Lucio Fontana

Biografia

Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé, 1899 – Comabbio, 1968) nasce in Argentina da genitori italiani. Il padre Luigi è uno scultore, la madre Lucia è un’attrice teatrale. Sin dall’infanzia Lucio Fontana viene mandato in Italia presso uno zio di Varese per studiare. Negli anni Dieci, mentre frequenta l’Istituto tecnico a Milano, comincia a scoprire le sculture del padre.

Nel 1916 si arruola come volontario nella I guerra mondiale e, ferito gravemente sul Carso, rientra a Milano nel 1918, dove continua a studiare per il diploma di perito edile.

Il soggiorno in Argentina

Nel dopoguerra, precisamente nel 1921, Lucio Fontana decide di tornare nel suo paese di nascita, Rosario di Santa Fé, in Argentina. Qui, inizia a dedicarsi completamente alla scultura, partendo dalle opere del padre e lavorando nel suo studio.

Rimane a Rosario fino al 1927, iniziando la sua personale ricerca scultorea, distaccandosi piano piano dalla scultura cimiteriale di cui si occupava l’atelier paterno.

Il rientro in Italia e le prime ricerche

Quando nel 1927 Lucio Fontana rientra a Milano, ormai deciso ad intraprendere la carriera di scultore, si iscrive presso l’Accademia di Brera. Ha come insegnante Adolfo Wildt (1868-1931) e si diploma con lui nel 1929. Inizialmente è profondamente permeato dal linguaggio del maestro, come si nota soprattutto dalle sculture sepolcrali che realizza per il cimitero Monumentale di Milano.

Nel 1930 partecipa alla sua prima Biennale di Venezia e tiene una personale presso la Galleria del Milione a Milano. Sono questi gli anni in cui realizza ed espone le prime opere che lo distanziano dal maestro Wildt e che lo rendono estremamente anticonvenzionale.

Si fa promotore, infatti, di una scultura materica e cromatica allo stesso tempo, in cui la terracotta, la ceramica e il gesso prendono forma in maniera grezza e istintiva. Dopo le figure umane, Lucio Fontana inizia la serie delle Tavolette graffite all’inizio degli anni Trenta e poi passa all’utilizzo del ferro e alla realizzazione di forme astratte, liberamente inserite nello spazio.

Una sperimentazione continua

Dalla metà degli anni Trenta, lavora soprattutto la ceramica, presso la manifattura di ceramiche di Giuseppe Mazzotti di Albisola. Questo è il periodo di più intensa sperimentazione per Lucio Fontana: studia la ceramica e le dà un preciso valore cromatico, per poi passare, negli anni Quaranta, all’utilizzo delle tessere di mosaico applicate sulle sue figure.

Nel 1940 parte di nuovo per l’Argentina, dove partecipa a numerose esposizioni e ottiene continui riconoscimenti. È insegnante di modellato e decorazione presso l’Accademia di Rosario e quella di Buenos Aires e nel 1946, insieme a due scultori argentini fonda l’Escuela Libre de Arte Plàsticas, sempre a Buenos Aires.

Il Manifiesto Blanco e lo spazialismo

Insieme ad un folto gruppo di artisti d’avanguardia argentini, Lucio Fontana firma il Manifiesto Blanco alla fine del 1946. Rientrato in Italia l’anno successivo, continua a lavorare la ceramica, ottenendo sempre maggiori consensi.

Nel 1947, invece, dà vita insieme ad altri intellettuali come Milena Milani e Beniamino Joppolo, al Manifesto dello Spazialismo. Al punto 8 il Manifesto recita: «L’Artista Spaziale non impone più allo spettatore un tema figurativo, ma lo pone nella condizione di crearselo da sé, attraverso la sua fantasia e le emozioni che riceve». Nuovi mezzi sono messi a disposizione degli artisti, la radio, il radar, la luce nera.

Proprio con la luce nera, nel 1949 Lucio Fontana realizza un’opera rivoluzionaria presso la Galleria del Naviglio. Essa segna il radicale passaggio all’informale, tramite oggetti e forme fluorescenti che brillano in un Ambiente a luce nera.

Poco dopo, giunge ai Buchi e ai Tagli che lo portano al successo internazionale. Nel 1961, infatti tiene la sua prima personale presso la Martha Jackson Gallery di New York, seguita da una serie di esposizioni in tutto il mondo.

Passa alla scultura ambientale, alluso del neon, alla creazione di labirinti di tele illuminati da luci bianche. Nel 1966 Lucio Fontana si trasferisce a Comabbio, vicino Varese e vi muore nel 1968.

Lucio Fontana: dall’influenza di Wildt alle prime sperimentazioni

Partendo dall’esperienza scultorea paterna e poi ricevendo il messaggio del maestro Wildt a Brera, Lucio Fontana parte da una serie di sculture cimiteriali di reminiscenza simbolista. Ne sono esempio una Madonna col bambino in bronzo del 1928 e la scultura del diploma in Accademia El Auriga.

Nel 1930 partecipa alla Biennale di Venezia con Vittoria fascista ed Eva, ma subito dopo, nella sua personale alla Galleria del Milione a Milano, espone Uomo nero. Si tratta di una scultura che segna uno spartiacque nella produzione di Lucio Fontana, poiché emerge dal gesso una figura quasi deforme, dal volto di una scultura primitiva.

All’inizio degli anni Trenta risalgono anche le Tavolette graffite, una serie di gessi colorati che vengono graffiti superficialmente, dando vita a figure ancestrali, forme astratte e fantastiche. Il colore, che sia proprio della materia o apposto su essa, diviene fondamentale, nucleo centrale della composizione. Così avviene per Busto di donna, Le amanti dei piloti, Bagnante e Figura alla finestra, tutte in terracotta colorata e grafita.

Ceramica

Quando Lucio Fontana inizia a sperimentare la ceramica, collabora assiduamente con la Manifattura Mazzotti. Ne nascono figure umane e animali di intensa varietà e policromia. Realizza Salamandra nel 1933, il famoso Coccodrillo nel 1936, Seppia nel 1937, Banana e pera nel 1938. Si tratta di una ceramica trattata con gusto nuovo: materia non solo nobile ma anche grezza, informe, primordiale.

Ne emergono figure come Colombina o Guerriero appena sbozzati in una materia lucente ma allo stesso tempo ruvida, vibrante, estremamente delicata e leggera nello spazio. Ed è proprio lo spazio che diventa il protagonista principale della ricerca successiva.

Spazialismo: ambienti, buchi e tagli

Negli anni Quaranta, con la ricerca spaziale, termina la fase della scultura figurativa di Lucio Fontana. Nuovi media fanno parte ormai della sua produzione: luce di Wood, ambienti che coinvolgono lo spettatore, opere che necessitano dello spettatore per esistere. Anche sculture di neon, leggerissime nello spazio cominciano a fare la loro comparsa, insieme ai Buchi sulle tele.

Prima concentrici e precisi, su ferro e su bronzo, poi vortici che si aprono su uno spazio altro, quello che va al di là della tela ed invade il nostro della realtà. Concetti spaziali che da buchi si trasformano in tagli, netti, precisi, su tele accesissime, realizzate con l’idropittura. E poi, i Teatrini, cornici laccate con alla base le forme astratte più disparate, che hanno come quinta una tela blu, rossa, nera, sempre bucata.

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