Giulio Cesare Vinzio

Giulio Cesare Vinzio. Pastore con Gregge. Tecnica: Olio su Tela. Firma in basso a destra
Pastore con Gregge. Tecnica: Olio su Tela. Firma in basso a destra

Biografia

Giulio Cesare Vinzio (Livorno, 1881 – Milano, 1940) si forma al seguito di Enrico Banti (1867-1899), paesaggista e pittore di genere. Il trasporto che ha verso il suo allievo lo porta a lasciargli una piccola eredità in denaro, poco prima della sua morte prematura. Così, grazie a questa pensione consegnatagli dai parenti di Banti, Vinzio si trasferisce a Firenze.

Qui, oltre a frequentare l’Accademia del nudo, segue le lezioni di Giovanni Fattori (1825-1908) nel suo studio. Diviene ben presto uno dei suoi migliori allievi e amici, dimostrando di aver accolto la sua eredità pittorica sin dalle prime mostre fiorentine.

Nel frattempo, Giulio Cesare Vinzio si lega ad Enrico Sacchetti (1877-1967) con cui si reca nella campagna attorno Firenze per dipingere dal vero. Comincia a farsi interprete di una pittura sincera e vigorosa: il colore, distribuito con campiture decise, costruisce i volumi e il chiaroscuro.

L’eredità di Fattori si fa strada in paesaggi della maremma toscana o della campagna romagnola, luoghi in cui si rifugia frequentemente per dipingere. Ricordato da molti come un pittore appagato e appassionato, si fa interprete di una pittura pastorale, dai toni semplici e quasi idilliaci.

Il trasferimento in Piemonte

Dall’inizio del Novecento comincia ad ottenere diversi riconoscimenti ed espone frequentemente a Milano, Torino, Firenze, Roma e alle Biennali veneziane. Non mancano sue partecipazioni a mostre estere: Monaco di Baviera, Atene, Birmingham, Berlino, Stoccarda.

In questi anni si lega anche agli esponenti del Divisionismo Plinio Nomellini (1866-1943) e Giuseppe Pellizza (1868-1907), avvicinando la sua tecnica alla divisione dei colori.
Nel 1905 lascia la Toscana per trasferirsi in Piemonte, a Grignasco. Il territorio della Valsesia comincia a comparire nei suoi paesaggi sempre più personali, che mai rinunciano al naturalismo delle origini.

Nel 1921 Giulio Cesare Vinzio si inserisce nel Gruppo Labronico di Livorno. Un sodalizio artistico questo, che intendeva riportare l’arte livornese all’autenticità verista del suo più importante rappresentante, Fattori.

Nel 1924 riceve la nomina di socio onorario dell’Accademia fiorentina. Alla fine degli anni Trenta si lega al collezionista novarese Alfredo Giannoni e cura l’allestimento delle opere nella sua Galleria. Muore a Milano nel 1940.

Il naturalismo di matrice fattoriana

Prima ancora del suo trasferimento a Firenze, Vinzio vi esordisce nel 1897 con Riposo e vi espone di nuovo nel 1898 Quiete. A Livorno, nello stesso anno presenta Sole morente, acquistato dal re. Sin da queste prime prove si nota nell’artista una sostanziale aderenza al vero, reso con poetica emozione.

Il trasferimento a Firenze e la conseguente amicizia con Fattori determinano la definitiva affermazione di Giulio Cesare Vinzio nel contesto naturalistico toscano. Si reca a dipingere dal vero, facendosi interprete di una pittura schietta che ha come protagonisti buoi, cavalli, contadini, carri e paesaggi della maremma con i suoi verdi accesi e forti contrasti cromatici.

Ne sono esempio diversi paesaggi presentati durante la sua permanenza in Toscana, ma anche dopo il suo trasferimento in Valsesia. Nel 1903 espone Alba lunare e Tramonto a Firenze ed una serie di dipinti in cui la protagonista è sempre la potenza della natura in tutto il suo fascino.

Si nota in queste opere l’attenzione alla luce e ai volumi di Fattori e il colore che riempie gli spazi rendendoli vivi, quasi materiali. Sono di questo periodo Bovi al ritorno, Tacchini, Giornata autunnale, Vacche bianche, Cavalli, Maremma toscana e Bovi al sole.

Giulio Cesare Vinzio. Tra naturalismo e Divisionismo in Valsesia

All’inizio del Novecento, quando Giulio Cesare Vinzio si trasferisce in Piemonte, porta con sé sia l’eredità del naturalismo di stampo fattoriano, sia il contatto con i divisionisti Nomellini e Pellizza. Questo cambiamento si nota in dipinti come Sinfonia notturna esposto alla Biennale di Venezia del 1922 e in Grigio d’autunno, esposto alla Biennale successiva.

Il colore appare non più steso in nette pennellate, ma diviso in piccoli filamenti che rendono le composizioni ancora più intime ed emozionanti.
I temi sono sempre legati alla realtà bucolica, agreste e del lavoro nei campi, ma in questo caso si prediligono i crepuscoli, i notturni, le albe, latori di un’atmosfera sospesa, trasognata. Rispettano queste caratteristiche Tramonto valsesiano, Ritorno all’ovile, Tramonto d’autunno.

Il Gruppo Labronico

Nell’estate del 1920 un gruppo di artisti frequentatori del Caffè Bardi di Livorno esprime l’intenzione di riportare allo splendore il grande contributo che l’arte livornese ha dato al verismo. Giulio Cesare Vinzio ne entra a far parte nel 1921 e, attivato dal trasporto del gruppo Labronico (sinonimo di livornese), ritorna al sincero naturalismo delle origini.

Nel 1924 partecipa alla mostra del Gruppo esponendo diversi paesaggi dal vero e Meriggio d’ottobre, Mattino fra gli ulivi e Giornata piovosa. All’Esposizione del 1928 presenta undici opere tra cui Bovi al carro, Il campo arato, Bovi in riva al mare, Sentiero di campagna, Maremma, tutti temi carissimi alla poetica di Fattori.

Sono questi gli anni più prolifici e pieni di riconoscimenti per l’artista. Sempre nel 1928 partecipa ad una collettiva organizzata dalla Galleria Pesaro di Milano e dedicata a Giulio Cesare Vinzio, Ruggero Focardi (1864-1934) e Alimondo Ciampi (1876-1939).

Vi presenta una serie di 43 opere che contiene sia quelle nettamente veriste che quelle di sapore divisionista, come Sera in Maremma, Casette, Scogliera, Barche sulla spiaggia, Cavalli al tramonto, Il selvaggio mare e Bovi alla mangiatoia.

Gli vengono dedicate altre personali nel corso degli anni Trenta. Partecipa a tre edizioni della Quadriennale romana e diverse sue opere ottengono premi e riconoscimenti, ma anche importanti acquisti sia pubblici che privati.

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