Francesco Solimena

Francesco Solimena. Giacobbe e Rachele alla Fonte. Tecnica: Olio su tela
Giacobbe e Rachele alla Fonte. Tecnica: Olio su tela

Biografia

Francesco Solimena (Canale di Serino, 1657 – Barra, 1747), nato in un piccolo paese vicino ad Avellino, manifesta un’immediata inclinazione per il disegno. Inizialmente, viene ostacolato dai genitori, ma notato dal cardinale Vincenzo Maria Orsini, è subito incoraggiato a coltivare la sua attitudine artistica.

Il Barocco: l’eredità di Mattia Preti

Il principale biografo di Francesco Solimena, Bernardo De Dominici, racconta che il giovane, a soli diciassette anni, decide di trasferirsi a Napoli. Insofferente a qualsiasi disciplina accademica o di bottega, guarda subito ai grandi modelli suoi predecessori: tra tutti Luca Giordano (1634-1705) e Mattia Preti (1613-1699).

Di quest’ultimo in particolare accoglie immediatamente il luminismo acceso e cangiante. Sin dalle prime prove, infatti, il pittore si fa interprete di un linguaggio dinamico e fresco in cui la materia pittorica si riassume in un colore vivo ed energico, in ombre e luci che rendono le immagini preziose e brillanti.

Anche la prospettiva sembra essere assorbita dalla gestione delle luci e dei chiaroscuri, come già si nota nella volta della cappella di Sant’Anna nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, che Solimena decora appena ventenne, nel 1677.

Le prestigiose opere di fine Seicento

Gli anni Ottanta si rivelano per lui un decennio di fitte commissioni, tra le quali spicca quella della decorazione ad affresco del coro della chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova. Il ciclo è composto dal soffitto con il Trionfo ed Episodi della vita di san Francesco, accompagnati da Santi e Sante regine dei lati e sulla parete di fondo dal Miracolo delle rose.

Il tutto, inquadrato in stucchi dorati di grande effetto e in un’impostazione movimentata e ancora pienamente barocca.

In questi anni, risulta ancora evidente in Solimena un ricco dialogo e confronto con Mattia Preti e con Luca Giordano. Ciò emerge da opere come l’Annunciazione e l’Adorazione dei pastori nella cappella dell’Oratorio del Monte dei Poveri.

Una maggiore indipendenza da questi modelli e la nascita di un linguaggio tutto personale affiora dalla decorazione della sagrestia di San Paolo Maggiore, con Virtù, Angeli e Allegorie della volta, e con la Conversione di san Paolo e la Caduta di Simon Mago delle pareti.

Si tratta forse dell’incarico che ha definitivamente fatto ottenere a Francesco Solimena la definitiva consacrazione pubblica, grazie al complesso turbinio compositivo e alla illusionistica gestione spaziale e cromatica.

Una nuova maniera chiara e magniloquente: Solimena come antesignano del Rococò

Il vero indirizzo stilistico del pittore campano si delinea infatti tra gli anni Novanta del Seicento e l’inizio del nuovo secolo, attraverso la definizione di una maniera chiarissima e leggiadra che si contrappone nettamente ai suoi inizi profondamente barocchi.

Verso la fine degli anni Novanta, Francesco Solimena inizia uno scambio epistolare con Erasmo Gattola, erudito e priore dell’abbazia di Montecassino. Per lui realizza quattro tele ad olio con le Storie di San Benedetto, datate al 1698 e purtroppo distrutte dal bombardamento del 1944.

La visita a Montecassino dà l’opportunità al pittore di visitare per un’unica volta Roma: Bernardo De Dominici narra che rimase completamente affascinato dalla volta dei Carracci a Palazzo Farnese, ma anche dalle opere di Domenichino, Guido Reni e Maratta.

Un chiaro incontro con il classicismo che ha generato in Solimena un cambiamento di maniera che lo porta ormai lontano dal giovanile tenebrismo ereditato da Preti.

La maestosa enfasi compositiva, insieme alla dilatazione dello spazio dovuta alla scelta di una tavolozza chiara ed elegante e il riempimento di esso con una folla di figure che rendono le scene raffinate e dinamiche fanno di Francesco Solimena il maestro di un classicismo ridondante e rococò.

A Roma, per il cardinale Spada, esegue il Ratto di Orizia nel 1699. All’inizio del Settecento risalgono le sue opere più significative, tra cui il Trionfo di Giuditta per la Cappella del Tesoro della certosa di San Martino che risale al biennio 1703-1704.

Caratteri e motivi della svolta classicista

In questa decorazione Francesco Solimena unisce sapientemente l’illusionismo spaziale di reminiscenza barocca ad un classicismo di carattere accademico e molto luminoso. Nonostante questa tendenza non sia in accordo con lo stile partenopeo dell’epoca, il pittore ottiene un formidabile successo.

A questo periodo risalgono alcune tele di argomento mitologico, come Venere e Vulcano, Io e Argo, Enea e Didone, opere eseguite per Girolamo Canal, procuratore veneziano di San Marco. La svolta classicista di Francesco Solimena è dovuta molto probabilmente a contatti con l’Arcadia e con gli ambienti illuminati e razionalisti della Napoli di inizio Settecento.

Dopo la morte di Luca Giordano, nel 1705 si occupa di portare a termine i dipinti destinati per la cappella reale dell’Alcázar di Madrid. Nel corso della dominazione asburgica, poi, non solo lavora alacremente in patria, ma anche e soprattutto in nord Europa, ottenendo il favore di principi e collezionisti.

Da questo momento, la sua bottega ormai affermata e richiestissima, accoglie giovani talenti, tra cui Francesco De Mura (1696-1782), che lo coadiuvano nei lavori principali, come la Cacciata di Eliodoro per la controfacciata del Gesù Nuovo. Tra le opere di committenza europea spicca in particolare Il conte di Althann rende omaggio all’imperatore Carlo VI, conservato a Vienna.

Chiaroscuro tenebroso

Un’ultima mutazione nello stile del pittore si verifica sotto Carlo di Borbone: fa riaffiorare, verso la fine della sua carriera, quel chiaroscuro tenebroso tipicamente barocco che aveva caratterizzato la sua fase giovanile, incontrando il gusto della corte della regina Elisabetta Farnese.

Un cromatismo cupo, attraversato da luci improvvise e dense, quasi a richiamare El Greco, permea le ultimissime opere sontuose e impreziosite da stoffe e colori di matrice celebrativa, come si nota nel Ritratto del principe Spinelli come cavaliere di San Gennaro. Attivo fino alla fine, muore a Napoli nel 1747.

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