Massimo Campigli

Biografia

Massimo Campigli (Berlino, 1895 – Saint Tropez, 1971) nasce in Germania ma trascorre l’infanzia a Firenze. Quando la famiglia si trasferisce a Milano, nel 1909, il giovane entra in contatto con la compagine futurista, cominciando ad elaborare i primi dipinti d’avanguardia pubblicati poi su “Lacerba”.

Arruolatosi per la Prima guerra mondiale, viene fatto prigioniero e deportato in Ungheria. Alla fine del conflitto, inizia a lavorare come reporter del “Corriere della sera” a Parigi. Proprio nella Capitale francese, Massimo Campigli si dedica di nuovo alla pittura, dando il primo vero e proprio sviluppo alle sue idee.

Tra gli “Italiens de Paris”

Di fatto, entra a far parte del gruppo degli “Italiens de Paris”, accostandosi quasi immediatamente al Cubismo, rinnegando le primissime esperienze in seno al Futurismo a Milano. Si avvicina al contesto del Purismo di Amédée Ozenfant (1886-1966) e di Le Corbusier (1887-1965) e all’ambiente che gravita attorno alla rivista “L’Esprit Nouveau”.

Vicino al gruppo degli italiani a Parigi, stringe amicizia soprattutto con Alberto Savinio (1891-1952) e Mario Tozzi (1895-1979) e dunque non rimane immune alle idee di ritorno all’ordine auspicate da Novecento e da Margherita Sarfatti.

Ma l’interpretazione figurativa di Massimo Campigli risulta, sin da subito, del tutto particolare. Dopo aver esordito con le sue composizioni astratto cubiste alla Galleria Bragaglia di Roma nel 1923, nel 1928 compie un altro soggiorno a Roma.

La svolta stilistica

Questa volta, scopre il Museo Etrusco di Villa Giulia, esperienza che lo avvicina per la prima volta all’arte etrusca e quindi primitiva, influenzando per sempre il suo linguaggio. Contemporaneamente legge Freud e questo gli dà modo di scegliere come suoi soggetti prediletti le donne, declinate nella loro essenza primordiale e divina.

I suoi dipinti appaiono a questo punto come affreschi antichi, come reperti archeologici appena rinvenuti e caratterizzati da un’aura di primitivismo non solo tematico, ma anche stilistico e tecnico.

Le donne appaiono come primordiali divinità dalle forme piatte e geometriche, che richiamano la civiltà minoica ed egizia. Ma allo stesso tempo, la pittura di Massimo Campigli sembra pervasa da quell’idea di spiritualismo, astrattismo e semplificazione formale che investe anche le opere coeve di Paul Klee (1879-1940).

Con il suo linguaggio misterico ed esoterico, l’artista partecipa alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali romane, alle mostre presso la Galleria del Milione e a diverse edizioni del Premio Bergamo.

L’estetica del pittore influenza in modo importante gli sviluppi stilistici della Scuola Romana, che guarda al suo primitivismo e alla sua essenza archeologica e spirituale, come uno dei principali esempi di espressionismo e di risposta allo stile ordinato di Novecento.

Il Manifesto della pittura murale

Segni, stilizzazioni, moduli che si ripetono e alfabeti primitivi caratterizzano la poetica di Massimo Campigli fino a tutti gli anni Trenta e Quaranta, quando si dedica anche alla pittura murale. Nel 1933, insieme a Mario Sironi (1885-1961), Achille Funi (1890-1972) e Carlo Carrà (1881-1966), firma il Manifesto della pittura murale.

Le sue opere sono come affreschi antichi, chiare e terrose, sempre denotate dalla presenza di figure archetipiche, quasi apotropaiche, nella loro essenza ieratica. Negli anni Quaranta si susseguono per l’artista diverse opere murali, ormai rientrato a Milano dagli anni Trenta.

Il dopoguerra lo vede spostarsi tra Venezia, Milano, Parigi, Roma e Saint Tropez, in un vortice di successo e di mostre personali, fino alla più importante a Palazzo Reale di Milano del 1967. Muore a Saint Tropez nel 1971, all’età di settantasei anni.

Massimo Campigli: dall’Esprit Nouveau ad una pittura primigenia ed archetipica

Dopo aver rinnegato le prime esperienze futuriste, legate ad opere del primo periodo milanese come Giornale + strada o Parole in libertà, Massimo Campigli dà vita al suo vero e proprio linguaggio a Parigi.

Prima si avvicina all’astrattismo dell’Esprit Nouveau, assecondando le forme geometriche e piatte di Le Corbusier, evoluzione del cubismo picassiano. Ma intorno alla metà degli anni Venti, la sua poetica cambia, in favore di una figurazione fantastica e primigenia, in cui la donna diventa quasi l’assoluta protagonista.

Con il suo significato di divinità creatrice, dotata di una sacralità senza tempo, Massimo Campigli rivisita il ruolo della donna riportandola alle forme che si possono ammirare sui vasi del periodo geometrizzante dell’arte greca.

Piccole forme, dal ventre largo e dal viso primitivo e sorpreso cominciano a popolare i dipinti del pittore. Alla Biennale di Venezia del 1928 mostra l’essenza di questo nuovo linguaggio arcaico, tramite tredici opere. Tra di esse compaiono Le dormienti, Donna allo specchio, Donne col busto, I costruttori.

In questa prima fase di rielaborazione del linguaggio primitivo, le forme sono ancora tornite e legate a Novecento, ma in seguito diventeranno sottili statuette di divinità declinate in diversi atteggiamenti e funzioni.

Alla Biennale del 1930 compare Famiglia felice, mentre alla Quadriennale di Roma del 1931 espone Donne estatiche, Legge dell’atavismo e Autoritratto e nel 1935 Nozze, Bagnanti e Le spose dei marinai, dipinti geometrici e secchi.

Nel 1932, ’33 e ’37, Massimo Campigli prende parte a diverse mostre presso la Galleria del Milione di Milano, con dipinti quali Gli amici e Colazione campestre. Al Premio Bergamo del 1940 compaiono Caccia e Madre e figlia, l’anno successivo Pettinatrici e Ritratto di Giuditta e nel 1942 Gioco a palla e Donne alla toletta, dipinti essenziali della sua ricerca.

Massimo Campigli. Le opere murali

Tra le numerose esposizioni italiane e internazionali, Massimo Campigli si dedica a diverse opere murali a partire dagli anni Trenta, dopo aver firmato il Manifesto. A questo punto, per le opere monumentali, utilizza un linguaggio sempre primitivista, ma più consistente, in cui le figure risultano tornite e possenti.

Per il Palazzo delle Nazioni di Ginevra realizza I costruttori nel 1937, per il Palazzo di Giustizia di Milano esegue invece un affresco insieme ad altri pittori nel 1938. Alla Biennale di Venezia dello stesso anno decora il Padiglione italiano con La pittura.

In cinque mesi, nel 1939, completa l’affresco dell’atrio della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova. In queste opere murali, Massimo Campigli evoca la materia ruvida degli affreschi antichi, portando alla luce figure statiche e ieratiche, in una narrazione di grande libertà compositiva ed evocativa.

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