Carlo Carrà

Biografia

Carlo Carrà (Quargnento, 1881 – Milano, 1966) si forma inizialmente nell’ambito della decorazione a Valenza Po e in seguito a Milano. Qui si trasferisce nel 1895 per frequentare i corsi serali dell’Accademia di Brera, mentre continua l’attività di decoratore. Questa lo porta tra il 1899 e il 1900 a Parigi per occuparsi della decorazione dei padiglioni dell’Esposizione Universale.

Il clima divisionista a Milano

Successivamente Carlo Carrà si reca a Londra e torna a Milano solo nel 1906, quando decide di seguire il corso di Cesare Tallone (1853-1919) all’Accademia di Brera. Sono gli anni in cui frequenta e si lascia influenzare dai divisionisti lombardi come Gaetano Previati (1852-1920), Emilio Longoni (1859-1932), Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920).

Nelle sue prime mostre, tra cui la personale presso la Famiglia Artistica nel 1908, espone paesaggi di matrice divisionista, intrisi di uno spiccato valore simbolico. Ben presto, però, Carlo Carrà stringe amicizia con Umberto Boccioni (1882-1916) e con Luigi Russolo (1885-1947) e si interessa alle istanze futuriste.

Il Manifesto del Futurismo

Nel 1910, Carlo Carrà firma il Manifesto della pittura futurista e poi il Manifesto tecnico della pittura futurista, ormai pienamente inserito nel contesto dell’avanguardia. Sin da subito, il Futurismo di Carlo Carrà si presenta sicuramente interessato al movimento, ma sempre caratterizzato da un rigore compositivo estraneo agli atri componenti.

Nel 1912, in occasione della mostra alla Galleria Bernheim-Jeune di Parigi, entra in contatto con il Cubismo ed è qui che nasce il suo graduale allontanamento dal Futurismo più canonico. È vicino infatti alle istanze di Ardengo Soffici (1879-1964) e della sua “Lacerba”, in cui il Futurismo dialoga ampiamente con il Cubismo, con Apollinaire e con Cézanne.

La parlata su Giotto

Nel marzo del 1916 Carlo Carrà pubblica il fondamentale testo La parlata su Giotto che dà avvio alla sua radicale separazione dal Futurismo. È infatti tra i primi a sperimentare quel primitivismo del ritorno all’ordine che parte dallo studio del Trecento e del Quattrocento toscano. I suoi riferimenti sono Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello.

La solida impostazione di questi autori, la lezione primitivista, l’impatto con composizioni le equilibrate e “silenziose” di Piero della Francesca lo conducono inoltre ad aderire alla Metafisica. Infatti, nel 1917, costretto ad arruolarsi, parte per l’ospedale militare di Ferrara, dove incontra Giorgio De Chirico (1888-1978), Alberto Savinio (1891-1952) e Filippo De Pisis (1896-1956).

La sua è una Metafisica per così dire più “platonica” di quella di De Chirico, indirizzata a scandagliare la dimensione ideale e geometrizzante della natura. Il suo rigorismo spaziale, già presente nella produzione futurista e post futurista, si fa ancora più equilibrato e indirizzato ormai al ritorno all’ordine.

“Valori Plastici”

Nel dopoguerra Carlo Carrà inizia a collaborare con la rivista di Mario Broglio “Valori Plastici”, trasmettendo le sue idee riguardo il ritorno ai significati e ai valori della pittura antica. Il Trecento è la sua ispirazione principale, tanto che nel 1924 dà alle stampe una monografia di Giotto.
Espone alle Biennali e con il gruppo Novecento nel 1926 e nel 1929, pur non facendo ufficialmente parte del sodalizio artistico nato grazie a Margherita Sarfatti.

La meditazione sul Trecento si unisce ad un personale Realismo Magico. I suoi paesaggi e le sue figure, elaborati anche durante i suoi soggiorni a Forte dei Marmi divengono monumentali, caratterizzati da una ponderazione classica e austera.

