Antonio mancini

Antonio Mancini. Donna Nuda con Drappo Verde - Tecnica: Olio su Tela
Donna Nuda con Drappo Verde. Tecnica: Olio su Tela

Quotazioni Antonio Mancini

I dipinti di Antonio Mancini del primo periodo (fino al 1873) sono stimabili tra i 15.000  e i 30.000 euro. Le opere successive al trasferimento a Parigi del 1875 possono facilmente superare i 40.000 euro se di grande qualità. Le opere del periodo romano che vanno dal 1883 al 1907 hanno stime tra i 10.000 e i 20.000 euro e più per i capolavori. I periodi più tardi (“Frascati” e “Du Chene”) sono meno apprezzati e possono scendere anche a 5.000 euro per i dipinti meno appetibili.

I pastelli hanno valutazioni trai 3.500 e i 7.000 euro di media mentre i disegni tra gli 800 e i 1.500 euro. I dipinti su ceramica all’incirca hanno un valore di 1.000 euro. La firma ha un collezionismo napoletano, romano ma anche nazionale e internazionale per i dipinti più impegnati. Mancini ha una produzione pittorica vastissima e quindi può avere numerose variabili di prezzo a seconda di soggetto, periodo, conservazione.

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Biografia

Il fertile ambiente artistico napoletano

Antonio Mancini (Roma, 1852 – 1930) nato in una famiglia di origini umbre, si trasferisce a Napoli con i genitori nel 1865. Lì si iscrive all’Istituto di Belle Arti: durante gli anni dell’Accademia frequenta diligentemente i corsi e consegue numerosi premi in occasione dei concorsi organizzati annualmente.

In questi stessi anni, molto giovane, è animato da una forte curiosità nei confronti della pittura del passato. Quindi visita assiduamente le chiese di Napoli, per studiare le numerose opere conservate al loro interno. Osserva e acquisisce tutto quello che può dalla pittura di Caravaggio, Jusepe de Ribera, Luca Giordano e Mattia Preti.

Instancabile e desideroso di imparare il più possibile, si forma anche presso la scuola dello scultore Stanislao Lista (1824-1908). Qui incontra e stringe una forte amicizia con Vincenzo Gemito (1852-1929) e viene orientato verso un’impostazione schiettamente verista dell’arte.

Cruciale in questi anni di formazione è anche la conoscenza e la frequentazione di Domenico Morelli (1826-1901). All’artista si deve anche l’attenzione verso la pittura antica, in particolar modo verso le ricerche sulla luce rintracciabili nelle opere del Seicento napoletano.

Contemporaneamente Antonio Mancini, accompagnato dal pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti (1851-1929) frequenta lo studio di Filippo Palizzi (1818-1899). Si addentra così ancor di più in un verismo preciso e minuzioso di cui troviamo traccia nella prima produzione.

I tentativi di imporsi nel mercato dell’arte

Inizialmente poco apprezzato dalla critica italiana, Mancini viene da subito stimato dai collezionisti stranieri. Il pittore olandese Mesdag, ad esempio, decide di ampliare la sua collezione di dipinti conservata a L’Aja inserendo molti lavori dell’artista romano.

Nel 1872 compie l’importantissimo viaggio a Venezia spinto dal suo mecenate Albert Cahen. Qui Antonio Mancini può confrontare le esperienze della pittura napoletana del passato con il colorismo dei pittori veneti del Cinquecento.

Ma soprattutto incontra l’ariosità dei dipinti dell’epoca d’oro veneziana, il Settecento, traendone spunto per la sua tavolozza spesso criticata perché troppo spenta. Nello stesso anno viene per la prima volta in contatto con l’ambiente artistico parigino, esponendo al Salon, sempre su invito di Cahen.

Proprio nella capitale francese, dove soggiorna diversi mesi tra il 1875 ed il 1878, può avvicinarsi alla pittura degli impressionisti e rinnovare il suo linguaggio. Può presentare le proprie opere al mercante d’arte Adolphe Goupil, nella speranza di una maggiore presenza nel mercato, fino a questo momento piuttosto scarsa.

Il contratto stipulato con Goupil e un vero cambiamento pittorico sono possibili soprattutto grazie alla cruciale amicizia con il pittore spagnolo Mariano Fortuny (1838-1874). Antonio Mancini conosce l’artista poco prima della sua morte, nel suo soggiorno a Portici del 1874.

Gli anni romani

Ricoverato nel 1881 per alcune crisi nervose, continua comunque a dipingere ritraendo medici ed infermieri. Trasferitosi a Roma due anni dopo, conosce il pittore John Sargent, incontro che gli permette di recarsi a Londra. Inizia dunque a circolare nel mercato inglese, soprattutto per le sue doti di ritrattista.

