Guido Cadorin

Guido Cadorin. Composizione, 1930 (dettaglio). Tecnica: Olio su tela
Composizione, 1930 (dettaglio). Tecnica: Olio su tela

Biografia

Guido Cadorin (Venezia, 1892 – 1976) nasce in una famiglia di pittori e scultori, il padre, ad esempio è intagliatore di ebano. Frequenta il ginnasio, ma contemporaneamente anche le lezioni all’Accademia Libera del Nudo di Venezia, dove fa la conoscenza di Ettore Tito (1859-1941).

Nel 1907, comincia a studiare al seguito di Cesare Laurenti (1854-1936) che lo introduce alla pittura di matrice simbolista e alle ambientazioni perturbanti e oniriche. Già nel 1908, molto precocemente, a soli sedici anni, espone a Ca’ Pesaro in una sala interamente dedicata alla famiglia Cadorin.

Dunque, entrato ben presto a contatto con l’ambiente secessionista veneziano legato alla figura di Nino Barbantini. Artista eclettico, Guido Cadorin non si occupa solo di pittura da cavalletto, ma anche di affreschi e soprattutto di arte applicata.

Il successo di critica arriva immediato, tanto che nel 1911 partecipa anche al Premio Carnegie di Pittsburgh, per poi continuare ad esporre con regolarità a Ca’ Pesaro con la Fondazione Bevilacqua La Masa.

Dopo aver rifiutato l’invito di Marinetti ad aderire al Futurismo, l’artista veneziano raggiunge la piena identità artistica procedendo sempre in senso secessionista e liberty.

Tra pittura, decorazione e arti applicate

Chiamato, nel primo dopoguerra, ad affrescare diverse ville venete, come quella del conte Nicolò Papadopoli a Vittorio Veneto, diventa uno degli artisti più apprezzati dell’epoca, almeno nell’ambito della decorazione.

Nel 1924, Gabriele D’Annunzio lo chiama a decorare la Stanza del lebbroso al Vittoriale e quasi contemporaneamente, l’architetto Marcello Piacentini (1881-1960) lo invita ad affrescare il salone dell’Albergo Ambasciatori a Roma. A questo punto, Guido Cadorin mostra le sue seducenti abilità, richiamando la grande tradizione veneta dell’affresco, quella di Veronese e, dopo, di Tiepolo.

Il successo degli anni Venti e Trenta

Non più tra i rifiutati, dagli anni Venti, partecipa assiduamente anche alle Biennali di Venezia, portando avanti di pari passo l’attività decorativa e quella di pittore, senza mai abbandonare, di fatto, le arti applicate.

Vasta, infatti, è la produzione di oggetti d’arredo, mobili e progetti per vetro soffiato, che porta Guido Cadorin a partecipare alle più importanti manifestazioni italiane dedicate all’arte decorativa, come quella di Monza del 1923.

Nel 1929 ottiene la cattedra di Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e, per tutti gli anni Trenta si susseguono diverse decorazioni in chiese e ville venete e friulane. Sempre più acclamato dalla critica e dal pubblico, anche in epoca fascista, l’artista prosegue con la sua attività decorativa ed espositiva per molti altri anni.

Purtroppo, questo grande successo, attorno agli anni Cinquanta subisce un graduale arresto, tanto da rendere quasi sconosciuto il lavoro del pittore. Nel 1957, Virgilio Guidi (1891-1984), in un tentativo di riabilitazione, organizza una sua antologica nell’Ala Napoleonica del Museo Correr di Venezia, che celebra la sua intera carriera.

Muore nella sua Venezia nel 1976, a ottantaquattro anni, quasi dimenticato. Solo negli ultimi anni, la sua figura di artista eclettico è stata pienamente rivalutata.

Guido Cadorin: tra affreschi e dipinti di una Venezia liberty

Dopo l’esordio a Ca’ Pesaro, il pittore veneziano Guido Cadorin espone alcuni progetti di decorazione alla Biennale del 1909. L’anno successivo mostra per la prima volta le sue doti di frescante nella chiesa della Visitazione in San Vito al Tagliamento.

Nello stesso anno, partecipa all’Internazionale di Roma, con tre ritratti di grande respiro e di ispirazione liberty, Mia madre, La cugina zitella e L’offerta. Prende parte poi alla Secessione romana del 1913 con Ritratto di signora e Mio padre, a quella del 1914 con Il pensiero, di matrice simbolista, insieme a Processione a Venezia.

Alla Secessione del 1915, il pittore invia ben otto dipinti che uniscono un sostrato verista ad una vena più decorativa. Ne sono esempio Stato d’animo, Garzone di bottega, Campanile e Ritratto. La grande tradizione tonale e cromatica veneta ritorna sicuramente nelle composizioni di Guido Cadorin, in particolare in quelle ad affresco.

Tra il decorativismo liberty e l’eredità cromatica di Tiepolo

Dopo la guerra, nel 1918, affresca e arreda completamente la Villa Papadopoli a Vittorio Veneto, attirando sicuramente lo sguardo di Gabriele D’Annunzio e di Marcello Piacentini. In effetti, gli affreschi dell’Albergo Ambasciatori a Roma rimangono uno degli esempi maggiori della poetica dell’artista.

Realizzati tra il 1924 e il 1926, uniscono il tratto liberty della composizione disegnativa al cromatismo chiarissimo che riporta agli esempi veneti di Veronese e Tiepolo. Gli affreschi rappresentano una festa serale, in cui lo spazio viene realizzato con uno sfondamento prospettico e una dimensione ariosa ed elegante, tra colonne tortili e archi.

Nel frattempo, nel 1920 partecipa alla Biennale di Venezia con Le tabacchine e Mia moglie e mio figlio, cogliendo a pieno l’essenza déco del decennio. Alla Fiorentina Primaverile del 1922 espone La samaritana al pozzo, Primavera in Laguna, Alcune stoffe di seta e tela e Le solitudini della Laguna.

Il 1923 è un anno cruciale: tiene una personale alla Galleria Pesaro di Milano dal titolo “L’arte decorativa moderna: Guido Cadorin”, che lo celebra con più di ottanta opere, tutti oggetti decorativi, vetri soffiati, pannelli, piatti sbalzati, vasi e mobili.

Piano piano il gusto liberty si sfuma in una pittura più legata alla realtà ed a una dimensione cromatica sciolta e libera, anche se comunque rimane preponderante la linea di contorno, come si nota dai numerosi ritratti, tra cui quello di Vittorio Pica esposto alla Biennale del 1924.

A quella del 1930 tiene una sala personale con quattordici opere, tra cui Sul ponte, Fanciulla nuda, Donna con la collana, Composizione, Ritratto di signorina, Venezia. Settembre 1929. Prende parte alle Quadriennali romane del 1931, ’35, ’39 e ’43 con le opere Fanciulla, Autoritratto, Natura morta, Ponte dell’Eremita, San Vidal e Nudo allo specchio.

Nel corso degli anni Quaranta si susseguono, per Guido Cadorin esposizioni internazionali e decorazioni private e pubbliche.

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