Enrico Castellani

Biografia

Enrico Castellani (Castelmassa, 1930 – Celleno, 2017), nato in un piccolo paese vicino Rovigo, si trasferisce a Milano per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove si diploma nel 1952.  Dopodiché, decide di trasferirsi a Bruxelles per continuare a studiare pittura all’Académie Royale des Beaux-Arts.

Contemporaneamente, studia e si laurea in architettura nel 1956, presso l’Ecole Nationale Supérieure de la Cambre. Rientrato a Milano nello stesso anno, Enrico Castellani inizia a maturare una propria cifra stilistica, che lo caratterizzerà per gran parte della sua produzione.

Artista dal carattere discreto e disponibile, è lontano dallo stereotipo di inquietudine e sregolatezza, e proprio così viene sempre ricordato dai suoi amici e colleghi pittori. Nella Milano della fine degli anni Cinquanta, lavora nello studio dell’architetto Franco Buzzo, ma frequenta anche gli ambienti che gravitano attorno all’Accademia di Brera, come la tipografia di Antonio Maschera.

Azimuth e Azimut

È in questo contesto così stimolante e vivo che l’artista entra in contatto con Piero Manzoni (1933-1963) e Vincenzo Agnetti (1926-1981), con i quali fonda la rivista “Azimuth” e la Galleria Azimut. Questa diventa immediatamente un punto di riferimento per l’ambiente artistico milanese.

È molto attiva grazie all’apporto critico di Gillo Dorfles (1910-2018) e a quello artistico di Lucio Fontana (1899-1968), che, tra l’altro, sarà il primo acquirente di un’opera di Enrico Castellani. È proprio nel 1959 che l’artista dà alla luce le sue prime superfici a rilievo.

Si tratta di tele rigorosamente prive di cornice e sempre monocrome, montate sopra ad una serie di chiodi disposti con un ritmo ordinato, che conferiscono alle superfici un movimento ondulatorio su cui danza la luce naturale.

“Ripetizione differente” è stata definita dalla critica questa capacità costante e disciplinata di provocare un ritmo preciso e variabile allo stesso tempo, in una poetica che verrà portata avanti da Enrico Castellani per tutta la sua carriera artistica.

La lunga attività espositiva

Spazio, superficie, luce, tempo sono elementi ricorrenti nelle opere dell’artista veneto, che comincia ad esporre con regolarità negli anni Sessanta, comparendo anche alle principali mostre d’Arte Povera, tra cui Lo spazio dell’Immagine a Palazzo Trinci di Foligno nel 1967 e Il teatro delle Mostre alla Galleria La Tartaruga a Roma nel 1968.

In questi casi, Enrico Castellani si spinge anche in sperimentazioni di carattere installativo, attraverso l’uso di oggetti di carattere diverso dalle tele. Partecipa con successo alla Biennale di Venezia nel 1964 e nel 1966 vi tiene una personale, poi vi ritorna nel 1984 e nel 2003.

Al centro della sua sperimentazione rimane sempre la riflessione sui supporti, le superfici, il rinnovamento della tradizione e la concezione dello spazio e del colore sulla tela. Nonostante il suo lavoro risulti rigoroso, indaga il territorio dell’assenza di qualsivoglia iconografia, attraverso la presentazione di lavori monocromi ma non statici.

Il ritmo dato dai chiodi invade lo spazio sfociando nella terza dimensione e, ciononostante, le opere si intitolano quasi tutte Superficie, proprio per evidenziare questo paradosso di pieni e vuoti, espansioni e ritrazioni.

Tra gli anni Novanta e i Duemila si susseguono diverse importanti rassegne personali, tra cui quella curata da Celant alla Fondazione Prada del 2001 o quella del 2005 al Museo Pushkin di Mosca, viene curata da Bruno Corà.

Tra le mostre più significative degli ultimi anni, vi è quella al Museo Peggy Guggenheim di Venezia, Azimut/h. Continuità e nuovo, e la grande retrospettiva ZERO: Countdown to Tomorrow, 1950s-60s, al Guggenheim Museum di New York. Enrico Castellani passa gli ultimi decenni della sua esistenza nel piccolo borgo di Celleno nella Tuscia, dove muore nel 2017.

Enrico Castellani: le Superfici monocrome

Enrico Castellani presenta le sue prime Superfici nel 1960, alla Galleria Azimut, da lui aperta insieme a Manzoni. Queste opere “trapuntate” vengono integrate nel concetto espositivo della Nuova concezione artistica: sono tempere su tela monocrome, che, come accennato, creano zone di concavità e convessità grazie all’utilizzo di chiodi fissati su tavole al di sotto della superficie.

La luce, assorbita, riflessa o respinta, crea ambienti chiaroscurali che movimentano naturalmente i monocromi, generando un ritmo non attraverso il colore, ma attraverso l’uso dei materiali. Il gesto dell’Informale e l’iconografia del figurativo vengono allontanate in favore di un’indagine sul tempo e sullo spazio, che deriva dalle esperienze di Lucio Fontana, punto riferimento fondamentale per gli artisti di ambito milanese.

I monocromi trapuntati di Enrico Castellani si ripetono per molti anni, ma lasciano spazio anche ad altre sperimentazioni materiche, spaziali e concettuali. Nel 1967 crea l’Ambiente bianco per la mostra Lo spazio dell’immagine, a Palazzo Trinci a Foligno.

L’anno successivo, al Teatro delle mostre a Roma, propone, invece, l’installazione Il muro del tempo, composta da una serie di metronomi neri disposti in fila. Al 1969 risale il grande Spartito e al 1970 l’Obelisco.

Nello stesso anno, espone lo Spazio ambiente, in cui le Superfici bianche non si riducono allo spazio della tela, ma si espandono nell’ambiente, assumendo forme curve ed estroflesse. Il ritmo, a questo punto, si fa ancora più dinamico, in uno spazio che azzera il gesto pittorico, ma invita lo spettatore a capire che il valore di un’opera non è necessariamente legato all’immagine ma a diversi fattori concomitanti.

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