Anche negli ultimi anni l’attività pittorica ed espositiva di Antonio Mancini è instancabile. Partecipa alla XII Biennale, può finalmente godere di una certa tranquillità economica e riceve diversi riconoscimenti ufficiali.

Ottiene la cittadinanza onoraria di Napoli nel 1923 e la nomina di Accademico d’Italia nel 1927. Queste onorificenze hanno reso possibile anche la realizzazione di un’antologica dell’artista organizzata dalla rivista “Fiamma”. Muore a Roma nel dicembre del 1930.

La realtà popolare: “gli scugnizzi” napoletani

Negli anni della formazione e della vicinanza all’ambiente verista napoletano Antonio Mancini concentra tutta la sua capacità pittorica ed empatica nella realizzazione di ritratti. I soggetti sono persone comuni incontrate nella quotidianità popolare di Napoli che torneranno costantemente nella sua produzione.

Si tratta di giovani ragazzi e “scugnizzi” che posano nel suo studio situato nel centro di Napoli e diviso con Vincenzo Gemito. Tra i quadri risalenti all’inizio della sua attività si possono citare Ritratto di bimba (1867), Scugnizzo (1868), Prevetariello (1870).

Nella composizione di queste tele si riscontra un superamento della tradizione pittorica verista di stampo palizziano grazie alle pennellate cariche di colore. Inoltre un tocco vibrante e vivo è presente sin dalle prime prove, anche scolastiche, di Mancini.

È dunque evidente in questa prima fase l’influenza cromatica di Domenico Morelli. Nel 1872 il viaggio a Venezia e il confronto con un cromatismo più luminoso gli permettono di dare la prima svolta alla sua pittura. Questa però verrà portata a compimento solo dopo il contatto con Fortuny.

L’intenso rapporto con Fortuny

L’importantissimo incontro tra Fortuny e Mancini nel 1874 dà vita ad un rapporto d’amicizia che sfocia quasi in un’apprensione paterna da parte dell’artista spagnolo. Il contatto è intenso ma purtroppo breve: Fortuny morirà di lì a poco a Roma, ancora giovane.

Accoglie comunque sotto la sua ala Antonio Mancini, forse anche per le sue frequenti crisi nervose e per il costante disagio emotivo e psicologico. Elementi che non limitano assolutamente il talento fuori dal comune del ragazzo.

Una tavolozza più luminosa

Purtroppo il mercato coevo non apprezza a pieno la tavolozza ombrosa del pittore romano, che invece viene subito notato e amato da Fortuny. Sicuramente quest’ultimo dà una forte spinta a Mancini. Dal punto di vista pittorico, poiché dopo il loro avvicinamento la sua gamma cromatica si arricchisce della luminosità e del chiarore del tocco fortuniano.

Ma anche dal punto di vista economico: compra diversi lavori da Mancini, tra cui Bimbi che giocano con le gioie dei ricchi. Poi ne riceve in regalo uno prima di tornare a Roma, L’elemosina, dipinto che finalmente evidenzia, grazie al dinamismo del tocco, la completa maturazione.

Ormai Antonio Mancini è pronto per il mercato internazionale: l’opera viene venduta e Mancini è incoraggiato dall’amico e maestro a partire per Parigi. Qui entra in contatto con Goupil e partecipa ai Salon, lavorando ad una serie di dipinti che rappresentano la trasformazione del suo linguaggio.

Agli scugnizzi napoletani subentrano i più vivaci e vitali saltimbanchi, le composizioni risultano più chiare e meno tormentate dai marroni e dalle tonalità scure.

È una pittura che conquista piano piano il mercato dei collezionisti perché risulta vibrante, emozionante, intensa e a tratti visionaria. Luce e riflessi particolari investono i volti rubicondi e pieni dei personaggi che spesso emergono nella loro plasticità da sfondi scuri.

La maturità pittorica

Raggiunta ormai l’eleganza di un pittore maturo, Antonio Mancini cede purtroppo ancora alle crisi nervose, quindi non sono rare le incursioni nella tavolozza scura. Inoltre non riesce a trattenersi per lungo tempo a Parigi, la sua personalità inquieta lo richiama in Italia. Negli anni Ottanta viene ricoverato diverse volte in manicomio, ma non smette mai di dipingere.

Si fa conoscere soprattutto come abile ritrattista e lavora per tre anni a Roma per il collezionista Otto Messinger. Di lui realizza un ritratto poi presentato alla Biennale di Venezia del 1907.

Quattro anni dopo segue il mecenate francese Ferdinand du Chene du Vere nella sua villa a Frascati e lavora per lui per circa dieci anni. In questo periodo riesce a tornare a quella intensa creatività e produttività che ricordano gli anni della giovinezza accanto a Fortuny.

I risultati di questa ultima produzione sono i ventuno dipinti esposti alla XII Biennale di Venezia. Le due ultime mostre personali prima della sua morte si tengono nel 1828 a Milano e a Londra.

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