Negli anni Trenta si occupa di diverse decorazioni murali, ad esempio, realizza i pannelli decorativi per la VI Triennale di Milano nel 1936. Il 1941 è l’anno che lo vede accettare la cattedra di pittura all’Accademia di Brera che l’anno successivo, presso la Pinacoteca, ospiterà una sua antologica.

Lavora come critico pubblicando Il rinnovamento delle arti in Italia nel 1945 e come illustratore, occupandosi, tra le altre cose, dell’illustrazione di Un coup de dés di Mallarmé. Negli anni Cinquanta e Sessanta riceve una lunga serie di riconoscimenti ed è protagonista di diverse personali. Muore a Milano nel 1966.

Carlo Carrà dal Futurismo alla Metafisica

Interessato all’inizio del Novecento agli sviluppi divisionisti, Carlo Carrà, espone nel 1908 I cavalieri dell’Apocalisse, dipinto realizzato proprio con colore diviso. Così avviene per una serie di paesaggi montani presenti alla sua prima personale presso la Famiglia Artistica di Milano.

Ma dal 1909, l’avvicinamento a Boccioni lo conduce verso il Futurismo: firma diversi Manifesti e realizza dipinti come Stazione di Milano, di specifico indirizzo avanguardistico. Il Futurismo di Carlo Carrà è però più composto ed equilibrato, più legato alle esperienze cubiste e soprattutto agli sviluppi seguiti da “Lacerba”.

Al 1910 risale Notturno in Piazza Beccaria, al 1911 I funerali dell’anarchico Galli, oggi al MET di New York, e al 1912 Simultaneità: donna al balcone. L’attenzione alle volumetrie e non solo alla dinamicità delle composizioni differenziano subito l’operato di Carlo Carrà da quello degli altri futuristi. Solide masse geometriche già compaiono in Simultaneità: donna al balcone. Perché il pittore si sente più attirato dal valore plastico delle figure e degli oggetti.

Così, durante la guerra, non solo studia Giotto e Paolo Uccello, ma nel 1917 incontra a Ferrara De Chirico. Ecco l’incontro con la Metafisica: atmosfere equilibratissime ed immobili, ma anche interesse di idealismo platonico, sono contenute in La camera incantata e La Musa metafisica. Già permeate del recupero degli antichi valori della pittura italiana, queste tele sono essenziali, pulite.

Il ritorno all’ordine: il Trecento e il Quattrocento toscani

L’approdo a “Valori Plastici” inserisce ormai Carlo Carrà nel clima del ritorno all’ordine. Si fa interprete di un primitivismo essenziale e poetico, in cui tutto ha il suo posto all’interno della composizione. Il manifesto pittorico di questa visione è l’opera le figlie di Loth del 1919. Il tema biblico così violento viene trasformato in una dimensione sobria e sospesa, in cui tutto è governato da una solida prospettiva di reminiscenza giottesca.

Il pino sul mare, altra composizione ordinata e trasparente, risale al 1921, mentre nel 1922 partecipa con tredici opere alla Fiorentina Primaverile. Tra di esse vi sono Penelope, La casa del pescatore, La figlia dell’ovest, L’ovale delle apparizioni e Natura morta.

La casa dell’amore e I dioscuri vengono esposti alla Biennale di Venezia dello stesso anno, mentre nel 1926 espone con Novecento e in una personale alla Galleria Pesaro. Le sue figure si fanno sempre più solide e possenti, molto legate a quelle sironiane delle pitture murali.

Donna che si asciuga, Capanni al mare, Paesaggio toscano, Cavalli presentati alla Biennale del 1928 riflettono proprio questa poetica. Così come Pescatori, Dopo il bagno, Giovane modello esposti alla Biennale del 1932. Tutti dipinti questi, nati dai suoi soggiorni a Forte dei Marmi.

Tra personali e mostre come le Quadriennali romane, Carlo Carrà giunge all’apice del successo, portando avanti sempre questa sua sensibilità nei confronti dell’arte italiana del Trecento e del Quattrocento.

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