dal temporale, Leopardo con serpente, Leopardo che sbrana una scimmia e una serie di Autoritratti che quasi trasmettono la coscienza  della sua condizione di disagio.

Gli ultimi dieci anni: un sintetico espressionismo

Quando Antonio Ligabue acquista fama, le committenze si susseguono. L’artista, incredulo crea e produce moltissimo abbandonando il sostrato disegnativo e procedendo subito col colore. Sempre piatto e magnetico, diventa però più riassuntivo ed espressivo.

Dal 1952 al 1962, proprio per questa ansia creativa, i soggetti si fanno meno precisi e più deformati. Gorilla con tigre o Testa di tigre sono potentemente aggressivi, sproporzionati nella loro bellezza selvaggia.

La lotta tra la vita e la morte si affaccia sempre di più nelle sue composizioni, basta osservare Leopardo con vedova nera, in cui in basso a sinistra fa capolino un teschio infestato dalle larve.

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